“Comunque sia, virtuoso o vizioso, l’amore, alla fine, va bene alla maggior parte di noi”. Larkin, Love
Ma quali sono i fattori che contribuiscono a rendere un amore virtuoso e una coppia felice?
Alcune ricerche in Psicologia delle Relazioni hanno individuato come indicatori per una buona relazione le emozioni positive, la stabilità, la complicità, il successo personale e il consenso tra coniugi.
Eravamo giovani, ingenui, arrabbiati, allegri e disperati Credevamo che i soldi fossero il male Odiavamo chi sventola le manette Chi ha sempre qualcuno da condannare Eravamo dalla parte di chi non ha niente Non importa l’appartenenza sociale, l’identità sessuale
Avevamo letto da qualche parte “Un uomo è ricco in proporzione al numero Di cose delle quali può fare a meno” Ma anche che il sistema schiaccia chi non ha denaro E si serve di chi è povero di pensiero Credevamo di poter parlare di tutto senza qualificarci E senza inginocchiarci davanti al progresso
“Le avventure accadono a chi le sa raccontare.” (J. S. Bruner)
Fin dalla preistoria le storie e i racconti hanno caratterizzato la trasmissione di pratiche, valori e insegnamenti all’interno delle tribù, e poi delle società propriamente dette, alle generazioni successive. Questa modalità di educazione e condivisione si è diffusa prima in maniera orale per poi codificarsi nella forma scritta come patrimonio tangibile di conoscenze.
Prima di mettersi in cammino si allacciano le scarpe, capita poi che lungo il tragitto ci siano dei nodi più resistenti e alcuni invece troppo lenti. Per poter continuare il viaggio spesso siamo portati a riannodare i lacci, con la speranza che almeno per quel tragitto reggano, a volte succede, a volte si slacciano nuovamente. Questi nodi metaforicamente possono considerarsi alla stregua di tutti quei legami che nel corso della vita si intessono, alcuni durano il tempo di qualche passo, altri il tempo di una maratona. Ciò che però risulta imprescindibile è il bisogno di ciascuno di noi di riannodare quei due lembi di stoffa per prevenire l’inciampo e per continuare nel nostro percorso.
Ogni giorno ciascuno di noi si confronta con il tema della separazione che vede quei due lacci divisi, dopo un pezzo di strada insieme. Ci si separa dai genitori, dagli amici, dai partner, ma anche dai colleghi o dal cassiere al supermercato. Il terapeuta e il paziente si separano tra una seduta e l’altra, come per la pausa estiva o per la chiusura di un percorso.
Sempre di più in questo ultimo periodo, in merito a vari argomenti ed eventi di cronaca, si va palesando una divisione in schieramenti opposti: trincerate dietro questioni educative divisive, la scuola da una parte e la famiglia dall’altra, si “fanno la guerra” nelle parole di insegnanti, genitori, studiosi e tecnici. Qualche mese fa, Giuseppe Lavenia scriveva su Repubblica un articolo che, partendo da una riflessione sul femminicidio, sollecitava i genitori a “svegliarsi” rispetto all’educazione emotiva e sentimentale delle figlie e dei figli, senza pretendere che questa sia compito soltanto della scuola.
“Il canto della durata è una poesia d’amore. (..) E questo amore ha la sua durata non in qualche atto, ma piuttosto in un prima e in un dopo, dove per il diverso senso del tempo di quando si ama, il prima era anche un dopo e il dopo anche un prima”
Che significato diamo alla parola “durata”? Peter Handke sosterrebbe che dietro a questo termine si nasconda la “sensazione di vivere”; altri, invece, si potrebbero nascondere dietro a questo tema riportando il loro disagio, la loro vergogna, la loro ansia ed il loro dolore.
Negli ultimi cinque anni ho avuto il grande privilegio di lavorare nei licei, a stretto contatto con ragazz* adolescenti e con i/le loro docenti.
Gli interventi che mi sono rimasti più in mente, sono stati quelli in cui si apriva uno scambio sulla natura delle relazioni sentimentali e in cui emergeva un gran desiderio di confrontarsi sui temi più caldi della vita adolescenziale: gli affetti, gli amori, il sesso, i vissuti di gratificazione e di imbarazzo, le prime esperienze e i bisogni di relazione.
Il vizio capitale che tratteremo oggi è, probabilmente, il peccato più temuto nella storia dell’essere umano e quello più insito e negato dentro ognuno di noi. Sto parlando dell’invidia.
Nel folklore culturale di molte popolazioni del mondo, dal passato sino ad oggi, si associa alla persona invidiosa il potere di inviare la sfortuna sul malcapitato invidiato, provocandogli il famoso “malocchio” ossia “sguardo malevolo”. L’invidia, nella mente collettiva ha il potere addirittura di deviare la sorte di un essere umano, e ovviamente, si necessita di svariati rituali tramandati di generazione per togliere il malocchio o l’invidia subita.
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