La comunicazione
Cosa diciamo, come lo diciamo e cosa determiniamo

Un ragazzo è seduto sul sedile del treno. È circondato da tante persone, alcune delle quali chiacchierano tra loro. Lui invece no, non parla. Ascolta la musica con le cuffie.

Gli altri comunicano, lui no, ma solo apparentemente. Infatti le cuffie le ha messe poco prima di sedersi, proprio quando ha notato che le persone a bordo del vagone erano intenzionate ad intrattenere una conversazione. Non avendone voglia ha fatto in modo che non lo disturbassero, occupando le proprie orecchie con l’ascolto della musica e rendendo così impossibile la recettività alle parole degli altri. Ha impedito loro di parlargli. Ma per fare ciò ha dovuto comunicare loro la sua intenzione. Senza parlare, mettendo le cuffie. “Ascolto la musica quindi non mi interpellate”. In questo modo senza fare niente ha raggiunto il suo scopo.

È riuscito a non comunicare. Ma per farlo ha dovuto comunicare.

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La Gelosia nelle Relazioni d’Amore
Sentimento od Ossessione?

La gelosia non è altro che un contenuto psichico che può essere sia elemento di normalità che di patologia a seconda di quanto ha il potere di condizionare idee e comportamenti: può determinare, ad esempio, solo uno stato emotivo, un’idea prevalente o essere un pensiero paranoico e delirante.

Gelosia è, dunque, in primis normalità. La totale assenza di gelosia nei rapporti amorosi rappresenta un processo di congelamento emozionale, una difficoltà relazionale, il frutto di un utilizzo massiccio di meccanismi, quali rimozione e negazione (per un approfondimento si rimanda all’articolo Meccanismi di difesa- Quei garanti della sopravvivenza) consolidati in infanzia a difesa dell’io per sopperire verosimilmente all’inadeguatezza genitoriale. La gelosia è espressione sana dell’esistenza di un legame di attaccamento con il partner, possibile solo laddove ne sia stata già fatta esperienza in precedenza con le figure di accudimento primario (per un approfondimento si rimanda agli articoli Legame di Attaccamento- L’importanza del legarsi Legami di Attaccamento- Oltre l’amore di un padre).

freud, gelosia, ossessione, psicologia, psicoterapia, stalking

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La sindrome di Stendhal
La bellezza che stordisce

Amore e Psiche – Antonio Canova (1973)

“Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere.”

E’ a partire dalle sensazioni descritte da Marie-Henri Beyle (il cui pseudonimo è Stendhal) all’uscita dalla chiesa di Santa Croce a Firenze, che questa sindrome prende il suo nome.

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Il gruppo e le sue proprietà. Due più due fa sempre quattro?

Vi è mai capitato di notare che un vostro conoscente o amico si comporta in un certo modo in una relazione a due e in tutt’altro modo all’interno di un gruppo?

Gli adolescenti spesso lo dicono “quando siamo io e lui è un certo tipo di persona, ma poi quando ci sono altri ragazzi cambia del tutto, non lo riconosco proprio, anzi diventa antipatico”. Si arrabbiano per questo perché non capiscono il motivo che determina il cambiamento e si sentono traditi dall’amico che, quando si sta in compagnia di più persone cambia totalmente. Una cosa è certa: attraverso queste esperienze si rendono conto che il comportamento di un soggetto può essere dipendente dal contesto relazionale.

Kurt Lewin si espresse relativamente al rapporto tra il tutto e le parti affermando che il tutto è più della somma delle sue parti ovvero ha delle proprietà emergenti che risultano proprio dall’interazione delle parti che lo compongono (per un approfondimento si rimanda all’articolo L’immigrazione – a quale gruppo appartieni? nella rivista del mese di settembre).  Ma cosa dovrebbe farci con questo il nostro adolescente arrabbiato?

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L’orientamento e la navigazione. Il mito delle differenze di genere

M. C. Escher, Relativity – 1936 Collezione privata

Gli uomini hanno una capacità di orientamento nello spazio superiore a quella femminile? “Mia moglie non ha alcun senso dell’orientamento, per questo guido sempre io…” Questo è quello che le dicerie comuni affermano da tempo ma, prima di svelare se il mito corrisponde a verità, facciamo un passo indietro: cosa vuol dire orientarsi nello spazio?

Gli esseri umani hanno la facoltà di imparare e ricordare le informazioni sulle relazioni spaziali nel mondo ai fini dell’adattamento. Immaginiamo quanto fosse importante sviluppare questa capacità quando non esistevano strade o mappe che ci aiutassero a tornare a casa. Gli individui percepiscono informazioni direttamente dall’ambiente e si orientano in esso, aggiornando continuamente il loro rapporto con gli oggetti che li circondano mentre si muovono nello spazio, integrando le informazioni da diverse prospettive per fornire un senso di spazio unificato. L’abilità degli umani ad apprendere e manipolare l’informazione spaziale ha ricevuto negli anni sempre più attenzione e oggi sappiamo che esistono due modi in cui gli esseri umani acquisiscono e usano l’informazione spaziale: attraverso un apprendimento primario e uno secondario. L’apprendimento primario (cioè diretto) si ha quando l’individuo interagisce direttamente con l’ambiente circostante, creando un senso di spazio vicino, rispetto al quale può agire direttamente.

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“Forever Young”. La fobia della senescenza nel mondo dei social network

«Tentiamo tutti, fino alla fine, di fare i giovani. Non ci sono più le zie e nemmeno nonni, anzi i nonni si sono proprio estinti, perché oggi vanno a rimorchiare. Mia nonna mi faceva le marmellate fatte in casa e aveva l’età che ha oggi la Ferilli, che nel mio film rimorchia eccome» Con queste parole Fausto Brizzi commenta il suo film, in cui Franco, Angela, Diego e Giorgio, il più anziano dei quali ha ben ottant’anni, tentano in tutti i modi di negare il trascorrere degli anni, ricorrendo a colpi bassi di ogni genere, in particolare intrattenere relazioni sentimentali con compagni di trent’anni più giovani. Con gli stilemi tipici della commedia italiana il regista dipinge in modo caustico quelli che egli definisce i “Nuovi mostri”.

La giovinezza ha assunto un valore assoluto in una società in cui l’immagine non è più simbolo, ma è diventata sostanza. Un epoca storica unica, nel bene e nel male, in cui apparire equivale all’essere, in un contesto culturale mediatico in cui il tempo dedicato alla conoscenza dell’altro da sé è inferiore ai trenta secondi. Social media e televisione ci offrono un mondo immaginario in cui nessuno invecchia, e anche se invecchia conserva status sociali e comportamenti propri dei più giovani.

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Obesità e Bulimia. Possibili declinazioni del vuoto

Ricordo ancora che mi svegliai nel cuore della notte, allertata da un insolito rumore proveniente dal bagno posto in fondo alla mia piccola casa. Fuori buio pesto, gli occhi semi chiusi e la mente ancora dormiente, seppur in buona parte impegnata a decifrare quegli strani e confusi segnali sonori che percepivo essere non troppo lontani dal mio letto. Ed ecco che d’improvviso riuscii a distinguere il tutto: era il tipico crunch – crunch di chi è intento a mangiare delle croccanti patatine in busta. Avevo svelato l’arcano. Quel giorno l’amica della mia inquilina si era fermata a cena da noi: entrambe avrebbero studiato fino a tarda sera in vista di un esame di biologia molecolare fissato a breve e che destava loro non poca preoccupazione. Evidentemente, credendo di non essere scoperta da nessuna di noi, complice l’ora tarda ed il silenzio della notte, aveva ben pensato di rifugiarsi fra le mura del bagno, cui aveva affidato il compito di custodire segretamente la scarica violenta e veloce di una tensione emotiva a lungo accumulata. E’ passato parecchio tempo da allora e per quanto la memoria non mi aiuti a riportare esattamente tutte le riflessioni che feci in quelle rapide frazioni di secondo, c’è però una cosa che ricordo come fosse ieri: la mia attenzione a quel rumore fragoroso e pungente, al limite del fastidioso, e in special modo la voracità sottesa e tutta concentrata in quell’azione, nitidamente percepita dalle mie orecchie. 

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Il vero senso delle fiabe. Cappuccetto Rosso in Psicoanalisi

 “C’era una volta una dolce bimbetta; solo a vederla le volevan tutti bene, e specialmente la nonna che non sapeva più che cosa regalarle. Una volta le regalò un cappuccetto di velluto rosso, e poiché‚ le donava tanto, ed ella non voleva portare altro, la chiamarono sempre Cappuccetto Rosso. Un giorno sua madre le disse: “Vieni, Cappuccetto Rosso, eccoti un pezzo di focaccia e una bottiglia di vino, portali alla nonna; è debole e malata e si ristorerà. Sii gentile, salutala per me, e va’ da brava senza uscire di strada, se no cadi, rompi la bottiglia e la nonna resta a mani vuote. (…)”

(Per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo La funzione psicologica della fiaba – Il regno del proprio inconscio)

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Dipendenze Affettive. Nè con te, nè senza di te

Quando si assaggia il caffè la prima volta, in genere, non è amore a prima vista. Il suo aroma forte, il suo sapore amaro non ci convincono, ci fanno storcere il naso. Quando sperimentiamo però gli effetti della caffeina tutto cambia. La caffeina è l’alcaloide presente nel caffè. La molecola della caffeina agisce provocando un aumento dei livelli di adrenalina e noradrenalina nell’organismo. Attraverso queste, ha un effetto tonico sulla funzionalità cardiaca e nervosa, uneffetto stimolatorio sulla secrezione gastrica e su quella biliare, un effetto lipolitico ed un effetto anoressizzante. In parole povere: fornisce energie, facilita la digestione, favorisce il dimagrimento e diminuisce l’appetito. Gli effetti della caffeina la rendono quindi una sostanza assai desiderabile, che è entrata a far parte delle abitudini quotidiane di moltissime persone. Passiamo sopra ad aroma e sapore, che, anzi, diventano quasi gradevoli, e, nel primo periodo siamo inebriati dai piacevolissimi effetti che hanno sul nostro organismo. Con il passare del tempo, gli effetti sembrano meno potenti del solito ed un solo caffè non basta più: ce ne servono due. E così via. Finchè il nostro organismo non ci dice che basta, dobbiamo trovare un equilibrio ed una regolarità.
È successo quello che in farmacologia è definito come assuefazione, ovvero un complesso di cambiamenti fisiologici che si associano all’uso di alcune sostanze, come droghe o farmaci. Le condizioni specifiche associate all’abuso di queste sostanze sono la dipendenza, la situazione in cui l’uso di una droga acquista priorità preminente o assoluta nella scala dei bisogni personali, e la tolleranza, la condizione fisiologica per cui l’organismo sopporta a dosi gradualmente più elevate la tossicità delle sostanze. Una volta stabilitasi una condizione di tolleranza, la medesima dose di sostanza produce effetti progressivamente ridotti. È detto assuefazione il degradare degli effetti, soprattutto psichici, della medesima dose, che rende necessario aumentare la dose per produrre lo stesso effetto.

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Riflessioni sul Carnevale
Di Maschere e di Psiche

Periodo più folle dell’anno, dove “ogni scherzo vale” ed è possibile essere e fare ciò che ci pare.  Il Carnevale è la rappresentazione di un mondo pazzo, senza regole, dove le certezze della vita, lasciano il posto alla confusione in ogni suo sfaccettatura.

Nato come espressione di un tentativo sociale di trasgressione di norme e di sovversione di ruoli sociali sovraimposti. Nella civiltà occidentale, le origini del Carnevale sono antiche e rintracciabili nei saturnali Romani, rituali pagani in cui, in un periodo limitato di tempo, non vi era l’obbligo di rispettare leggi e costumi sociali ed in cui le gerarchie erano capovolte (gli schiavi divenivano liberi ed acquisivano poteri). Il mondo, in quei giorni, girava al contrario. L’equilibrio sociale ed il perfetto ordine delle cose, tornava con la fine della festa che veniva scandita da sacrifici, nell’ottica rituale attraverso cui la morte conduce sempre ad una nuova rinascita. 

antropologia, carnevale, etnopsicologia, maschere, psiche, psicologia, psicologia sociale

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