Il Cyberbullismo
Bagagli di sofferenze 

Pubblicazione a promozione del progetto “Rondini. Centro di ascolto psicologico e assistenza legale” finanziato dalla Regione Lazio con risorse statali del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, promosso dall’Associazione Semi di Pace OdV in collaborazione con l’Associazione Il Sigaro di Freud come soggetto terzo – www.semidipace.it/progetto-rondini/

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Hate Speech
Le parole fanno più male delle botte

<<…voglio che si sappia la mia storia, perché qui in giro non ci sarò solo io a soffrire… le parole fanno più male delle botte >>.

Carolina ha solo 14 anni e una serata, fra amici, con qualche bicchiere in più, la conduce al centro di un incubo: prima le molestie, poi le riprese, la diffusione di un video e i disperati tentativi di sopravvivere alle conseguenti valanghe d’odio.  In poco tempo, viene invasa da giudizi carichi di violenza e stereotipi misogini e discriminatori. Gli Hate Speech, i cosiddetti discorsi d’odio, hanno il potere di distruggere. Carolina, come tant*, non ce la fa; sceglie un salto nel vuoto per interrompere quel dolore.

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Sulla pazienza. Aspettarsi sempre

Bisogna, alle cose,lasciare la propria quieta, indisturbata evoluzione
che viene dal loro interno e che da niente può essere forzata o accelerata.

Tutto è: portare a compimento la gestazione – e poi dare alla luce

…Maturare come un alberoche non forza i suoi succhi e tranquillo se ne sta nelle tempeste

di primavera, e non teme che non possa arrivare l’estate.

Eccome se arriva!

Ma arriva soltanto per chi è paziente e vive come se davanti avesse l’eternità,spensierato, tranquillo e aperto …

Bisogna avere pazienza verso le irresolutezze del cuore e cercare di amare le domande stesse come stanze chiuse a chiave e come libri che sono scritti in una lingua che proprio non sappiamo.

Si tratta di vivere ogni cosa.

Quando si vivono le domande,forse, piano piano, si finisce,senza accorgersene,col vivere dentro alle risposte

celate in un giorno che non sappiamo.

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La genitorialità. Nascere come genitori

Lavorando come psicologa in un consultorio familiare, una buona parte del mio lavoro consiste nel sostenere le coppie di neogenitori nella transizione dalla diade alla triade, ovvero uscire dalla dimensione di coppia, in cui ognuno dei partner richiede e fornisce accudimento all’altro. L’arrivo di un figlio determina una rivoluzione nella strutturazione di questo rapporto e del nostro funzionamento interno.

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L’amico Immaginario
e la fantasia che aiuta a crescere

Da bambini avevate un amico immaginario?

Durante l’infanzia possiamo attivare una modalità ideativa, ludica e creativa capace di “dare vita” ad una presenza fantastica, perlopiù buona e affettuosa, con cui affrontare la vita. 

Avere un amico immaginario è un’esperienza indimenticabile e molto più comune di come immaginiamo. Secondo una recente ricerca dell’università di Washington e Oregon, quasi i due terzi della popolazione di bambini ha un amico immaginario con cui parla, gioca, discute, va a dormire, prende decisioni importanti… quotidianamente.

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Sulla paura dell’attesa. Attivarsi in frenesia o contenere e comprendere?

La società di oggi soddisfa ogni nostro bisogno in tempi brevissimi e ciò fa sì che tutti noi siamo sempre più abituati ad avere tutto ciò che vogliamo a sbrigare molte commissioni subito, ma il risvolto di ciò si delinea nelle nuove generazioni che si mostrano sempre più incapaci di aspettare e di tollerare la frustrazione. In effetti sempre più di frequente si può riscontrare nella condotta dei bambini e degli adolescenti di oggi una bassa tolleranza alla frustrazione. Ciò li rende irrequieti e ansiosi rispetto alla soddisfazione dei propri bisogni. È un aspetto questo che caratterizza più generalmente una società che che si riferisce ad un modello estetico nel quale bisogna mostrare una buona immagine di sé. Un modello, questo, che si adegua alla velocità della stessa società, contraddistinta dal consumismo e dalla rapidità con la quale ogni desiderio può essere soddisfatto.

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Bambini iperattivi e disattenti. Vuoi giocare con me?

Negli ultimi anni i media si sono focalizzati sul Disturbo da Deficit dell’Attenzione e dell’Iperattività (DDAI), per tutta una serie di motivazioni, che vanno da alcune concettualizzazioni opposte del disturbo (da una parte l’approccio neurobiologico tutto centrato sulla fisiopatologia e dall’altra l’approccio socio-antropologico dove i sintomi sono una conseguenza di un sistema malfunzionante) ai dibattiti sulle variopinte proposte di intervento (prima l’introduzione degli psico-farmaci nei bambini con i sintomi più accentuati e più recentemente in Germania l’utilizzo di giubbotti imbottiti di sabbia per farli “stare buoni” in classe).

Oggi il DDAI risulta essere uno dei motivi più frequenti per cui un bambino viene portato in un centro clinico ed è quindi importante continuare a parlarne e a fare una certa chiarezza in merito alla questione.

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E’ solo un gioco. Le prime forme di gioco

Alice è una bambina di cinque anni. Durante la ricreazione, mentre giocava in giardino è caduta dallo scivolo sbucciandosi un ginocchio. Le maestre dopo averla consolata hanno provato a metterle un cerotto, ma lei, troppo triste, non l’ha voluto. Il giorno seguente, tornata a scuola, la prima cosa che la bambina ha fatto è stata quella di chiedere alle maestre un cerotto per la sua bambola che aveva fatto la “bua”.

Il gesto che ha fatto Alice può sembrare insensato e privo di significato, ma provando a vedere cosa c’è dietro quella richiesta avanzata sotto forma di gioco è possibile scoprire un mondo fatto di fantasia, di simboli, di sogni e di magia.

Il gioco è una delle esperienze più belle e importanti che ogni persona vive, si sviluppa già in tenerissima età e molte persone lo conservano per tutta la vita facendogli assumere altre forme e nuovi significati.

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Adolescenza. La crisi fisiologica

“A volte uno si sente incompleto ed è soltanto giovane”

Italo Calvino

Ho riflettuto molto sulla scelta del tema di quest’ultimo articolo prima delle vacanze estive, e forse a causa dell’abbuffata di vitamina D grazie al sole di questi giorni, mi è venuto da pensare “bando alla patologia, voglio parlare di normalità”. Che poi sul termine normalità si potrebbe disquisire probabilmente senza mai giungere ad un punto, ma in questo preciso contesto consideriamo normalità come assenza di patologie conclamate: sanità insomma. Per quanto i termini normalità e sanità vicini possano somigliare più ad un ossimoro. Diciamo insomma, senza dilungarci troppo, che questo sarà un articolo che con leggerezza cercherà di fare il punto sulla fase della vita più complicata e da sempre oggetto di studio, dibattito, interesse: l’adolescenza.

L’adolescenza è un periodo della vita che si colloca in continuum con l’infanzia (0-10 anni) e la pre-adolescenza (11-14 anni) e prima dell’età adulta, che è sempre stata fatta coincidere con i 18 anni, la maggiore età, l’età in cui si può prendere la patente, l’età in cui si termina (nella maggior parte dei casi) la scuola superiore, l’età in cui ci si affaccia sul mondo esterno.

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