Nella mente del bambino
L’uso dell’oggetto: alla scoperta del mondo

Soffermandoci attentamente sulle fasi di sviluppo più precoci dell’infante, uno degli aspetti che appare forse più prepotentemente sulla scena è la modalità d’interazione che il bambino intrattiene col proprio mondo. Al centro di quell’universo, il bambino colloca anzitutto la propria madre, qui concepita come sua estensione e primo oggetto d’amore indiscusso su cui andrà a riverberarsi ogni sua proiezione e ambivalenza (per un approfondimento, si rimanda all’articolo Amore e odio. Bambino, oggetto e spinta alla riparazione. Il momento evolutivo qui descritto è indubbiamente connotato da un egocentrismo di fondo di cui l’infante è pienamente intriso: agli occhi di un bambino così piccolo, l’esistenza di oggetti posti nel mondo è tale semplicemente perché lui ha dato loro vita e lì, li ha collocati. In un simile spazio – tempo, ancora estremamente lontano dall’idea dell’altro – da – sé – le relazioni intrattenute dal bambino sono tutte intessute sulla base di una percezione soggettiva della realtà, in cui cioè il mondo intero e la totalità degli oggetti che lo popolano sono un prodotto dell’infante. Una visione così peculiare delle cose può essere meglio compresa solo se associata al controllo onnipotente, un’operazione che in questa sua parte di vita occupa la mente del piccolo in modo decisamente massiccio; nella fattispecie, in questo stadio egli è solo in grado di “entrare in rapporto” con l’oggetto, spostando e agendo su di esso tutte le possibili proiezioni del caso: potremmo dire che il bambino sente come di coincidere con l’oggetto, poiché con esso s’identifica e, percependolo come un tutt’uno con sé, da esso si sente in qualche modo svuotato.