Legame di attaccamento. L’importanza di legarsi

Ho pensato moltissimo cosa trattare in questo articolo, ho anche buttato giù qualche riga sul tema dell’ascolto, che poco dopo ho cancellato per fare spazio a uno dei ricordi a me più cari.

In passato ho lavorato in una casa-famiglia che ospita la diade mamma-bambino. Ho trascorso con loro molti anni, di conseguenza ho visto bambini nascere e crescere lì dentro, ho visto giovani ragazze, prima alle prese con il test di gravidanza, ritrovarsi poi ad essere mamme. Ho vissuto vicino a loro  tenendogli la mano per affrontare le paure, ma anche la gioia di aver messo al mondo un figlio. La struttura accoglie giovani donne abbandonate dal proprio compagno o che comunque non hanno un appoggio su cui poter contare; ogni gravidanza ha una propria storia, frutto di una violenza,  di un atto incosciente,  di un amore patologico o di una speranza che la coppia si era data per cercare di rimanere insieme. Bambini desiderati o non voluti, ma pur sempre bambini bisognosi di amore e di accudimento.

Vivere con loro la quotidianità è stata una delle esperienze più formative di tutta la mia carriera e, oltre ad arricchirmi professionalmente, mi ha dato la possibiltà di crescere come persona e di ragionare sul  complesso ruolo  dell’essere madre.

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Identità
Come si risponde alla domanda “Chi sei?”

Eccoti lì: seduto di fronte ad un uomo distinto che ti scruta da una sedia in apparenza molto più comoda della tua. È un esperto in selezione del personale, presumibilmente uno psicologo del lavoro, mentre tu sei al secondo colloquio in questo mese. Quel posto è fatto apposta per te, hai studiato e fatto pratica in quel settore, sei pronto a rispondere ad ogni domanda teorica e tecnica su quella specifica mansione. Hai appena ribadito il tuo nome e, ostentando sicurezza, ti stai accingendo ad esporre dettagliatamente la tua carriera, quando vieni interrotto dalla fatidica richiesta: “Come si descriverebbe in 3 aggettivi?”. Probabilmente l’ultima volta che hai risposto a questa domanda stavi compilando un test su Cioè. Sorridi ed accenni un balbettio (prima fase di imbarazzo). Provi a guardarti dentro, cerchi tutte le possibili risposte sincere da dare che non siano banali, ti armi di coraggio e cinguetti qualcosa (seconda fase di imbarazzo). Il selezionatore potrà a questo punto essere soddisfatto della tua risposta, ma a te sembrerà incompleta, superficiale, se non addirittura poco simile a te.

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L’oggetto transizionale. Linus non aveva tutti i torti

Sofia è una bambina molto amata, i suoi genitori sono sempre stati attenti alle sue cure e ai suoi bisogni.

Quando è nata, ma forse ancor prima di nascere,  amici e parenti  hanno riempito la sua cameretta con peluches di ogni genere, con la speranza che uno di questi potesse rappresentare per lei  la famosa “Copertina di Linus” da portare a scuola, a casa dei nonni o semplicemente in giro.

Sofia, tra tutti quei giochi e peluches si è particolarmente affezionata a un orsetto chiamato Minù: da quando si sveglia fino a quando va a dormire, Minù è sempre accanto a lei. Lo cerca quando vuole addormentarsi la sera, la mamma glielo mette vicino nei momenti di sconforto, quando viene rimproverata da qualcuno lo cerca e lo stringe forte a sé. Con il passare del tempo Minù sembra crescere con lei, non è più così morbido come prima, in realtà sembra “invecchiato”, pochi giorni fa ha perso anche un occhio, ma per Sofia non è cambiato niente, Minù rimane comunque il suo peluche preferito.

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AUTISMO. Il mondo degli Opossum

Era una giornata come le altre, arrivata a lavoro ho salutato Luca, lui ha salutato me toccandomi le mani  e abbiamo iniziato a lavorare.

Luca era più euforico del solito, saltava da una parte all’altra della stanza, ripeteva in continuazione il dialogo di un cartone animato, batteva a terra i suoi piedini e riusciva contemporaneamente con la mano destra a scrocchiare le dita e con quella sinistra a toccarsi i capelli.

I suoi occhi erano rivolti altrove, guardava tutto, ma non guardava niente. E  sicuramente non guardava me. 

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La Dislessia
Gli struzzi non mettono la testa sotto la sabbia

Qualche giorno fa ero dal medico poiché, in seguito all’influenza, desideravo farmi visitare. 

Mi trovavo in sala di attesa  e, mentre il mio animo ipocondriaco contemplava la possibilità di aver contratto il virus dell’Ebola ed immaginava tutte le possibili soluzioni per scampare alla morte, attaccò bottone una signora di circa 60 anni. Parlammo del più e del meno (ovviamente anche dell’Ebola e delle nostre preoccupazioni), era visibilmente molto stanca e affaticata nell’eloquio. Dopo essersi interrotta nella comunicazione varie volte ed aver fatto fatica a trovare le parole giuste da dirmi, affermò con distrazione:

“Mi scusi, oggi sono proprio dislessica non riesco a parlare”.

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