È una natura vagamente ambivalente, quella del perdono che, se da una parte si mostra come un gesto dall’indubbia valenza etico-morale, dall’altra giunge in conseguenza di una colpa, più o meno riprovevole, cui risulta imprescindibilmente connesso.
La stressoressia è un disturbo alimentare, di origine piuttosto recente, che ha ad oggetto un’errata gestione della nutrizione quotidiana causata da vissuti stressogeni e ansietà. La matrice patologica di questo disturbo è influenzata da un’incrementata dimensione di perfezionismo e ansia da prestazione che spinge a percepire il compimento del proprio dovere come una priorità da anteporre a qualsiasi altro bisogno, ivi compresi quelli fisiologici, come il nutrimento. Con conseguenze talvolta anche gravi.
Gli studi volti ad indagare la natura, le cause e gli effetti del maltrattamento hanno riscontrato nella personalità del maltrattante la presenza ricorsiva di un deficit empatico. Tutto ciò si traduce in una insufficiente partecipazione emotiva al dolore inflitto attraverso le condotte aggressive, da cui si origina una scarsa consapevolezza dell’agito violento unita ad una minimizzazione della responsabilità circa il medesimo e le sue dirette conseguenze.
Il soggetto maltrattante sarebbe dunque scarsamente propenso a provare pietà.
Studi neurobiologici attribuiscono questo deficit empatico a fattori di natura prettamente organica, quali una disfunzione dell’amigdala e un’alterazione di zone cerebrali come la corteccia ventromediale, la corteccia prefrontale e il lobo temporale, oltre ad una disfunzione delle strutture limbiche e paralimbiche (Singer, 2006).
Ma questa sorta di “cecità empatica”, anziché costituire una predisposizione biologica o una caratteristica innata ed immutabile, può mostrarsi il prodotto di un’infanzia affettivamente deprivata, in seguito alla quale il soggetto ha sviluppato impulsi aggressivi, esperienze traumatiche, sensazioni persecutorie e di pericolo dalle quali ha appreso a difendersi con l’attacco.
Il Sé è un elemento innato che costituisce il nucleo centrale dell’individualità, l’unione di elementi che disegna il punto di contatto tra psiche e soma, grazie al quale il bambino può sviluppare capacità emotive, cognitive, relazionali, empatiche, creative e di adattamento nel contesto vitale in cui è inserito (Winnicott, 1968). Naturalmente tale processo non può svolgersi in maniera del tutto autonoma: fatte salve le fasi maturative fisiologiche che hanno certamente il loro peso, nell’evoluzione del soggetto, a svolgere una funzione dominante nella nascita e nel potenziamento del Sé è il rapporto con la madre.
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