Social media e violenza di genere
Come diffondiamo l’odio

Pubblicazione a promozione del progetto “Rondini. Centro di ascolto psicologico e assistenza legale” finanziato dalla Regione Lazio con risorse statali del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, promosso dall’Associazione Semi di Pace OdV in collaborazione con l’Associazione Il Sigaro di Freud come soggetto terzo – www.semidipace.it/progetto-rondini/

​“Personalmente, penso che si possa capire l’azione dei media unicamente nella logica della violenza simbolica. I media (…) esercitano un effetto proporzionato alle loro capacità di manipolare le strutture precostituite della mente delle persone.”

In una intervista nel 1994, Pierre Bourdieu rispondeva con queste parole alle domande di Sergio Benvenuto per la rivista Doppiozero. Il filosofo, sociologo e antropologo francese, è noto in ambito accademico e non solo per aver definito il concetto di “violenza simbolica”. Una violenza dolce, che fonda e costituisce il senso di molte relazioni umane. Celebre l’esempio della relazione pedagogica così come descritta da Bourdieu stesso: “che implica un’imposizione arbitraria di un arbitrio culturale. Il sistema educativo esercita sui discenti un’imposizione di categorie di pensiero, trasmettendo forme di classificazione e tassonomie.” Tali strutture diventano strutture mentali che influenzano la nostra weltanshaung, plasmano i nostri valori e la percezione dei nostri diritti. La violenza simbolica è quindi una violenza di tipo cognitivo, non cosciente, ma basata su strutture cognitive che operano nel nostro pensiero e nel nostro orientamento rispetto al mondo in modo costante. Ogni nostro gesto, abitudine sociale e pensiero è profondamente influenzato da queste forme di violenza “dolce”, e se nel secolo scorso tale compito era affidato in primis alle agenzie educative come la famiglia e la scuola, ora una nuova, potente, leviatanica cassa di produzione e risonanza di tale indottrinamento silenzioso sono i social media.

Illimitati, possono raggiungere potenzialmente chiunque dotato di un dispositivo elettronico in grado di accedere a un social network o a contenuti digitali. Senza alcun controllo sui propri contenuti. Nonostante le proteste e gli impegni di società come Facebook o Youtube, di vietare la circolazione di notizie false, violenza e razzismo, è utopistico pensare che un sistema nato per permettere alle persone di condividere informazioni senza bisogno di fonti, su qual si voglia argomento, in scala esponenziale, possa essere limitato. Esattamente come abbiamo, o forse “non” abbiamo, imparato a comprendere per le epidemie, il tasso di diffusione di un modello, di un’idea, o di uno stigma è sempre esponenziale. Un virus come il Covid-19 all’inizio si diffonderà esponenzialmente, se non è disponibile alcuna immunizzazione artificiale. Ciascuna persona infettata può infettare molteplici nuove. Lo stesso comportamento si osserva nei social media, senza che gli utilizzatori siano coscienti di essersi fatti vettori di “informazioni” patogene. È il caso di fare diversi esempi.

Le barzellette e le battute sono un esempio ideale del concetto di violenza simbolica a cui Bourdieu ha dedicato tanti studi. L’idea che le donne non sappiano guidare è molto diffusa da questa cassa di risonanza socioculturale profondamente ancorata a un modello sociale patriarcale. Se cercate su Google questo argomento troverete quasi un milione e mezzo di risultati. Il concetto declinato in diverse sfumature è che le donne sono incapaci di guidare, vestono in modo inadatto alla guida e provocano più incidenti degli uomini. Eppure, secondo una ricerca statistica effettuata dal Vias Institute nel 2020, le donne hanno meno incidenti gravi. Le donne rappresentano solo il 34 % di chi subisce incidenti gravi, e il 44 % di quelli lievi. Inoltre, ogni 1.000 lesioni corporali per incidenti, 10 coinvolgono una donna, 19 i maschi. Eppure le barzellette sulle donne al volante non accennano a diminuire. Costituiscono il frutto di un processo collusivo culturale che si basa sull’idea che le donne non sappiano fare ciò che devono fare gli uomini. E allora? Sono solo barzellette, sono innocue, inoffensive. Solo un meme stupido da scrollare su Facebook dopo aver aggiunto un like. Non esattamente, considerando che in base a questo processo di reificazione culturale le donne pagano le stesse assicurazioni auto degli uomini, sebbene le stesse ne usufruiscano di meno e con liquidazioni inferiori. Perciò la barzelletta contribuisce a creare, e riflette, un mondo in cui sebbene le donne facciano meno incidenti pagano le stesse somme di assicurazione della controparte maschile.

Ogni idea, immagine, stereotipo o forma di comunicazione co-costruisce e replica un modello; spesso senza che coloro che contribuiscono alla loro diffusione ne siano consapevoli. Prendiamo le imprecazioni. Quelle rivolte agli uomini fanno riferimento ai loro genitali e al loro orientamento sessuale. Quelle rivolte alle donne all’aspetto fisico, al sesso e al comportamento sessuale. Secondo Carla Bazzanella, in “Insulti e pragmatica: complessità, contesto, intensità.” del 2020, nella lingua Italiana e nelle corrispondenti varianti dialettali e regionali gli insulti coinvolgono, oltre alla vittima stessa, un parente (spesso madre o sorella), il rapporto di coppia (in particolare se omosessuale), la/il partner (come nel caso di cornuto/a), quando non l’intero gruppo della persona insultata.  

Anche in questo caso gli insulti non sono neutri, ma riflettono e contribuiscono costantemente a co-creare un contesto patriarcale misogino e omofobo.

I social forniscono a tali elementi una diffusione illimitata e senza censure. In tale scenario hanno molto più peso i meme scambiati da una scolaresca sul tema dell’omosessualità come vergogna o tabù, piuttosto che i discorsi delle diverse autorità preposte a una ipotetica istruzione super partes. Ipotetica perché nessuna agenzia culturale può essere scevra da stereotipi e modelli di riferimento. La differenza sta nella consapevolezza di tali elementi. Nulla è neutrale, tanto meno le parole.

Per questo siamo in qualche modo tutti colpevoli della violenza di genere in rete. Perché spesso la diffondiamo senza esserne consapevoli, nascondendoci dietro “è solo uno scherzo”.

Dalla ricerca dell’EIGE (Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere) del 2020 emergono dati allarmanti: una donna su tre subirà una forma di violenza nel corso della vita e che una donna su dieci abbia già subito una forma di violenza virtuale sin dall’età di 15 anni. Rientrano in questa categoria l’invio di messaggi di posta elettronica, messaggi di testo (sms) o messaggi istantanei offensivi o minacciosi; la pubblicazione di commenti offensivi su Internet in relazione alla persona interessata; la condivisione di fotografie o video intimi della persona interessata su Internet o tramite telefono cellulare. Secondo l’Istituto la violenza online rappresenta un continuum della violenza off line, e spesso le vittime sono le stesse, nel 70 % dei casi. Forse tale dato indica che se il contesto socioculturale virtuale di una donna è violento, allo stesso modo lo sarà quello realeRendere le persone consapevoli del proprio ruolo nella diffusione della violenza simbolica è l’unico deterrente contro il suo perpetrarsi.

Paradigmatico è stato l’esempio di una maglietta, in vendita presso una nota catena commerciale, sulla quale viene rappresentato un riquadro con un uomo e una donna stilizzati. La donna urla rivolta verso l’uomo. Al di sotto del riquadro la scritta “Problem”. Nel riquadro successivo l’uomo stilizzato getta di sotto la donna stilizzata, con la scritta “Solved”. Cosa ha comunicato questa T-shirt? Che le donne parlano troppo, danno fastidio agli uomini e la soluzione e sbarazzarsene. Una comunicazione pericolosa in un paese che conta 150 femminicidi all’anno.

Ogni volta che diffondiamo una notizia, scriviamo un commento, scambiamo un’immagine o assistiamo a un evento dovremmo ricordarci della nostra responsabilità nella diffusione della cultura dell’odio. Neanche il silenzio è neutrale.  

  Dott.ssa Valeria Colasanti

Psicologa e Psicoterapeuta a Roma

Per Approfondire:

P. Bourdieu, J.C. Passeron “La riproduzione, sistemi di insegnamento e ordine culturale” ed. Guaraldi 1972

P. Bourdieu “La miseria del mondo” ed. Mimesis 2015

“Insulti e pragmatica: complessità, contesto, intensità” Carla Bazzanella, 2020 Quaderns d’Italià 25, 2020 11-26

www.doppiozero.com Pierre Bourdieu. La violenza simbolica 2019

www.eige.europa.eu “Violenza virtuale contro le donne e le ragazze.”2020

www.vias.be Rapport statistique 2019 – Accidents de la route 2018 Statistisch rapport 2019 – Verkeersongevallen 2018

Genere, psicologia, social, violenza

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