Mese: Ottobre 2016

Eutanasia e assistenza nel fine vita
Riflessioni introduttive

“Signori Giudici, autorità politiche e religiose: cos’è per voi la dignità? Qualunque sia la risposta delle vostre coscienze, sappiate che per me questo non è vivere con dignità. Io avrei desiderato almeno morire con dignità. Oggi, stanco dell’indifferenza delle Istituzioni, sono obbligato a farlo di nascosto come un criminale. Voi dovete sapere che la meccanica che porterà alla mia morte è stata scrupolosamente divisa in piccole azioni, ognuna delle quali non costituisce reato, ognuna compiuta da una diversa mano amica; se comunque lo Stato insiste a punire chi mi ha aiutato, io suggerisco il taglio di quella mano, perché quello, è stato l’unico contributo. La testa, cioè voglio dire la coscienza, l’ho messa io. Come potete vedere vicino a me c’è un bicchiere d’acqua che contiene una dose di cianuro di potassio: una volta bevuta avrò cessato di vivere, rinunciando al mio bene più prezioso, il mio corpo. Io ritengo che vivere sia un diritto, non un obbligo, com’è stato nel mio caso, costretto a sopportare questa penosa situazione durata 28 anni, 4 mesi e alcuni giorni… alla fine di questo periodo faccio un bilancio del cammino percorso, eh non mi tornano i conti con la felicità. Solo il tempo che ho vissuto contro la mia volontà, durato quasi tutta la vita, sarà, a partire da ora, mio alleato. Solo il tempo e l’evoluzione delle coscienze, decideranno, un giorno, se la mia richiesta era ragionevole o no”.

(Ramòn Sampedro –  “Mare dentro”)

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Il cammino di Santiago. Un’agognata metamorfosi

Il rito del cammino di Santiago risale al IX secolo. La leggenda narra che un eremita, avvertito da un angelo, vide delle strane luci che assomigliavano ad un campo di stelle (Campus Stellae, Compostela appunto) sulla collina dove sorgevano i resti di un antico villaggio celtico. Il vescovo Teodomiro, interessato a quello strano fenomeno, ordinò di scavare nel punto indicato dalle stelle, dove vennero scoperte le reliquie ritenute appartenenti a San Giacomo (Santiago appunto), l’apostolo di Gesù. A partire da quel momento credenti da tutti il mondo intrapresero il loro pellegrinaggio per raggiungere le spoglie del santo e il cammino tra i secoli X e XIII visse il suo periodo d’oro. Con l’avvento del Protestantesimo che metteva in crisi i valori fondamentali della fede popolare, e le frequenti guerre europee che rendevano pericoloso l’arrivo in Galizia, lentamente calò il sipario sul cammino di Santiago, fin quando negli anni ’70 il parroco di una delle località sulla via composteliana partì con il suo furgone carico di barattoli di vernice per segnare con frecce gialle, oggi simbolo del cammino, la via ormai dimenticata. Dopo essere stato ricordato da Papa Giovanni Paolo II nel 1982 ed essere stato considerato primo Itinerario Culturale Europeo nel 1987, nel 1993 il Cammino di Santiago è stato dichiarato Patrimonio Culturale dell’Umanità dall’Unesco e ad oggi 270.000 persone, tra cui moltissimi italiani, secondi solo agli spagnoli, ogni anno intraprendono l’antico pellegrinaggio per arrivare a Santiago.

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Dipendenze da Social Network
Forgiare il proprio Sè nella rete

Facebook è tra i social network più utilizzati, ma con essi anche Twitter, MySpace, Instagram, Google+, LinkedIn. Ad oggi risulta che WhatsApp sia il più utilizzato dai giovani italiani, e da alcune ricerche risulta essere reputato “indispensabile” dai giovani. Le reti multimediali permettono a tutti noi di collegarci l’un l’altro, in qualsiasi parte del mondo offrendoci la possibilità di condividere le nostre passioni, le nostre foto e il nostro umore, magari con persone nuove che hanno i nostri stessi interessi. È una grande occasione per ognuno di noi perché più le reti sono ampie e più stimolano il pensiero, allargano i punti di vista e aprono nuove prospettive favorendo l’innovazione.

D’altro canto però, come tutti sappiamo, possiamo rimanere “intrappolati nella rete”.  Il grande rischio è quello di non saper gestire e controllare l’utilizzo che se ne fa.

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Le fantasie sessuali femminili
La sottomissione

«L’erotismo estremo è tutto questo e molto di più, e viene interpretato da ciascuno nella chiave più adatta alla propria personalità e alle proprie caratteristiche.»
(Ayzad, 2009)

La recente popolarità di una fantasia “estrema”

Lo straordinario successo di “Cinquanta sfumature di grigio” (E. L. James, 2011) ha riportato all’attenzione del grande pubblico il ruolo della forza, della violenza e più in generale della dominazione (e quindi della sottomissione) all’interno della relazione di coppia. In particolare, con il termine sottomissione femminile ci riferiamo a quelle donne che traggono piacere sessuale e/o gratificazione emotiva dal rinunciare (a vari livelli) al controllo affidato a un partner dominante.

Sebbene i veterani delle comunità BDSM (Bondage e Disciplina, Dominazione e Sottomissione, Sadismo e Masochismo) abbiano criticato molto il romanzo della James per essere una rappresentazione inverosimile e per alcuni tratti quasi offensiva di quello stile di vita, è innegabile che il libro abbia incoraggiato molte persone “vanilla” ad essere più aperte verso alcune pratiche che prima non avrebbero mai neanche preso in considerazione. Solo per fare un esempio, nel 2012, cioè l’anno successivo all’uscita del romanzo, le vendite di sex toys legati al mondo BDSM (manette, frustini, ecc.) sono aumentate del 400%

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Edward Hopper. L’artista dell’introversione

Secondo piano al sole, 1960. Olio su tela. Whitney Museum of American Art, New York

Il secondo piano di due case gemelle che sorgono sul declivio di una collina alberata, due paia di finestre, con le tende abbassate a differenti altezze, e due figure di donna, una giovane, vitale, con il corpo esposto alla luce del sole, seduta sulla balconata dell’abitazione guarda qualcosa che noi non possiamo vedere, mentre l’atra donna, matura, con i capelli grigi, fissa qualcosa davanti a sé mentre ha in mano un libro. Le due figure non comunicano, nonostante occupino lo stesso spazio, la stessa inquadratura del frame pittorico.

Guardando “Second Story Sunlight” (1960) di Edward Hopper, letteralmente “secondo piano al sole”, potrete osservare in una sola opera il manifesto pittorico ed espressivo di questo artista che ha ispirato l’arte del XX secolo in ogni sua forma ed espressione (vedi David Hockney, Alfred Hitchcock, Wim Wenders, David Lynch, Paul Thomas Anderson, Gregory Crewdson e molti altri), dalla fotografia, al cinema, alla letteratura. Il secondo piano a cui fa riferimento Hopper è un piano concettuale, simbolico, nascosto dalle architetture tradizionali americane descritte con precisione e maestria quasi metafisica dall’artista newyorkese. Il piano dell’anima, un piano intimo e celato, che abita lo spazio architettonico. Secondo Hopper infatti l’uomo e i suoi spazi architettonici sono un tutt’uno, quindi l’indagine sull’uomo, tanto cara all’artista, non può prescindere dall’architettura.

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Il falso Sé. Modellati nell’ambizione

Ognuno di noi, nel suo percorso di crescita, si è interfacciato per la prima volta in un contesto sociale diverso da quello dei propri genitori, sperimentando per la prima volta le proprie capacità relazionali all’asilo, con persone sconosciute, sino al districarsi in maniera più o meno abile nelle tante pretese sociali lavorative all’italiana. Nella scoperta di un mondo esterno che possiede valori a volte diversi da quelli famigliari, l’individuo costituisce una propria identità sociale che si fonde con l’identità personale. La creazione dell’identità rappresenta, allora, la piena consapevolezza di chi si è, delle proprie origini, dei propri stati emotivi e dei propri pensieri. Sempre più spesso, però, è comune riscontrare in molte persone, in parte anche dentro di noi, una netta scissione tra un’identità che si mostra, che si ama, a cui si crede di appartenere e una parte di sé che si reprime e che soffre, terrorizzata al sol pensiero di mostrarsi (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “l’insicurezza patologica – Ciò che non amo di me“). Si crea un falso sé, ossia un sé ideale a cui l’individuo ambisce, mettendo in pratica un processo di cambiamento dentro di sé rispetto alle proprie ideologie e comportamenti, col solo intento di convincersi di essere diventato il sé tanto ammirato: si crea, dunque, un’armatura (il falso Sé) che potrà proteggere il sé reale, percepito debole e inefficace in una determinata società.

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La morte prematura di un coniuge. Se te ne vai troppo presto

La storia di Marta. Lutto e monogenitorialità

“Pregherò queste mura, che sia vera la realtà. Dove andiamo? Cosa importeràTutti i giorni una festa giù nel cuore. Sei felice amore?”

 (Finchè morte non ci separi – Levante – Abbi Cura di te, 2015)

I nomi utilizzati all’interno dell’articolo sono di mia invenzione, a favore della tutela e della privacy di chi ha contribuito alla realizzazione dell’articolo stesso. I fatti descritti all’interno dell’intervista breve sono realmente accaduti e fanno riferimento a personaggi realmente esistiti. (G.P.)

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Psicologia dell’emergenza. Lo psicologo sul campo

Image courtesy of http://www.centrorampi.it/ 

Cosa ci fa uno psicologo sul luogo di una emergenza? No, non è l’inizio di una battuta di spirito, bensì la testimonianza di una branca specialistica della psicologia, che abbraccia contributi che provengono da molti ambiti, e che consento allo psicologo di intervenire nel qui ed ora del dramma vissuto da coloro che sono stati testimoni di grandi emergenze, tragedie, terremoti e attacchi terroristici. Secondo l’EUROPSY la psicologia dell’emergenza si applica in “situazioni critiche fortemente stressanti, che mettono a repentaglio le routine quotidiane e le ordinarie capacità di coping degli individui e delle comunità di fronte ad avversità di ampia magnitudo, improvvise e urgenti. Esse sono determinate da eventi di grande dimensione collettiva (maxiemergenze), ma anche da circostanze gravi, più circoscritte della vita quotidiana.”

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