Toxic Positivity
Il lato oscuro del #AndràTuttoBene

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“Quando andai a scuola mi domandarono come volessi essere da grande. Io scrissi “felice”.

Mi dissero che non avevo capito il compito e io dissi loro che non avevano capito la vita.”

(John Lennon)

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Shock and Awe
L’arte della guerra nelle relazioni

Foto di Raqqa in Siria, copyright Amnesty International

Probabilmente ognunә di noi ha un ricordo scolastico legato all’efficace strategia che ha portato gli antichi romani a divenire così potenti in così breve tempo. “Divide et impera”, che letteralmente significa “dividi e conquista”, è una strategia di dominio che suggerisce come la divisione, la rivalità, la discordia dei popoli soggetti giova a chi vuol dominarli. Se guardiamo al nostro panorama politico, ad alcuni contesti lavorativi particolarmente competitivi e piramidali vedremo come l’antica strategia è ancora molto in voga: indurre diffidenza e paranoia in un gruppo di pari (la “guerra dei poveri”) garantisce il potere alla persona o alle persone che si trovano ai vertici.

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L’inconscio sociale. L’Io e il Noi

Oltre che essere umani siamo anche esseri culturali. Ciò vuol dire che la nostra identità è anche culturale ovvero contenente elementi fondamentali quali l’etnia ed essa è influenzata dalla classe sociale, dall’età, dalla religione, dal genere, dall’orientamento sessuale e dalle dinamiche familiari. 

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La prospettiva della morte. Altri sentieri per la vita

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​Copyright immagine: Istituto italiano Design

Conversazione tra Giove e Mercurio, Giove spiega a Mercurio cosa significhi assumere sembianze umane per fare l’amore con una donna mortale:

“Lei userà poche espressioni e questo amplierà l’abisso tra di noi…Dirà “ Quando ero piccola” o “Quando sarò vecchia” o “Mai in tutta la vita”. Questo mi colpisce profondamente Mercurio…Ci stiamo perdendo qualcosa Mercurio- il pathos della caducità- l’implicazione della mortalità- quella dolce tristezza dell’afferrare qualcosa che non si può trattenere?” tratto da Amphitryon 38 di Jean Giraudoux.

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Calcio o bambole? Sulle prescrizioni di genere

Perché le bambine scelgono le bambole e i maschietti invece prediligono una partita di pallone o la pista delle macchinine? Il quesito è vetusto e non esente da cenni provocatori ma può essere tranquillamente rispolverato per sviluppare riflessioni e perché no,  anche  dibattitti alla luce di tante tematiche forse ancora più attuali. Il tema è stato spesso trattato dalla nostra rivista, in quanto è un argomento a noi molto caro  (Infatti, per approfondimenti si rimanda all articolo Il Gender-questo frainteso); qui viene ancora riproposto con delle riflessioni aggiuntive.

Quello che c’ è in ballo, ed è forse la cosa che ci preme di più, è il nostro caro, amato concetto di identità. Ovvero è il genere e le conseguenze sul piano socio-culturale che esso o comporta a determinare chi siamo veramente? Quando scegliamo veramente chi vogliamo essere?  (Per ulteriori approfondimenti si rimanda all articolo  Stereotipi e pregiudizi – Una rosa se non si chiamasse rosa”).

Ma partiamo dall’inizio: cosa intendiamo per genere ?  E cosa si intende per sesso? Sono i due concetti legati tra di loro?

Con il termine sesso si fa riferimento alle principali caratteristiche biologiche: genetiche, sessuali primarie (genitali) e secondarie (barba e seno per esempio) e del cervello, con le quali vengono distinti maschio e femmina.

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Toxic Masculinity. Liberarsi dell’uomo violento

Copyright: Natalie Lees

Pubblicazione a promozione del progetto “Rondini. Centro di ascolto psicologico e assistenza legale” finanziato dalla Regione Lazio con risorse statali del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, promosso dall’Associazione Semi di Pace Onlus in collaborazione con l’Associazione Il Sigaro di Freud come soggetto terzo – www.semidipace.it/progetto-rondini/

In una vignetta dell’artista Pat Carra di qualche anno fa due donne conversano sul divano: una dice “Si parla tanto di violenza sulle donne” e l’altra “così non si parla di violenza degli uomini”.

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Viva la rabbia. Sabotatrice o … Motore?

L’immaginario comune associato alla rabbia è ricco di significati negativi. Quest’emozione viene spesso collegata alla sua espressione comportamentale più diffusa o che in generale desta più scalpore, assumendo le forme dell’aggressione e della violenza. Quando la rabbia prende queste forme “perdiamo la testa”, agiamo in maniera istintiva, e sollecitiamo una parte di noi più viscerale, avvicinandoci nelle sembianze e nei comportamenti al mondo animale. Prima di essere rappresentata con l’omino rosso col fumo che esce dalle orecchie del film d’animazione “Inside out” della Pixar, nei convegni e nei training sulle emozioni la rabbia veniva rappresentata con la celebre foto dell’uomo che spalanca le fauci assomigliando al leone che aggredisce la preda. Infatti la rabbia è un’emozione che ci prepara all’attacco, per difendere il proprio territorio (ad esempio, la nostra autostima), perché ci sentiamo minacciati, o ancora perché i nostri bisogni sono stati frustrati. Si potrebbe quindi dire che rabbia è un’emozione che ci porta all’autotutela.

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Casa dolce casa
Il bisogno di confini e intimità

Nessun posto è bello come casa mia”  – Il Mago di Oz

l Mago di Oz è un film della mia infanzia.

Il viaggio onirico di Dorothy e il suo Totò alla ricerca di un modo magico per esaudire il più grande desiderio mai provato: tornare a casa. Centrifugata da un tornado, persa in un luogo sconosciuto e fantastico, perseguitata da una strega cattiva e insieme a tre fantastici compagni di viaggio, Dorothy scopre che tutto ciò che cerca è semplicemente dentro di lei. La sua casa, sinonimo di famiglia, la porta sempre con sé ovunque vada. Svegliarsi con una nuova consapevolezza che profuma di affetti e, soprattutto, di costanza di affetti è il finale migliore, che supera lo stupore di qualunque magia possibile.

Ovunque tu sia, è casa mia, la mia unica casa”  – Charlotte Brontë – in Jane Eyre

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Psycho e altri film. Riflessioni sul tema dell’identità

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​Immagine tratta dalla pagina: https://www.pinterest.it/pin/575264552379807856/

Uno dei momenti migliori di questa quarantena è stato immergersi nella filmografia hitchcokiana (ai lettori più attenti non sfuggirà che questo è stato anche un suggerimento proposto dal Sigaro nel periodo di lockdown). Lo ammetto, ho passato gran parte delle mie serate guardando i suoi film e commentandoli in un cineforum più o meno interiore prima di andare a dormire. La consistenza, la forza viva dei suoi personaggi lasciano un segno; nonostante la loro potenza, la loro vitalità sono tuttavia immersi in uno spazio di dormiveglia, un onirico che però è lucido e trasporta dentro lo spettatore.

C’è un tema ricorrente tra questa vitalità dei personaggi, che da addetta ai lavori, non potevo non considerare; è il tema dell’identità. Qualcuno potrebbe dire “sai che novità”, pensando alla salienza che ha assunto la tematica nel 900; tuttavia il grande registro lo svuota di qualunquismi e di boriose banalità e lo porta sulla scena nutrito di originalità e si significati sempre nuovi.

Facciamo un piccolo passo indietro. Cosa significa identità? Il termine deriva dal latino identitas-atis, “medesimo”; riferito a persona significa l’essere quello e non un altro. Se si parla di identità psicologica ci riferiamo al senso e alla consapevolezza di sé come entità distinta dalle altre e continua nel tempo (per ulteriori approfondimenti si rimanda all’ articolo IDENTITA’: COME SI RISPONDE ALLA DOMANDA CHI SEI). L’identità è una conquista, a mio avviso è un tema centrale e imprescindibile per il trattamento di qualsiasi tipo di disturbo psicopatologico e percorso psicoterapico; è il centro del senso di sé, del proprio corpo e se vogliamo delle relazione con gli altri e con il mondo. E se questo senso si dovesse alterare? Che effetto potrebbe avere su di noi la perdita dei tasselli della nostra struttura identitaria? Possiamo sostituirci ad altre persone o essere sostituiti?

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