Tra il sopravvivere e il fiorire
L’approccio facilitatore di Siegel e Payne Bryson

L’ approccio facilitatore di Siegel e Payne Bryson prende spunto da studi effettuati sul cervello, in particolare nell’ambito delle neuroscienze cognitive, e si basa sui concetti di integrazione e relazione.

L’approccio proposto da Siegel e Payne Bryson si pone, come sostengono gli autori stessi, tra il “sopravvivere” ed il “fiorire”: è necessario per i genitori “sopravvivere” all’ennesima lite tra i bambini per un giocattolo, alla festa di compleanno, etc..; ma è allo stesso tempo necessario che aiutino i bambini a “fiorire”, a sbocciare in tutte le loro potenzialità.

Ed è proprio nella baraonda per la “sopravvivenza” che si creano condizioni favorevoli per poter fornire nuovi strumenti al bambino per “fiorire”. Se infatti l’ennesima lite tra fratello e sorella ci può portare a interrompere il conflitto mandando ognuno nella propria camera, scelta a volte utile ai fini della “sopravvivenza”, potremmo tuttavia pensare di utilizzare proprio questa crisi per insegnare alcune abilità relazionali come l’ascolto, la capacità di vedere il punto di vista dell’altro, la capacità di esprimere i propri desideri in modo rispettoso, ecc., in modo da favorire lo sviluppo cerebrale, relazionale e la formazione del carattere del bambino, che progressivamente acquisirà crescenti abilità nel gestire i conflitti anche in assenza dei genitori/educatori.

Non è quindi necessario secondo gli autori “ritagliarsi” un ulteriore spazio tra i mille impegni quotidiani per potersi occupare bene del bambino. Non è necessario perché ogni interazione con i propri figli, anche quelle più agitate o quelle in cui si vorrebbe solo “sopravvivere” ai prossimi cinque minuti di caos, possono essere un’opportunità per aiutare lo sviluppo del bambino. I momenti di crisi racchiudono opportunità di crescita e di integrazione.

Siegel e Payne Bryson ne danno una spiegazione ricorrendo alle neuroscienze: il cervello viene plasmato dall’esperienza nel corso di tutta la vita, dalla nascita, all’età adulta, fino alla vecchiaia. Pertanto ogni interazione, ogni esperienza, può plasmare il cervello e agire sulla sua plasticità, modificandolo dal punto di vista fisico, favorendo lo sviluppo di nuove associazioni neuronali e lo sviluppo mentale. Ogni interazione quindi è potenzialmente un’occasione di crescita.

Cosa fare quindi per far sì che effettivamente le interazioni e le esperienze quotidiane diventino nutrimento per la plasticità del cervello?

Gli autori ci mettono in guardia dal rischio di cadere nell’interventismo estremo, ricordando come questo non sia utile a garantire dei risultati e come inoltre incontri comunque il limite fisiologico legato all’età e ai tempi fisiologici di sviluppo del bambino, contro i quali l’interventismo può poco.

Come detto, Siegel e Payne Bryson utilizzano i concetti di integrazione e relazione per la loro teoria.

Per integrazione si intende la necessità di far lavorare simultaneamente ed in connessione le diverse aree del cervello, ciascuna con i propri compiti. L’integrazione risulta fondamentale perché si pensa che le crisi di rabbia, comportamenti aggressivi o disregolazioni emotive possano derivare da una perdita dell’integrazione stessa.

Le integrazioni sono divise in due tipologie:

Integrazione orizzontale

Integrazione tra emisfero sinistro del cervello, parte che si occupa della logica e della linguistica; ed emisfero destro, deputato alla gestione delle emozioni, delle immagini e dei ricordi.

Integrazione verticale

Integrazione tra la parte inferiore del cervello, il tronco encefalico e la regione limbica, che si occupano degli istinti e dei movimenti involontari del corpo; e la parte superiore del cervello, la corteccia cerebrale, che si occupa dell’organizzazione del pensiero.

Per relazione, invece, si intendono gli scambi interpersonali quotidiani, insieme a tutti i vissuti esperienziali con cui il bambino si è confrontato. Le relazioni possono favorire i processi di integrazione tra le varie aree del cervello e quindi promuovere un corretto sviluppo e benessere del bambino. Questo avviene grazie alla plasticità del cervello, che permette alle esperienze vissute durante la vita di plasmare e modificare continuamente le connessioni neuronali.

Partendo da queste basi sono state elaborate alcune strategie di intervento.

In una situazione in cui il bambino è sommerso dalle emozioni (emisfero destro), urla o piange apparentemente senza motivo, o dà spiegazioni incoerenti, pieno di rabbia o di altre emozioni pervasive, non è il momento adatto per spiegargli i fatti (emisfero sinistro). È invece il momento di sintonizzarsi con il bambino, di ascoltare il suo emisfero destro e rispondere con il proprio emisfero destro, di entrare in sintonia con lui e la sua emozione, stargli vicino, anche fisicamente o con il tono della voce, raccogliere le sue emozioni e dimostrare di averle capite e di rispettarle. Questo gli consentirà di gestire l’onda delle emozioni invece di esserne sommerso, di iniziare a calmarsi, e da lì sarà possibile iniziare a lavorare insieme per l’integrazione, a dare un nome alle cose, a spiegarle, reincanalando l’interazione con l’emisfero sinistro, iniziando a trovare insieme un senso logico, una spiegazione e infine una soluzione.

Naturalmente il fatto che il bambino non utilizzi al momento della crisi la parte sinistra del cervello (quella logica, delle regole) non significa accettare che manchi di rispetto o stravolga le regole della famiglia: sapere che è sommerso dalle emozioni non è una scusa per abdicare alla funzione educativa. In questi casi potrà essere necessario allontanarlo dalla situazione o fermare il comportamento distruttivo prima di sintonizzarsi con lui, e le regole verranno poi discusse in un secondo momento, dopo essersi sintonizzati (emisfero destro), quando l’emisfero sinistro entrerà in gioco nell’integrazione.

Ci possono inoltre essere situazioni di crisi in cui l’emotività è talmente accesa da poter solo aspettare insieme a lui che passi la tempesta; non sarà possibile allora cavalcare l’onda, ma sarà poi comunque possibile riprendere il lavoro sull’integrazione in un secondo tempo, parlando con il bambino delle sue emozioni.

È esperienza comune a molti il fatto che raccontando un evento emotivamente carico, l’emotività man mano si vada placando. Ciò accade in quanto la narrazione, il poter nominare i fatti e le emozioni, consente di integrare i due emisferi; mentre l’emisfero sinistro racconta il senso logico dei fatti, gli eventi, i dettagli, utilizza il linguaggio e la logica, allo stesso tempo l’emisfero destro contribuisce portando le emozioni, le sensazioni corporee e i ricordi autobiografici. Se il bambino è inondato dalle emozioni forti dell’emisfero destro, e qualcuno lo aiuta invece ad utilizzare l’emisfero sinistro per dare un nome ai fatti e alle emozioni spaventose che sta provando, potrà andare verso l’integrazione e poi affrontarle.

Chiedere al bambino di raccontare un fatto (che sia una semplice caduta durante la corsa, oppure un evento traumatico, un lutto ecc.) è utile. Chiedere di raccontare non significa esporlo ad una ulteriore e inutile sofferenza riportandolo a pensare a quei fatti, anzi: raccontare lo aiuta a dare un senso all’accaduto, a comprenderlo e ad integrarlo con le emozioni, arrivando a rapportarsi meglio con l’evento anche dal punto di vista emotivo.

La narrazione funziona efficacemente anche con bambini molto piccoli, già dal primo anno di vita. Crescendo, il bambino acquista maggiori competenze, anche linguistiche, e può assumere sempre di più il ruolo di narratore, mentre il genitore diventa progressivamente un semplice facilitatore della narrazione, che guida il bambino nel nominare le emozioni e nel narrare i fatti.

Quando un bambino è bloccato nelle modalità tipiche della parte inferiore del cervello, ad esempio in una crisi di collera, il genitore/educatore, invece di far ricorso alla propria autorità e lanciare un ultimatum, scelta che comunque è possibile e a volte utile, pur non creando un’occasione di sviluppo dell’integrazione, può scegliere di far ricorso alla parte superiore del cervello. E quindi, invece di infiammare la parte inferiore e primitiva scatenando ulteriore rabbia, può decidere di rivolgersi alla parte superiore e di attivarne le funzioni. Per fare ciò il genitore/educatore dovrà prima entrare in sintonia con l’emozione del bambino e reincanalarla e nominarla; e solo successivamente dovrà attivare le modalità tipiche della parte superiore, quindi fare ricorso alle funzioni superiori: alle capacità decisionali, di programmazione, di ricerca di soluzioni alternative, ecc., guidando il bambino in questo percorso di ricerca di soluzioni che ancora non possiede pienamente e che sta sviluppando.

Se la parte inferiore del cervello fa la parte da leone mentre la parte superiore non sembra accessibile, a volte può essere utile ricorrere all’attività fisica che, come alcuni studi dimostrano, influisce direttamente sulla chimica cerebrale. Attraverso il movimento o il rilassamento, quindi, modifichiamo il nostro stato fisico e questo può modificare il nostro stato emotivo, favorendo di conseguenza poi l’integrazione.

È quindi possibile, secondo l’approccio formulato da Siegel e Payne Bryson, usare delle strategie per favorire una maggiore integrazione tra le diverse parti del cervello del bambino, in senso “verticale” e “orizzontale”.

Questo consentirà di avere dei risultati positivi e di aiutare il bambino non solo nel presente, ma anche in prospettiva futura; in adolescenza, così come in età adulta.

Dott. Diego Bonifazi

Assistente Sociale a Roma

(+39) 3296614580

Email: diego.bonifazi@yahoo.it

Per Approfondire:

  • Siegel D.J. (2010), “Mindsight. La nuova scienza della trasformazione personale”, Raffaello Cortina Editore, 2011
  • Laura Bernardi – www.stateofmind.it
  • www.ilvasodipandora.org
  • www.psicoterapiaatorino.it
  • Siegel D.J., Payne Bryson T. (2011), “12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo mentale del bambino”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012.

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