Autore: M Rebcca Farsi

Cibo, metafore e anoressia
Il cibo come metafora patologica nell’anoressia nervosa

Nell’anoressia il cibo rappresenta  un condensato di metafore, simboli patologici in cui trovano espressione vuoti affettivi, esperienze traumatiche, introietti persecutori, oggetti parziali non integrati. 

La metafora principalmente  sottesa al rifiuto del cibo è l’esteriorizzazione di un bisogno orale inappagato. Una pulsione nutritivo-affettiva che, pur ripetutamente avanzata, non ha trovato gratificazione. Ostaggio di un risentimento narcisistico, quasi di una sorta di vendetta, l’anoressica respinge un nutrimento che a sua volta l’ha respinta ma del quale ha tremendamente bisogno, e il conflitto tra introiezione e rifiuto che si attiva durante il pasto svela l’origine di questo dolore: un rapporto altrettanto conflittuale con l’oggetto materno ( Bruch, 2003; 1996). 

Anoressia, cibo, cura, metafora, psicologia

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La Stressoressia
Quando lo stress toglie il “pane quotidiano”

​La stressoressia è un disturbo alimentare, di origine piuttosto recente, che ha ad oggetto un’errata gestione della nutrizione quotidiana causata da vissuti stressogeni e ansietà. La matrice patologica di questo disturbo è influenzata da un’incrementata dimensione di perfezionismo e ansia da prestazione che spinge a percepire il compimento del proprio dovere come una priorità da anteporre a qualsiasi altro bisogno, ivi compresi quelli fisiologici, come il nutrimento. Con conseguenze talvolta anche gravi.

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Deficit empatico e maltrattamento. Lo scacco relazionale

Gli studi volti ad indagare la natura, le cause e gli effetti del maltrattamento hanno riscontrato nella personalità del maltrattante la presenza ricorsiva di un deficit empatico. Tutto ciò si traduce in una insufficiente partecipazione emotiva al dolore inflitto attraverso le condotte aggressive, da cui si origina una scarsa consapevolezza dell’agito violento unita ad una minimizzazione della responsabilità circa il medesimo e le sue dirette conseguenze.

Il soggetto maltrattante sarebbe dunque scarsamente propenso a provare pietà.

Studi neurobiologici attribuiscono questo deficit empatico a fattori di natura prettamente organica, quali una disfunzione dell’amigdala e un’alterazione di zone cerebrali come la corteccia ventromediale, la corteccia prefrontale e il lobo temporale, oltre ad una disfunzione delle strutture limbiche e paralimbiche (Singer, 2006).

Ma questa sorta di “cecità empatica”, anziché costituire una predisposizione biologica o una caratteristica innata ed immutabile, può mostrarsi il prodotto di un’infanzia affettivamente deprivata, in seguito alla quale il soggetto ha sviluppato impulsi aggressivi, esperienze traumatiche, sensazioni persecutorie e di pericolo dalle quali ha appreso a difendersi con l’attacco.

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Il Falso Sé. Nei Disturbi dell’Alimentazione

Il Sé è un elemento innato che costituisce il nucleo centrale dell’individualità, l’unione di elementi che disegna il punto di contatto tra psiche e soma, grazie al quale il bambino può sviluppare capacità emotive, cognitive, relazionali, empatiche, creative e di adattamento nel contesto vitale in cui è inserito (Winnicott, 1968). Naturalmente tale processo  non può svolgersi in maniera del tutto autonoma: fatte salve le fasi maturative fisiologiche che hanno certamente il loro peso, nell’evoluzione del soggetto, a svolgere una funzione dominante nella nascita e nel potenziamento del Sé è il rapporto con la madre.

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