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Vergogna e ritiro sociale, scomparire per sostare

La vergogna può essere definita, prendendo in prestito le parole di Giampaolo Salvatore, il dolore dello stare orrendamente in compagnia di se stessi. Troppo spesso accade in situazioni sociali, nuove o che richiedono performance, di entrare in contatto con un forte senso di inadeguatezza, arrivando a sentire tale vissuto come soverchiante, al punto da invalidare qualsiasi tipo di contatto con l’altro.

 Questo accade soprattutto in adolescenza, dove l’irrompere del corpo sessuato e le innumerevoli sfide sociali premono sul Sé. I vissuti di forte vergogna inducono l’adolescente a rifuggire il confronto con lo sguardo esterno, percepito come sdegnoso e privo di stima. In tale tentativo di ritirata, l’adolescente si sottrae a se stesso, eclissandosi, rifiutandosi e sperimentando un forte senso di solitudine e spaesamento. In un gioco di specchi e proiezioni, l’individuo perde di vista il termometro emotivo delle situazioni sociali, percepite principalmente come occasioni di eccessiva esposizione dei propri aspetti fallimentari e non come un terreno di sperimentazione e crescita.  Sguardo esterno ed interno si confondono in un’unica dimensione mortificante, dove padroneggia la percezione di non essere visti nella mente dell’altro. L’ assenza di rappresentazione nella mente altrui si può individuare come matrice del senso di vergogna espresso; a tal riguardo Schore scrive “la vergogna ha origine in esperienze di stati affettivi intensamente dolorosi, indotti da un’inaspettata mancanza di sintonizzazione”.

 Il fallito riconoscimento dei bisogni del bambino induce lo stesso a considerarli non legittimi, restituendogli di fatto un senso d’ incapacità nello sviluppare delle coordinate sociali in grado di rendergli la cifra di quanto vissuto. Difficile diventa quindi riuscire a gestire e calibrare le situazioni di incontro con l’altro, avvertito come giudice severo. Lo iato tra il sé ideale a cui si tende e quello reale diventa sempre più ampio causando delle grosse fratture d’integrazione tra ciò che si è e come si vorrebbe essere. In rilievo sembrano essere visibili tutte le mancanze, mentre sullo sfondo poggiano gli aspetti di orgoglio appassiti.

Di fronte a questo scenario si determina un crollo delle strategie che lascia il posto all’unico espediente in grado di sospendere il giudizio temuto, l’evitamento. Attraverso l’evitamento l’individuo si costruisce una dimensione solipsistica sospesa nello spazio e nel tempo dove sostare nella speranza di non essere visto.

Sempre più frequentemente si sente parlare di ritiro sociale tra gli adolescenti; solitamente questo origina con un ritiro scolastico, ma presto investe tutti gli altri ambiti di vita del giovane. Chiudendosi in un letargo emotivo, l’adolescente si scherma dietro una corazza di gomma che allontana lo stesso da tutte quelle esperienze che, contrariamente a quanto immaginato, strutturerebbero il Sé in termini edificanti permettendogli il fisiologico svincolo adolescenziale dalle figure genitoriali. Per certi versi il ritiro sociale si configura come un’inversione di rotta nella traiettoria evolutiva, portando l’adolescente a regredire verso aspetto di dipendenza e scarsa autonomia. Il bozzolo del ritirato sociale appare quindi poco nutriente e lo inchioda alle proprie fragilità narcisistiche, senza spazio d’azione. La realtà del ritirato sociale sembra pertanto rispondere alle leggi della “cultura della vergogna”, denominata così dall’antropologa Ruth Benedict, dove l’onore e il riconoscimento sociale determinano il peso del valore personale.

In ragione di quanto descritto, il lavoro terapeutico da svolgere in questi casi ha la necessità di rimettere al centro i vissuti di imbarazzo e vergogna, ponendo come assunto primario l’esistenza di tali nel corollario emotivo di ciascuno di noi riconoscendoli e accogliendoli, ma soprattutto permettendo una sintonizzazione, uno sguardo e una comprensione diversi da quelli mancati all’interno delle relazioni primarie.

Per approfondire:

Lancini,M, Cirillo, L, Scodeggio,T & Zanella, T (2020) L’adolescente. Psicopatologia e psicoterapia evolutiva. Raffaello Cortina Editore. Milano

Salvatore, G (2023) La vergogna del terapeuta. Da nucleo di sofferenza a fattore di cura. Raffaello Cortina Editore. Milano

Dott.ssa Valentina Merola

email: vale.merola@hotmail.it

Psicologa a Roma, riceve in zona Ostiense

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Tatuaggi
Le identità sulla pelle

Negli ultimi decenni, il consumo di tatuaggi è aumentato notevolmente e abbiamo assistito a un cambiamento relativo al target sociale coinvolto in questa pratica: da motociclisti, membri di bande e criminali di ieri ad appassionati, artisti e professionisti perlopiù appartenenti alla middle class di oggi (DeMello 2000).  La crescente accettabilità sociale della body art ha stimolato l’industria del tatuaggio e attualmente si stima venga aperto almeno un nuovo studio di tatuaggi al giorno!

Secondo uno dei pochissimi sondaggi del settore svolto in America, il 16% degli adulti americani oggi ha almeno un tatuaggio rispetto al 6% nel 1936;  i giovani sono i maggiori “consumatori”: tra i 18 ei 29 anni la cifra sale al 49% (Harris Interactive, 2004).  La crescente e significativa diffusione di questa pratica di modificazione corporea nei giovani ha sollecitato la curiosità di numerosi ricercatori in campo sociale, psicologico e antropologico in relazione al ruolo che l’impiego del tatuaggio gioca nella costruzione, nella “negoziazione” e nella gestione dell’identità di un individuo.

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Il ruolo dei fratelli nell’Autismo
Ragazzi in “ombra”

Le paure che si celano dietro ad un ritardo nel linguaggio, a uno sguardo sfuggente, quel desiderio di contatto che lascia i genitori sempre più delusi ed impotenti dinanzi a qualcosa di così grande, fuori controllo, il tutto sfocia in una diagnosi composta da una parola sola: autismo e quando arriva colpisce in modo simile a uno schiaffo.

Qualsiasi diagnosi di disabilità rappresenta per la famiglia un’esperienza drammatica, paragonabile ad un lutto, poiché l’idea del figlio che si era creata durante la gravidanza viene sgretolata dai primi campanelli d’allarme che insinuano il dubbio della presenza di un problema. In un primo momento c’è la speranza di un errore, che tutto possa sistemarsi, ma poi quando arriva la diagnosi, spesso in modo troppo diretto da non lasciare spazio al pensiero, alla rielaborazione di quel turbinio di sentimenti che colpisce e travolge, ci si sente confusi, soli ed arrabbiati.

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Essere una pecora nera
Inadeguatezza o nuove possibilità?

Basta con la storia che io sono quella sbagliata, quella diversa, la pecora nera, siete voi che siete tutti uguali con lo stesso difetto.

Lucrezia Beha

Essere accettati per chi siamo e/o per ciò che facciamo all’interno della famiglia non è sempre facile.

Molte volte si viene riconosciuti come “La pecora nera”, come una persona che si muove diversamente dal gruppo di appartenenza e che mette al primo posto il bisogno di sentirsi liberi e ribelli da tutto ciò che ci hanno da sempre insegnato.

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Sostenibilità emozionale
Scelte di consumo e benessere

E se il benessere mentale passasse dal corpo e dalla sostenibilità emozionale?

Chiedere ad una persona di adottare un comportamento di consumo sostenibile senza che abbia prima compiuto un viaggio di analisi e esplorazione di sé è molto complicato.

Il motivo è semplice: senza educazione ad hoc sul tema, senza conoscenza, senza curiosità e soprattutto, senza vedere il proprio beneficio personale, è impossibile chiedere all’essere umano di adottare un comportamento contrario, se non proprio opposto, a quello che ha avuto fino a quel momento, cui si è allenato per tutta la vita e che ha plasmato i suoi interessi e i suoi gusti.

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Farmaci e sessualità
Istruzioni per l’uso

Vi siete mai chiesti se un farmaco, psico o no, possa intaccare la vostra vita sessuale? In che modo?

Esistono solo degli effetti iatrogeni da un punto di vista meramente fisiologico o è importante tenere in considerazione anche tutti gli altri fattori come, ad esempio, gli aspetti relazionali e sociali che possono incidere sulla nostra vita affettiva?

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La Sinestesia
Quando le parole hanno sapori e colori singolari

“I colori hanno la pazienza che manca alle parole. E sanno riempirsi di decine di sfumature inaspettate.”

Fabrizio Caramagna

Avete presente quando diciamo che “non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”? beh…si può affermare che sia vero!

Il nostro cervello ci fa un dono! Lascia ad ognuno di noi la scelta di decidere se una cosa ci piace oppure no, rispetto a tutto ciò che ci circonda, e sul modo di vivere queste esperienze; insomma per farla breve, il nostro modo di percepire parole, suoni, sapori, rumori, colori…è totalmente diverso per ognuno di noi.

Alcuni addirittura “beneficiano” di sinestesia; ma andiamo per ordine!

Questa parola significa letteralmente “percepire insieme” e riguarda il fenomeno di percepire in modo particolare qualcosa.  

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Influencers e shopping
Meccanismi disfunzionali

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Come mai dei personaggi con cui non abbiamo alcun legame riescono a farci comprare quello che vogliono?

Come riescono gli influencers a convincerci della necessità di provare un prodotto da loro suggerito? Ti è mai successo di comprare qualcosa, un abito, un cosmetico, solo perché visto su un influencer/creator?

Non giudicarti se ti è successo, ci siamo cascati più o meno tutti. 

Da che mondo è mondo, la maggior parte delle persone infatti fanno acquisti perché ispirate da coloro che li circondano: amici, parenti, colleghi. Prima c’erano le riviste moda, che proponevano attori/trici, modelle/i, cantanti come ulteriore sfondo da cui prendere spunto. Poi hanno fatto capolino gli influencers. 

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Elogio della nostalgia
Il dolore come risorsa

Sai riconoscere quale nostalgia ti anima?

Ci sono nostalgie dolorose e scarnificanti, nostalgie che fanno vivere e nostalgie che fanno morire, nostalgie che si nutrono di gioia e di tristezza, nostalgie che non si cancellano nel corso del tempo e nostalgie labili ed effimere…”  Eugenio Borgna

Nel libro “La nostalgia ferita”, lo psichiatra e saggista contemporaneo Eugenio Borgna parla di un sentimento che persiste allo scorrere del tempo del nostro vivere: la nostalgia che non muore.

La nostalgia – dal greco notos “ritorno”  e  algos “dolore” , ovvero ritorno al dolore – è un’emozione complessa che ci accompagna lungo il cammino di crescita e di conoscenza di noi stessi e che percepiamo più forte nei periodi di vita colpiti da perdite. Borgna la descrive come un’emozione ferita dal trascorrere del tempo e intessuta di ricordi che ci riportano intensamente a contatto con il passato, con le esperienze significative che hanno nutrito e che continuano a nutrire l’anima.

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Il corpo
Tra simbolo e parola

Donna con mani incrociate, vista di schiena- Egon Schiele

Egon Schiele, pittore austriaco vissuto agli inizi del Novecento, racconta la poetica sottesa alle proprie opere attraverso la rappresentazione del corpo; dipinto come torbido, caotico, espressione di desiderio e di caducità della vita. Attraverso forme scomposte e incerte descrive il movimento dinamico di un corpo, contenitore di un’interiorità tormentata, la cui unica pretesa risulta essere l’esistere. Un’ esistenza senza spazio e senza tempo, le ambientazioni sfumano, l’età dei soggetti appare secondaria. Il corpo in questo senso sembra essere il veicolo di qualcosa di inespresso, che trova difficilmente rivelazione mediante la parola.  Ciò però non lo rende privo del significato più profondo che custodisce; nel coacervo di emozioni e sensazioni, che tali raffigurazioni suggestionano nello spettatore, domina il senso di ineffabilità circa un nucleo emotivo magmatico. La rappresentazione del corpo in tale paradigma artistico, può rimandare a quello che nel campo psicologico risulta essere un corpo trascurato all’interno delle relazioni primarie e che si fa, per questo, emblema di tutte le sue contraddizioni affettive.

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