Autore: Andrea Rossetti

L’ultima seduta. La fine del rapporto terapeutico

Concludere  un percorso psicoterapeutico, durato magari diversi anni, è l’ultimo atto “terapeutico” che si compie all’interno del setting clinico. Terapeuta e paziente sono giunti al termine del loro percorso comune. In base alla mia formazione, al momento del contratto terapeutico, all’inizio di una psicoterapia o di un percorso di consulenza, non viene fornito un termine, questo perché la relazione è il primo elemento che concorre alla cura della persone che si è rivolta al professionista. All’interno di essa, come attraverso pagine di un romanzo di cui ci siamo limitati a leggere la quarta di copertina, si svolgeranno tutte le vicende, verrà narrata e poi ri-narrata la storia del paziente, verranno messi in atto degli agiti, e la realtà irromperà diverse volte nel setting, ricordando che il qui ed ora è legato inevitabilmente al “lì ed allora” del passato della persona che si trova con noi nel campo analitico.

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Ipnosi
L’arte del mettere

L’ipnosi, secondo Sigmund Freud, può essere paragonata alla pittura, perché in essa di procede per “via di mettere” anziché per via di levare. Si tratta di uno stadio alternativo a quello di veglia o di sonno, con proprie caratteristiche fisiologiche e di attività neurologica, che viene indotto da un operatore esterno, oppure autoindotta, caratterizzata da uno stato psichico denominato trance. La storia dell’ipnosi inizia nell’era precristiana, che abbonda di esempi di induzione ipnotica attraverso canti e danze rituali. La storia scientifica dell’ipnosi invece può essere fatta inizia da Anton Mesmer che tra la metà del XVIII e l’inizio del XIX secolo propone la teoria del magnetismo animale, secondo la quale alla base della malattia si sarebbe un turbamento della corrente nervosa presente nell’organismo. Successivamente James Braid definì ipnotici i fenomeni che si verificavano nei soggetti “magnetizzati” causati da uno stato di affaticamento cerebrale indotto attraverso tecniche particolari, come quella molto cara al mondo del cinema, della trance indotta attraverso l’oscillazione di un oggetto splendente davanti agli occhi del paziente.

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Un caso di carcinofobia. L’attualità dell’ipocondria

La paziente D.M. ha 32 anni e mi è stata inviata dal suo medico di base. Ve la porto come esempio di quello che, a mio parere, è un disturbo molto frequente nel panorama più vasto dell’ipocondria, o come è stata rinominata nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali giunto alla sua V edizione (DSM V), il Disturbo d’Ansia di malattia. La carcinofobia o la cancerofobia è una paura ossessiva di ammalarsi di cancro. La prima volta che sono stato contattato telefonicamente dalla paziente è stato il 3 dicembre dello scorso anno.

Lei piangeva disperatamente. Mi comunicò il timore di avere un cancro al colon, insorto subito dopo che al padre era stato scoperto un nodulo alla gola il quale però, in seguito ad analisi più approfondite, era risultato essere benigno. Pensai allora che la paziente possedesse buone capacità di autoanalisi considerando che era riuscita, in modo autonomo, a collegare i due eventi.

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EMDR. Trauma e cervello

Nel 1987 Francine Shapiro stava passeggiando in un parco vicino l’università in cui lavorava, quando si rese conto che muovendo gli occhi da destra a sinistra lo stress causato da dei ricordi traumatici che erano emersi alla memoria in quel momento diminuiva. Da questa brillante intuizione la dottoressa Shapiro iniziò a svolgere degli studi che condussero poi allo sviluppo dell’EMDR per come lo conosciamo oggi.

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Stress da vacanze
Invenzione dei media o realtà clinica?

Chi non ha mai sentito parlare di stress da vacanze? Come psicologo posso riportare innumerevoli esempi di pazienti che al rientro dalle vacanze trascorse in famiglia hanno lamentato livelli di stress aumentati e un peggioramento netto del tono dell’umore.

I media, nel periodo immediatamente precedente e successivo alle vacanze, invernali ed estive, ci sommergono con articoli, vignette e statistiche riguardanti lo stress da festività o da rientro a casa, e come poterci risollevare al meglio, alla stregua delle diete detox per riprendersi dai bagordi alimentari natalizi.

Ma lo stress “feste-correlato” esiste davvero come fenomeno clinico, o è solo un’invenzione dei media?

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Psicologia dell’emergenza. Lo psicologo sul campo

Image courtesy of http://www.centrorampi.it/ 

Cosa ci fa uno psicologo sul luogo di una emergenza? No, non è l’inizio di una battuta di spirito, bensì la testimonianza di una branca specialistica della psicologia, che abbraccia contributi che provengono da molti ambiti, e che consento allo psicologo di intervenire nel qui ed ora del dramma vissuto da coloro che sono stati testimoni di grandi emergenze, tragedie, terremoti e attacchi terroristici. Secondo l’EUROPSY la psicologia dell’emergenza si applica in “situazioni critiche fortemente stressanti, che mettono a repentaglio le routine quotidiane e le ordinarie capacità di coping degli individui e delle comunità di fronte ad avversità di ampia magnitudo, improvvise e urgenti. Esse sono determinate da eventi di grande dimensione collettiva (maxiemergenze), ma anche da circostanze gravi, più circoscritte della vita quotidiana.”

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Arteterapia. Portare equilibrio nelle dissonanze psichiche

“L’arte crea una zona di vita simbolica che permette di trascendere il conflitto e di creare ordine nel caos, e infine, di dare piacere.” Edith Kramer scrisse queste parole nel 1971, ed è al suo lavoro e a quello di Margareth Naumburg che si deve la definizione teorica dell’arteterapia come metodo clinico psicologico. Secondo queste autrici i sentimenti inconsci di un individuo possono essere riconosciuti più facilmente in un immagine, che non nelle parole. In queste immagini vengono proiettate emozioni, vissuti, conflitti. Queste immagini quindi, alla stregua di materiale onirico, possono essere analizzate attraverso la cornice teorica della psicoanalisi o della psicoterapia dinamicamente orientata. Come l’interpretazione del sogno in psicoanalisi, lo svelamento dei significati inconsci rappresentati nell’opera artistica vengono esplicitati e resi quindi comprensibili a chi li ha prodotti, grazie alla comunicazione verbale tra paziente e terapeuta.

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La fobia vissuta in coppia
Legami di ansia

Foto di ErikaWittlieb da Pixabay

Marco è entrato per la prima volta a studio tremando. Aveva dovuto necessariamente prendere l’autobus per venire alla sua prima seduta e questo lo aveva scosso non poco, anche perché il suo problema, usando le sue stesse parole, “sono i mezzi di trasporto”. “Non riesco più a prenderli”, continuava, “un tempo ci riuscivo benissimo, ma adesso appena chiudono le porte mi sento intrappolato e vorrei solo scappare. Le persone intorno a me rappresentano ostacoli per una via di fuga che, una volta che le porte vengono chiuse, mi è preclusa. Ho soprattutto paura che la gente si accorga del mio stato d’animo e che io possa svenire o piangere di fronte a tutti”. In un primo momento nella mia testa frullavano tre concetti: claustrofobia, paura del giudizio e timore di perdere il controllo.

Ormai è un po’ di tempo che ci incontriamo con Marco e di cose che spiegherebbero il suo malessere ne sono uscite fuori durante i colloqui, ma una in particolare mi ha colpito: il fastidio che prova la compagna di Marco di fronte al suo malessere. Egli non riesce a capire come la sua ragazza, “con la quale c’è stata sempre un’intesa su tutto, non riesca non solo a capire il mio disagio, ma nemmeno ad accettarlo”.

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La teoria emotiva dell’obesità
Alla ricerca di un equilibrio tra pieni e vuoti

Foto di Michal Jarmoluk da Pixabay

Il tema dell’obesità è stato trattato diverse volte nella nostra rivista (per approfondimenti si rimanda agli articoli “Dipendenza da cibo- il legame tra nutrimento ed emozione” nel mese di febbraio 2015, “Obesità – L’imbottitura dell’anima” nel mese di settembre 2015). Questo perché nei diversi disturbi riguardanti l’alimentazione, sebbene abbiano un’eziologia multifattoriale, la componente psicologica è sempre presente. Per prima cosa sarebbe utile fare una distinzione tra obesità esogena ed endogena. Quando parliamo di obesità endogena parliamo di un disturbo causato da una patologia organica, come può essere ad esempio un problema alla tiroide o una patologia medica di altro tipo. L’obesità esogena al contrario è un disturbo del comportamento alimentare che ha all’origine un’anomalia nel modo in cui è avvertita la fame, a causa di un apprendimento percettivo errato. In entrambi i casi, però, sia che la componente psicologica sia la causa, sia che costituisca una conseguenza del disturbo, è sempre presente. È per tale motivo che con il tempo sono state formulate diverse teorie sull’argomento. Quella che mi piacerebbe approfondire oggi è la teoria emotiva dell’obesità.

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L’endometriosi
Un dolore misconosciuto

“Quando finalmente ho ricevuto la diagnosi il mio ragazzo è fuggito, di fronte alla prospettiva degli interventi e della possibile sterilità.”

Queste sono le parole di una paziente, che chiamerò Anna, per tutelarne la privacy. La storia di Anna è esemplare per ogni  paziente affetta da endometriosi. Il suo calvario personale è iniziato a undici anni, con l’arrivo delle prime mestruazioni. Quello che per le altre ragazze era un momento doloroso, ma di certo non invalidante, per Anna era ragione di ansia e vergogna. Le sue compagne di classe la prendevano in giro, perché piangeva dal dolore e a volte non riusciva ad andare a scuola, e soprattutto perché secondo loro non era in grado di posizionare bene l’assorbente, dato che si sporcava sempre i pantaloni. Ma quelle bambine non sapevano che Anna perdeva sangue anche dal retto e persino dall’ombelico.

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