Autore: Clarissa Cavallina

Survivors
La classificazione dei traumi psicologici e il loro impatto sul sistema mente-corpo

Il disegno è di Gianluca Ambrosini

Oggi con le guerre in atto nel mondo noi terapeuti ci interroghiamo sull’impatto psico-fisico degli eventi terrorizzanti quali i bombardamenti improvvisi, la morte violenta di persone care, le continue esperienze di separazione, la generale perdita del senso di sicurezza. In termini psicologici la guerra rompe il consueto modo di vivere e vedere il mondo e ha un impatto devastante a lungo termine sul corpo, sul cervello, sul sistema nervoso e sulle relazioni. Come scrive l’associazione di psicotraumatologia – EMDR Italia: “per tutti loro, scampare alla morte è il primo passo. Il secondo, ritornare alla vita”.

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La crisi nella relazione di coppia
Un salto nel vuoto?

Il primo punto da considerare quando si parla di crisi nella coppia è quello di poterci accedere. Non è scontato, infatti, che la coppia senta di avere le risorse necessarie per farlo. Si possono attivare difese e paure che impediscono un confronto con gli stati emotivi e i significati della crisi.

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Il sentiero della coppia
Tra il patto dichiarato e il patto segreto

“L’innamoramento è scarsamente legato alle caratteristiche proprie dell’oggetto amato; infatti vediamo spesso come, pur rimanendo queste caratteristiche “inalterate”, l’amore finisca e la coppia si rompa. Ci innamoriamo sempre dell’immagine che l’altro ci rimanda di noi e dell’immagine che a lui rimandiamo” (Cancrini & Harrison, 1986)

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Fragilità e onnipotenza. Il potere negli adolescenti

Pubblicazione a promozione del progetto “Rondini. Centro di ascolto psicologico e assistenza legale” finanziato dalla Regione Lazio con risorse statali del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, promosso dall’Associazione Semi di Pace OdV in collaborazione con l’Associazione Il Sigaro di Freud come soggetto terzo – www.semidipace.it/progetto-rondini/

Le sensazioni che si provano a scuola quando sei un teenager sono indimenticabili. Rappresentano perfettamente alcuni aspetti di quella fase così particolare del ciclo di vita in cui la percezione dell’immagine di sé è fragile ma così impattante nella propria vita.

È possibile riattivare certi ricordi passati in età adulta quando ci si trova in situazioni di gruppo nuove come al lavoro dove ognuno ha un ruolo diverso. Ricordiamo tutti il momento dell’ingresso in classe: gli sguardi, le contraddizioni emotive, il bisogno di essere visti e accettati dall’altro. In quel turbine di confusione emozionale dell’adolescenza abbiamo chiare perlopiù le sensazioni corporee in quanto le abilità cognitive superiori all’epoca non sono sufficientemente mature per riflettere su pensieri ed emozioni e ricadono quindi sul corpo e sull’agire.

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Come proteggiamo i bambini dal lutto? La verità e altri rimedi

Nel pensiero collettivo occidentale sono spesso condivisi degli stereotipi sui bambini e sulla loro incapacità di comprendere e di affrontare gli eventi legati alla morte di una persona cara che influenzano profondamente il modo di gestire l’accompagnamento del bambino all’esperienza della perdita. Queste credenze hanno come focus l’idea che di fronte alla morte il bambino vada estremamente protetto e quindi tenuto fuori da informazioni, esperienze, riti e condivisioni emotive per potergli risparmiare la sofferenza del distacco.

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Non riuscire ad addormentarsi. Sai stare ad occhi chiusi?

Ci sono quelle notti dove con gli occhi spalancati, non ci si riesce ad addormentare in nessun modo. Eppure è tardi, si ha la consapevolezza di doversi alzare la mattina dopo. C’è qualcosa nella notte che ci sveglia, soprattutto nel momento di dormire e sembra così assurdo visto che ci si è sentiti stanchi per tutta la giornata. Sarà il richiamo della luna a renderci elettrici? In realtà, siamo in pigiama supini sul letto con l’acqua sul comodino, sembra esserci davvero tutto per affrontare la grande avventura del sonno. Ma continua ad esserci un’assenza. Cosa ci tiene in allerta?

Ci sono quelle notti dove il corpo è rigido, non si distende, non riesce a lasciarsi andare. Eppure non c’è niente di particolare che ci ha turbato negli ultimi giorni, la vita sembra essere quella di sempre. A partire dal collo, non aiuta il cuscino nuovo, c’è quel punto a destra vicino alla spalla che è dolorante e l’attenzione viene catturata da ogni dolore intercostale, da ogni tensione della mandibola. Si dice che ognuno di noi ha un lato più oscuro nel senso che è buio e quindi meno conosciuto e quindi potenzialmente spaventoso. Non sarà che il buio della notte richiama il buio interiore? Buio con buio crea un’immersione nel nostro Sé più inesplorato. Certo è che questo silenzio e questo buio che dovrebbero rilassarci ci mettono in contatto col vuoto.

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L’arte come forma di resilienza. Ti cerco perchè mi fai bene

Si parla spesso della potenza dell’espressione artistica, del suo valore da un punto di vista psicologico. Freud parlava di sublimazione, quella trasformazione di contenuti interni, anche negativi, in energia creativa che da dentro va verso l’esterno e nel caso dell’arte si concretizza in un quadro, una canzone, una fotografia, una poesia…

Con l’energia psichica bisogna pur farci qualcosa che si tratti di creare, di lavorare, di sperimentarsi nella crescita individuale o relazionale. Rapportarsi con l’arte permette questo scambio tra mondo interno e mondo esterno, questo contatto. Non solo l’espressione artistica, ma anche la fruizione artistica è un fattore che permette di dare spazio ai propri vissuti emotivi. Questo aspetto risulta fondamentale in quanto l’energia psichica deve trovare spazio e modo di muoversi altrimenti rischia di implodere dentro al soggetto restituendo stanchezza psichica e fisica.

Esporsi ad un’opera d’arte che ci piace restituisce spesso un senso di nutrimento. Questa sensazione di sentirsi nutriti si può associare al rapporto con la figura della madre che si prende cura di noi bambini dandoci grande presenza tra cibo e amore incondizionato. 

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Sul distanziamento emotivo. Rido perchè è inutile piangere

Nelle situazioni ad alto impatto emotivo negativo come nelle separazioni (es.: la fine di una relazione amorosa, un lutto, un abbandono…) si mettono spesso in atto diverse strategie difensive per la gestione dell’attivazione emotiva. In parte queste strategie sono funzionali alla gestione del dolore quando vengono attivate parzialmente permettendo quindi anche l’avviamento di un processo di elaborazione del vissuto. Nei casi in cui invece le strategie difensive vengono attivate in modo talmente potente da impedire l’integrazione dell’esperienza traumatica nel sé si è di fronte ad esperienze di anestesia emotiva dove si investono molte energie per evitare l’esperienza del dolore che viene negato e nascosto in un angolo della nostra mente, a volte addirittura appare solo come noia, distacco dagli altri o stanchezza fisica. Infatti, non di rado questi individui riferiscono di non stare male ma di sentirsi solo più stanchi del solito. Questa modalità viene tipicamente usata dai soggetti con tendenza alla dissociazione (per un approfondimento sul tema si rimanda all’articolo “Rimozione e dissociazione – Difese del nostro Io”) e in alcuni casi dai soggetti con attaccamento distanziante (per un approfondimento sul tema si rimanda all’articolo “Legame di attaccamento- L’importanza di legarsi”). Nei pattern di attaccamento distanziante la minimizzazione dell’esperienza emotiva negativa è una priorità nella quotidianità: vengono spese delle energie per far sì che le emozioni negative vengano minimizzate e quindi apparentemente tenute a bada pagando delle conseguenze di vario tipo come la manifestazione di un sintomo di ansia, di somatizzazione o un impatto negativo sulle relazioni più intime. Queste persone preferiscono non parlare dei vissuti negativi riferendo spesso di non ricordare molto dell’accaduto, nel tentativo (spesso inconsapevole) di chiudere al più presto un discorso sulle emozioni, oppure di non trovare sensato parlarne “raccontare di certe cose è solo una perdita di tempo secondo me”.

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Innamorarsi dell’assenza. Ci sono ma non troppo

A volte sentiamo di innamorarci di persone che non sono disponibili ad avere una relazione con noi. Individui che sono già impegnati in un’altra storia e che in realtà non lasceranno mai il partner, altri che non sono pronti ad avere una relazione d’amore o non vivono il nostro stesso sentimento.

Capita di inseguire le persone “sbagliate” di fossilizzarci su chi non è disponibile per infiniti motivi a star con noi quando nel mondo esistono milioni di persone pronte a mettersi in gioco, possibilità concrete di costruire un rapporto intimo amoroso. Trovare la persona capace di farci innamorare non è di certo cosa semplice, ma neanche impossibile. Per innamorarci abbiamo bisogno di intuire nell’altro qualcosa che ci stupisce perché in qualche modo ci parla di noi (di un vissuto di insicurezza per esempio, di un ideale di forza, di un legame di accudimento materno mancato). Questo (in)seguire le persone non del tutto disponibili potrebbe diventare un motivo di riflessione nel caso in cui sembra essere una nostra tendenza, una modalità che si ripete in noi. Potrebbe essere quindi interessante domandarsi se c’è un denominatore comune in queste situazioni: è possibile che non mi innamoro solo dell’altro, di quella persona specifica, ma delle emozioni che l’altro che non si consegna a me fa vivere?

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L’amico del cuore. Identità in adolescenza

Si parla spesso di rapporti di amicizia fusionali e problematici nella loro ambivalenza in adolescenza, eppure a volte l’amico può rappresentare davvero una risorsa a quest’età. Nell’amico si cerca qualcosa, s’investe di affetto una persona non solo per il rispetto e la condivisione ma anche perché i suoi tratti e il suo esserci hanno una funzione importante per noi: a volte colmano un vuoto, ci rispecchiano o assomigliano a una parte di noi. Durante l’adolescenza si sperimenta un contatto particolare con il proprio desiderio che inizia a pulsare e a muoversi in molteplici direzioni. Il senso di smarrimento che si prova dipende dal sentimento di non appartenenza alla cultura famigliare di origine e al bambino che si era e che aveva un posto ben preciso. Le amicizie in queste fasi esistenziali vengono vissute intensamente e gli adolescenti condividono esperienze profonde di ricerca della propria identità dove ci si fa da specchio e si sperimentano emozioni forti.

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