Sulla riabilitazione psichiatrica
Lo sviluppo della persona

Un disturbo psichico o mentale è una condizione patologica che colpisce in modo disadattativo la sfera comportamentale, relazionale, cognitiva oppure affettiva di una persona. 

Il disturbo mentale rende problematica l’integrazione socio-lavorativa e causa una sofferenza personale all’individuo colpito.

La riabilitazione psichiatrica ha come obiettivo principale la “guarigione sociale” della persona con disabilità psichiatrica in un contesto multidisciplinare e multiprofessionale. L’intervento psichiatrico aiuta la persona nella gestione dei sintomi, a rimuovere le barriere interpersonali ed ambientali, a recuperare le capacità utili a vivere indipendentemente, a socializzare e a gestire efficacemente la vita quotidiana puntando su riorganizzazione e potenziamento delle capacità residue. Il metodo di lavoro prevede di stabilire degli obiettivi, partendo dalle scelte della persona rispetto all’ambiente dove vorrebbe vivere, lavorare, studiare e socializzare entro un determinato periodo di tempo. 

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“Come fosse un sogno, neanche mio…”
Esperienze di derealizzazione-depersonalizzazione

“La realtà
È correre nel vento
Nella gara di nessun traguardo
Nell’amore che sventola nel porto
La realtà non può essere altro”

E. Bennato – “La realtà non può essere questa” (2020)

In questa sua canzone Edoardo Bennato traduceva il senso della limitazione dettata dalla pandemia, dalle quarantene, dai divieti imposti per un senso di sicurezza collettiva, descrivendo una realtà apparentemente persa, sottratta, fatta di quotidiani gesti di condivisione, semplici ma vissuti in uno spazio aperto e libero. La canzone si intitola  “La realtà non può essere questa”, come fosse una rassicurazione, un tentativo di ripetere e ripetersi le certezze di esperienze vissute come reali, concrete e che non possono essere sostituite.

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E tu, quando metti su famiglia?
Come nasce un’aspettativa sociale

Alexander Pope

“Beato chi non si aspetta nulla dagli altri, perché non resterà mai deluso”

E tu, quando metti su famiglia?

Questa domanda spesso è seguita, nell’arco della vita, da altre fantastiche domande come: quando vi sposate? Non è ora di avere dei figli? Altre volte invece è preceduta da: quando ti laurei? Non è ora di trovarti un lavoro stabile?

Possiamo dire che più o meno a tutti e tutte è capitato di sentirsi rivolgere queste domande, provenienti da quelle aspettative sociali secondo le quali a ogni età corrisponde parallelamente uno status relazionale e/o formativo/lavorativo, ma da dove vengono queste aspettative?

: E tu, quando metti su famiglia?
Come nasce un’aspettativa sociale

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Essere onlife
Alla ricerca della propria realtà

Il termine onlife coniato dal professor Floridi, filosofo e docente all’Università di Oxford, descrive un fenomeno che più o meno ampiamente interessa la vita di ciascuno di noi. Questa espressione delinea il vivere in una dimensione tra la realtà virtuale e quella materiale, i cui confini stanno diventando ormai molto labili. Ma cosa succede se tali confini si dissolvono? Quando arriviamo in un posto nuovo o stiamo partecipando ad un momento di festa, spesso, tra i primi pensieri che sfiorano la nostra mente c’è il voler condividere sui social quanto stiamo vivendo.

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Lasciar andare per vivere meglio
La mania di controllo sul banco d’accusa

Avete presente cosa significa desiderare ardentemente qualcosa, attivarsi per raggiungerla con tutte le proprie forze, incontrare ostacoli non superabili e accettare quindi ciò che non si può cambiare? No? Beh, benvenut3 nel club.

In questa nostra “società della performance” (Colamedici e Cangitano, 2019) ci siamo abituat3 a trovare un modo per oltrepassare gli ostacoli, evitarli, girargli intorno, talvolta con un fare quasi da ueber-mensh (superuomini e superdonne), insomma a forzare le situazioni che non possono essere… che abbiamo dimenticato cosa significa fermarsi, realizzare che una situazione non può essere cambiata, accettarla.

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Società Performativa
L’università e la vita non sono una gara

“Strappare lungo i bordi” – Zerocalcare

L’università non è una gara. O meglio la vita non è una gara e non dovrebbe diventarla.

Eppure siamo tutti consapevoli di vivere in una società fortemente performativa in cui uno dei miti principali è “avere successo”.

Successo a cui siamo spinti, non senza pressioni, per sentire di avere un ruolo e una buona posizione nella società.

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I disturbi alimentari
Uno scudo per le relazioni 

Lo psicoanalista britannico Donald Winnicott riteneva che alla base dei disturbi alimentari ci fosse una sofferenza psichica legata ad un vuoto generato dal non sentirsi amati altresì dal dubbio che si forma dall’incostanza genitoriale e dalla possibilità di accedere all’oggetto d’amore; fenomeno intrapsichico riconducibile alle prime esperienze relazionali, ovvero le primordiali relazioni d’affetto le quali vengono interiorizzate ed estese lungo il percorso di vita. Dunque il senso di ambiguità può essere riscontrato nelle relazioni intime. 

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Regole sociali e relazioni
Siamo tutti nello “spettro”?

@Pixabay

Da quando il DSM-5 ha sussunto il disturbo autistico, la sindrome di Asperger, il disturbo pervasivo dello sviluppo non altrimenti specificato e il disturbo disintegrativo dell’infanzia nella definizione di disturbo dello spettro autistico, la vecchia diagnosi categoriale è stata sostituita da una dimensionale, in cui i sintomi sono presenti lungo un continuum, che si muove in base alla gravità degli stessi e alla necessità di sostegno che la persona presenta.

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L’arte di lamentarsi
Il circolo vizioso tra lamentele e pensieri negativi

Per “lamentele” si intendono quelle parole con cui esprimiamo il nostro disappunto. A chi non è capitato, almeno una volta nella vita, di lamentarsi di qualcosa? Esistono però alcune persone che si lamentano sempre: a casa, a scuola, a lavoro, con gli amici… ma come mai?

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Quali memorie per testimoniare?
La Pisocoanalisi tra narrazione e trauma

“Il cibo dei morti per i vivi” – David Olère 1945

Questo dipinto è un disegno postumo dell’artista che ricorda la sua drammatica esperienza come membro del Sonderkommandodal (2 marzo 1943) fino alla liberazione nel 6 maggio 1945. Il Sonderkommandoera era un gruppo di deportati scelti, soprattutto ebrei, che collaboravano con le autorità del campo. Qui il cibo che rappresenta l’unico nutrimento e fonte di sopravvivenza, ogni altro bisogno che richiamasse la dimensione umana fu negato.

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