Intelligenza e cultura. Quale rapporto?

“Ma come non conosci A Silvia di Leopardi? E il 5 Maggio di Manzoni?”

“Ma come non riesci a risolvere un equazione di primo grado? E una proporzione?”

Credo sia superfluo chiedervi quale delle due domande vi è capitato più volte di fare o di sentirvi rivolgere. Sarà che viviamo nel Paese natale di tanti celebri poeti, scrittori, artisti e uomini di cultura. Sarà forse per questo che spesso non essere a conoscenza di un argomento letterario viene considerato indice di ignoranza e motivo di critica, mentre al contrario non sapere come risolvere un quesito di algebra, matematica o geometria viene ritenuto un fatto normale, ascrivibile all’area delle attitudini e dei limiti personali. La letteratura fa parte della cultura, la matematica forse no, secondo il pensiero comune.

Ma cosa significa essere una persona di cultura e qual è la differenza tra una persona di cultura e una persona intelligente?

Sapere e saper fare…contenuti e funzioni….Mi vengono in mente queste parole…come se troppo spesso la cultura venisse intesa come un insieme di apprendimenti e venisse data maggiore importanza al sapere, inteso come essere a conoscenza di, piuttosto che al saper ragionare e al saper formulare idee e punti di vista personali e innovativi. Tutti voi avrete avuto almeno un compagno o una compagna di classe molto in gamba nel assimilare contenuti. La persona che, come si suol dire, ripete come un pappagallo, ma che purtroppo spesso non è in grado di esprimere un punto di vista personale. Tutti voi avrete avuto almeno un compagno o una compagna di classe molto in gamba nel assimilare contenuti. La persona che, come si suol dire, ripete come un pappagallo, ma che purtroppo spesso non è in grado di esprimere un punto di vista personale.

Senza disprezzare e disconoscere l’importanza della Cultura sarebbe però utile intavolare una riflessione per soffermarsi a pensare al senso dell’apprendimento e della trasmissione del sapere. Questo ci rende certamente acculturati. Ma ci rende anche intelligenti? Chi conosce e sa è da considerare automaticamente una persona intelligente?

L’intelligenza venne definita da Wechsler come un’abilità globale, multidimensionale e multideterminata che permette all’individuo di comprendere il mondo che lo circonda e di affrontare le sfide che quotidianamente gli vengono proposte.

Queste parole sembrano sottolineare il ruolo che ha l’intelligenza nel risolvere problemi e trovare idee e soluzioni che permettano all’uomo di vivere al meglio la propria vita. Per fare ciò può ricorrere a conoscenze e schemi mentali già posseduti oppure può inventare qualcosa di nuovo. Può ad esempio avere un’intuizione.

Kohler effettuò un esperimento mettendo una scimmia in gabbia e ponendo al di fuori di essa una banana. La scimmia aveva a disposizione due bastoni. Per prima cosa provava a prendere la banana avvicinandola con un bastone, ma senza risultati positivi. Dopo alcuni tentativi incastrava i due bastoni, ottenendone uno più lungo e riuscendo così a raggiungere il proprio obiettivo. Kohler interpretò quanto osservato utilizzando la parola insight (Per un approfondimento si rimanda all’articolo della dott.ssa Radi dal titolo L’insight – Di come il caos diventa ordine della rivista di Febbraio) La scimmia prima provava ad utilizzare gli strumenti già presenti in natura e successivamente inventava qualcosa di nuovo. Risolveva quindi il problema applicando un nuovo schema mentale. Non era il risultato di una riproposizione di quanto già presente in realtà.

Anche Jean Piaget ha affrontato lo studio dell’intelligenza e del suo sviluppo e lo ha fatto  utilizzando due parole: assimilazione e accomodamento.

Il bambino affronta il proprio ambiente assimilando nuove informazioni e nuove esperienze e modificandole per adattarle in base a quanto già posseduto. Ma con l’accomodamento poi il “materiale” già posseduto viene modificato in base alle nuove informazioni. Si tratta di un equilibrio tra novità e aspettative e schemi formati in base all’esperienza accumulata. 

La cultura può costituire la nostra base di aspettative, agendo da modello di riferimento. Infatti persone appartenenti a diverse culture possono avere diverse aspettative rispetto ad eventi sociali.

Ma non è veramente possibile andare oltre la propria cultura di appartenenza e le proprie aspettative? Allora come si inserisce in tutto ciò la novità, il cambiamento?

L’intelligenza, intesa nel senso di riuscire ad analizzare una situazione da un altro punto di vista e a trovare una nuova soluzione, non è utile solo per risolvere un’equazione particolarmente difficile. Infatti si manifesta in tutte le situazioni quotidiane, nella ricerca di soluzioni ai nostri problemi e anche nel tentativo di comprendere nuovi fenomeni sociali. Soprattutto in quest’ultimo caso l’intelligenza probabilmente ha una marcia in più rispetto alla cultura perché dà maggiori possibilità di immaginare qualcosa di nuovo.

Penso sia utile chiudere con una differenza riscontrata da Cattell tra due forme di intelligenza: cristallizzata e fluida.

L’intelligenza cristallizzata consiste nella capacità di utilizzare conoscenze, competenze ed esperienze già acquisite, mentre quella fluida è la capacità di pensare e risolvere problemi in situazioni nuove ed è indipendente da quanto già acquisito.

Ritengo personalmente che per l’avanzare della scienza e dell’umanità, quest’ultima forma di intelligenza sia quella maggiormente indispensabile. Solo così il discepolo può far tesoro di quanto già appreso dal maestro e raggiungere una propria creatività e sapienza personali, eguagliandolo o meglio superandolo.

D’altronde come affermava Leonardo Da Vinci:

“Triste è quel discepolo che non avanza il suo maestro”.

Dott. Roberto Zucchini

Per approfondire:

Anolli, Legrenzi (2001). Psicologia generale. Bologna: Il Mulino.

Camaioni, L., Di Blasio, P. (2002). Psicologia dello sviluppo. Bologna: Il Mulino.

Cattell, R.B., (1963) Theory of fluid and crystallized intelligence: A critical experiment.Journal of Educational Psychology, 54, 1-22.

Wechsler, D. (1975). Intelligence defined and undefined: A relativistic appraisal. American Psychologist, vol 30(2), pp. 135-139.

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