Psicologia dell’imprevisto. Sulla potenza inesauribile dell’immaginazione

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In questi giorni le misure restrittive limitano la nostra libertà e ci fanno vivere in una situazione paradossale: non c’è panico ma silenzio. Siamo fermi. Distanti soprattutto dai nostri cari.

​Lo chiamano “Human security system”. Con questa espressione si intende l’insieme delle pratiche di contenimento, in particolare quelle che prevedono la sospensione di ogni relazione o il restringimento degli ambienti; questo perché il parassita patogeno non possa sfruttare le reti per espandersi, proliferare ma soprattutto mutare in maniera incontrollata.

Questo ci fa riflettere su quanto a volte non importi la letalità della malattia in sé ma la fissazione psicotica del desiderio incessante che essa finisca presto. L’effetto del virus però non si quantifica in numeri ma nella paralisi relazionale che esso diffonde trasformandoci in esseri immobili.  

Possiamo anche soffermarci e pensare a come, di fronte a questo imprevisto, reagisca l’uomo, da sempre -e forse anche per definizione- portato alla collettività con la sua mente iperconnessa sottoposta a stimolazione nervosa continua, con la lotta per la sopravvivenza che trasforma tutto in stress e si ritrova faccia a faccia con l’umiliazione dell’impotenza.

Si rischia così di non avere degli obiettivi precisi o di crearne di contraddittori. Purtroppo, a tutto ciò la nostra coscienza non riesce sempre a fungere da bussola poiché non siamo culturalmente preparati a pensare ad una condizione di stagnazione che si protrae per tanto tempo.

È così che lo choc diventa il preambolo di una recessione psichica; il virus ci distoglie dalla sovrastimolazione e non ci permette di continuare la nostra vita frenetica.

La rassegnazione è una disposizione di chi si adegua consapevolmente ad uno stato di dolore o sventura; in un momento come questo essa si alza come slogan virtuoso. Non viviamo un’agitazione inutile, che abbassa notevolmente la qualità della vita, ma facciamo leva su questa rivoluzione soggettiva che trova la sua espressione nel grido popolare “IO RESTO A CASA”.

Sicuramente l’organismo collettivo deve riprendersi da questo urto psicotico virale facendo presa su una realtà in cui i grandi poteri statali si affidano a coloro che possono aiutarci: i medici. La scienza si dimostra così l’unica ancora di salvezza ma è doveroso ricordare che di fronte a questa tempesta pandemica nessuno, anche chi ritiene di essere potente e superiore, è avulso.

Dobbiamo evitare, sebbene legittimo, di immaginare scenari in cui potremmo ritrovare un po’ tutti anacoreti, scenari distopici che possono, ma non devono sbiadire i ricordi della “vita precedente”. E allora che ben venga riscoprire – perché la vita precedenti li ha avvolti nella caligine della frenesia- dialoghi tra familiari, conversazioni e giochi con bambini e ragazzi; avvicinarsi ancora di più, per chi è immigrato digitale, alla tecnologia. Rivedere vecchie ricette che sono rimaste nell’angolo della dispensa; è anche un modo per depurare il nostro organismo da quelle scorie accumulate in pranzi veloci e disordinati.

E allora, come una sorta di tautologica azione medicamentosa delle nostre anime, ripetiamoci che dobbiamo avere fiducia. Ogni giorno ricerchiamo iniezioni di tutto ciò evitando di restare camusi dalla solitudine perché essa è linfa della nostra stessa natura; e per quanto la vita ci attragga e distragga con le sue bellezze, ci sarà sempre un momento in cui dovremo fare i conti con noi stessi. Finito tutto questo, perché finirà, ci ritroveremo più ricchi, avremo imparato a conoscerci meglio e sono certa che apprezzeremo la sostanza. Per ora pensiamo che stiamo andando incontro ad una solare palingenesi del nostro pianeta.

Dott.ssa Giulia Ingrosso

Laureata in Psicologia Clinica e della Salute

 

Per Approfondire 

Recalcati M. (2019) “Le nuove melanconie. Destini del desiderio nel tempo ipermoderno” Raffaello Cortina editore

La Cecla F. & Guattari F. (1991) “Le tre ecologie”

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