Sulla paura dell’attesa. Attivarsi in frenesia o contenere e comprendere?

La società di oggi soddisfa ogni nostro bisogno in tempi brevissimi e ciò fa sì che tutti noi siamo sempre più abituati ad avere tutto ciò che vogliamo a sbrigare molte commissioni subito, ma il risvolto di ciò si delinea nelle nuove generazioni che si mostrano sempre più incapaci di aspettare e di tollerare la frustrazione. In effetti sempre più di frequente si può riscontrare nella condotta dei bambini e degli adolescenti di oggi una bassa tolleranza alla frustrazione. Ciò li rende irrequieti e ansiosi rispetto alla soddisfazione dei propri bisogni. È un aspetto questo che caratterizza più generalmente una società che che si riferisce ad un modello estetico nel quale bisogna mostrare una buona immagine di sé. Un modello, questo, che si adegua alla velocità della stessa società, contraddistinta dal consumismo e dalla rapidità con la quale ogni desiderio può essere soddisfatto.

La società di oggi soddisfa ogni nostro bisogno in tempi brevissimi e ciò fa sì che tutti noi siamo sempre più abituati ad avere tutto ciò che vogliamo a sbrigare molte commissioni subito, ma il risvolto di ciò si delinea nelle nuove generazioni che si mostrano sempre più incapaci di aspettare e di tollerare la frustrazione. In effetti sempre più di frequente si può riscontrare nella condotta dei bambini e degli adolescenti di oggi una bassa tolleranza alla frustrazione. Ciò li rende irrequieti e ansiosi rispetto alla soddisfazione dei propri bisogni. È un aspetto questo che caratterizza più generalmente una società che che si riferisce ad un modello estetico nel quale bisogna mostrare una buona immagine di sé. Un modello, questo, che si adegua alla velocità della stessa società, contraddistinta dal consumismo e dalla rapidità con la quale ogni desiderio può essere soddisfatto. Difficilmente ad oggi siamo in grado di sopportare tempi lunghi di attesa proprio perché è la società stessa che non ci aspetta. Considerando questo quadro sociale, molto cambiato negli ultimi anni, notiamo una modificazione evidente nell’espressione delle nuove generazioni. I bambini di oggi rispecchiano in maniera visibile questa caratteristica socetaria. Ci chiediamo a volte come mai i bambini ed i ragazzi siano così poco abituati ad aspettare o a ricevere una risposta negativa nella soddisfazione di bisogno. Riflettendo sulla causa, sull’origine di questa tendenza, a volte mi chiedo se non siano essi stessi lo specchio dei propri genitori. In particolare, proviamo a pensare a ciò che prova un genitore quando, durante la prima infanzia, sente il proprio figlio piangere: credo che una delle emozioni più forti sia proprio la frustrazione, relativa alla percezione che si ha di non poter essere in grado di evitare al proprio figlio ogni minima forma di sofferenza. Fin dalla nascita ogni bambino viene considerato come bisognoso d’amore, di affetto, e di protezione. Difficilmente, al giorno d’oggi, il nuovo nato viene considerato come un piccolo “selvaggio da educare”, ma più frequentemente considerato come un essere sociale capace dimostrare amore e di creare legami affettivi. Il genitore così, trovando difficoltà nel porre dei limiti e dunque nel non soddisfare tutto ciò che gli viene richiesto, tende ad assecondare il proprio figlio in tutti modi.

Le prime fasi di accudimento di un neonato, come ad esempio l’allattamento, il cambio del bambino, il sonno, la pulizia, determinano il prendersi cura non solo dell’aspetto corporeo ma anche dell’aspetto emotivo del bambino stesso. Infatti il bambino neonato comunica il disagio soprattutto attraverso il pianto. Di fronte al pianto del bambino ci si sente chiamati ad intervenire e a rispondere alle esigenze di questo, ma non sempre è possibile riuscire a comprendere la natura di tale pianto. Ciò porta la maggior parte delle persone a fare qualcosa, ad intervenire ad esempio stimolando il bambino con varie attività. Pensiamo ad una situazione in cui un bambino dopo aver giocato un po’ inizia ad essere stanco e si lamenta così la madre comincia a cambiare attività proponendogli altri giochi cambiando così il modo di tenere attiva la sua eccitazione. Ma se la risposta al disagio del bambino corrisponde costantemente ad un’azione, il bambino impara che solo facendo qualcosa è possibile alleviare il disagio. È possibile riscontrare in queste situazioni la crescente frustrazione di un genitore o di una figura di accudimento nei confronti del pianto del bambino, un pianto che deve essere sedato in qualsiasi modo. Questa crescente frustrazione potrebbe aumentare il malessere del bambino piuttosto che tranquillizzarlo. Bion spiega molto bene il ruolo che la madre o un’altra figura di accudimento, dovrebbe avere nei confronti del bambino: quando c’è una situazione di disagio nel bambino, la madre dovrebbe soffermarsi ad osservare e a cercare di comprendere cosa c’è che non va nel bambino interpretando e riportando al bambino, a parole e gesti ciò che è capitato. In questo modo la madre comunica al bambino il suo malessere e il messaggio che non bisogna preoccuparsi e che andrà tutto bene, che ci si sente giù in questo momento ma che tutto passerà. In questo modo il messaggio della tollerabilità del disagio passa al bambino e il disagio stesso diventa più accettabile e sopportabile proprio perché è la madre che per prima riesce a tollerarlo. 

Credo che ogni singolo genitore all’interno delle proprie mura domestiche possa in qualche modo trasmettere al proprio figlio la possibilità di fermarsi ad ascoltare se stesso, le proprie emozioni e i propri sentimenti.

Se l’adulto accetta e sopporta le situazioni di disagio del bambino senza spaventarsi, il bambino capisce che la situazione può essere affrontata. Il ruolo, secondo Bion, del genitore è quello di contenere emotivamente il bambino e di compatirlo nel senso di patire con lui, considerando che è come se il piccolo fosse sopraffatto soprattutto nella prima infanzia, da sensazioni e sentimenti che non riesce ad elaborare e gestire. Il compito dunque dei genitori è quello di rendere tollerabile e digeribile ciò che per il bambino è incomprensibile e poco tollerabile. Il bambino in questo modo si sente ascoltato e a sua volta  impara ad ascoltare le proprie sensazioni e a dare una forma ed affrontare quelle negative.

Mano a mano che il bambino cresce le richieste aumentano e diventano via via più alte in base all’età, cresce la tendenza a raggiungere le prime forme di indipendenza e cresce nei genitori l’esigenza di porre dei limiti e dunque e dunque di dire ‘no’. Purtroppo questo risulta molto difficile perché ogni genitore avrebbe il desiderio di soddisfare ogni bisogno del bambino risparmiargli ogni tipo di sofferenza che potrebbe renderlo infelice e incapace di adattarsi. Ma questo tipo di approccio, se costante nell’educazione di un figlio, potrebbe portare allo strutturarsi di una personalità fragile e incapace di affrontare le situazioni e si potrebbe precludergli la possibilità di fare esperienza della frustrazione che è insita nel rapporto umano con gli altri. È importante far sì che il bambino ne faccia esperienza in un ambiente che conosce bene, la propria casa, affinché possa essere pronto nel fronteggiare la vita, le difficoltà che si riscontrano nelle relazioni e la sofferenza che potrà provare e costruire così una personalità forte.

Dott.ssa Emanuela Sonsini

Riceve su appuntamento a Chieti

(+39) 3703389579
emanuela.sonsini@gmail.com

Per approfondire:

Gustavo Pietropolli Charmet  -Fragile e spavaldo- Ritratto dell’adolescente di oggi. Ed. Laterza

Asha Phillips -I no che aiutano a crescere- Ed. Feltrinelli

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