Il Burn Out nell’emergenza Covid-19. Minacciati dal rischio di un crollo psicologico

Italia, 17 Aprile 2020.

Chi fa colazione ascoltando il notiziario, chi si dedica alle pulizie della casa, chi cerca distrazioni nella musica, nella lettura o dilettandosi nella preparazione di ottimi cibi. Ognuno di noi, da quando l’OMS ha dichiarato ufficialmente lo stato di pandemia mondiale, si trova in una condizione di isolamento semi-forzato, sentendosi, chi più chi meno, costretto a vivere nella propria abitazione, rispettando numerose restrizioni e cercando il più possibile di non commettere errori. 

Ci dicono cosa dobbiamo fare e come trascorrere le nostre giornate al meglio, al fine di fornire supporto psicologico e ridurre al minimo le tensioni, le paure, le ansie che inevitabilmente, dopo più di un mese di restrizioni, spingono per venire a galla. Tutto questo ci ha travolti in poco tempo, rendendo il tutto quasi surreale, allontanando ogni progetto futuro o affievolendo le speranze di chi era in attesa di notizie positive. Eppure, nonostante questo alone di negatività, siamo nelle nostre case, con la nostra famiglia o in compagnia di qualcuno che ci dà conforto, pensando a cosa faremo quando tutto sarà finito.

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Siamo tutti narcisisti? Il censore interno contro il Sé reale

Il termine narcisista è ormai diffuso ed utilizzato da chiunque, generalmente per indicare una persona estremamente egoista, incapace di comprendere i bisogni dell’altro. Se prestassimo ascolto a tutte le persone che definiscono gli altri, o addirittura se stessi, narcisista, inizieremmo a chiederci se non ci sia una vera e propria invasione. È innegabile che la società attuale si struttura intorno ad una modalità istrionica e narcisistica (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “Popolarità a 5 stelle – Sono ciò che gradite di me”), esaltando l’apparire, l’involucro e dunque il falso al reale; ma è anche vero che è questa pressione all’apparire della società che crea ancor di più tale fraintendimento.

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La paura di restare soli. Sul vero senso della noia

La noia non è altro che il desiderio puro

della felicità non  soddisfatto dal piacere,

e non offeso apertamente dal dispiacere. 
Soltanto gli esseri intelligenti provano noia.

Giacomo Leopardi 

Come ognuno di noi “racconta” la noia? Possiamo dire che ogni emozione ha un suo vissuto, un proprio percorso all’interno di ogni essere umano. E’ un’emozione che può essere accompagnata da numerose sensazioni; da quelle che possono definirsi come negative ovvero “senso di vuoto e inutilità”, a quelle positive come creatività e stimolo. E’ quell’emozione libera di essere “sentita” in modo personale.

Voglio riportare le parole di Alberto Moravia nel suo romanzo “La Noia” nel descrivere cosa rappresentasse per lui (e per il protagonista del romanzo, Dino): «Per molti la noia è il contrario del divertimento; e divertimento è distrazione, dimenticanza. Per me, invece, la noia non è il contrario del divertimento; potrei dire, anzi, addirittura, che per certi aspetti essa rassomiglia al divertimento in quanto, appunto, provoca distrazione e dimenticanza, sia pure di un genere molto particolare. La noia, per me, è propriamente una specie di insufficienza o inadeguatezza o scarsità della realtà».

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La perdita dell’incontro. Affrontare la separazione e il possibile lutto

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“Pensa che triste se il mondo finisse e non fossi al mio fianco. Non tanto perché mi ferisce, mi infastidisce pensare che vengo dal mare e ritornerò fango senza vedere le rughe avanzare sul tuo viso stanco”

da “Libellule”, Nitro

A volte pensiamo che non siamo sulla stessa barca e che certe cose non riguardano tutti, fino a quando non capita un evento che sconvolge tutto e siamo costretti a farcene una ragione. Così, ad esempio, un sentimento privato come la separazione da una persona amata diventa improvvisamente quello di un’intera popolazione e, insieme con la paura, il principale motivo di sofferenza di quel lungo periodo di esilio. Una delle conseguenze più vistose è proprio l’improvvisa separazione in cui si sono ritrovate madri, figli, coniugi, amanti che all’inizio avevano creduto di dover affrontare una separazione temporanea, sicuri di rivedersi dopo poco. Cullati dall’assurda fiducia umana, si vedono tutto d’un tratto inesorabilmente lontani, obbligati ad agire come se non avessero sentimenti individuali. Persone legate dall’intelligenza, dal cuore e dalla carne si riducono così a scambiarsi frasi stereotipate e virtuali del tipo “tutto bene. Ti penso.” o magari a guardarsi attraverso i freddi schermi di strumenti che sono diventati quasi un’elegia. Con la separazione capiamo che il sentimento principale della nostra vita che credevamo di conoscere bene, assume un volto nuovo. La separazione brutale, senza un avvenire prevedibile, ci rende incapaci di reagire di fronte al ricordo della presenza ancora così vicina e già così lontana che ora occupa le nostre giornate.

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Conoscersi ma non toccarsi. L’amore platonico

“L’altro che io amo e che mi affascina è atopos. Io non posso classificarlo, poiché egli è precisamente l’Unico, l’immagine irripetibile che corrisponde miracolosamente alla specialità del mio desiderio”.

Roland Barthes

Osservandolo sul suo nascere l’amore è provocato dalla meraviglia dell’incontro, questo si sa! È qualcosa di non previsto, non programmato che sospende lo scorrere naturale e ordinario del tempo. L’incontro, in questo senso, è un avvenire, è ciò che non è stato ancora, è nuovo e porta con sé la promessa di una nuova vita. L’incontro d’amore somiglia sempre ad un miracolo perché trasforma il prevedibile nell’imprevedibile, il possibile nell’impossibile, il tempo in una rivelazione.

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Sharenting e Covid-19. Genitori e figli online al tempo del Coronavirus

Questa emergenza sanitaria è già un’emergenza psicologica.

I risvolti psicologici di un’emergenza di tale portata, che porta il nome di Covid-19, non sono solo riscontrabili in psicopatologie come disturbi d’ansia, attacchi di panico, episodi depressivi o compulsivi (cibo, sport, social network) ma anche attraverso il quotidiano vivere delle nostre relazioni.

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Il malessere invisibile. Quando il progetto migratorio fallisce

“Straniero drogato”

“Studentessa drogata e violentata da un immigrato”

“Immigrati, nuovi corrieri della droga”

Questi sono solo alcuni dei tanti commenti che leggiamo spesso sui giornali o che ci capita di sentire per strada, sull’autobus o al supermercato. Ma è davvero così? Che cosa implica la migrazione in termini di integrazione, accettazione o non accettazione?

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