Dipendenza da Tabacco
Quando i pensieri vanno in fumo

“…Mi colse un’inquietudine enorme. Pensai: «Giacché mi fa male non fumerò mai più, ma prima voglio farlo per l’ultima volta». Accesi una sigaretta e mi sentii subito liberato dall’inquietudine(…) Finii tutta la sigaretta con l’accuratezza con cui si compie un voto. E, sempre soffrendo orribilmente, ne fumai molte altre…”

(La Coscienza di Zeno – Italo Svevo)

Sui pacchetti di sigarette e negli occhi della gente leggiamo quotidianamente “il fumo nuoce gravemente alla salute”. Ogni fumatore dipendente ne è consapevole, giacché vive sul proprio corpo gli effetti nocivi del fumo, della dipendenza e conosce perfettamente gli studi sui rischi associati all’abuso di nicotina nel tempo. Conoscere a cosa si va incontro, però, non rappresenta una spinta considerevole allo smettere di fumare. Come mai?

 Per chi si protegge dietro la difesa della negazione, fin quando un evento traumatico (come una malattia) non accade realmente, non esistono rischi; rappresenta a volte, invece, una decisione molto rischiosa fare qualcosa di concreto per se stessi e per la propria salute (come smettere di fumare). La dipendenza fisica e gli effetti piacevoli che il fumo rilascia (aumenta la concentrazione, migliora l’apprendimento, attiva la mente e tranquillizza) rappresentano un alibi per reiterare il comportamento nocivo e renderlo socialmente accettabile, ma nascondono l’ inconscio bisogno di farsi del male ed autopunirsi del fumatore dipendente. Il piacere nel fumare è, infatti, provvisorio, legato esclusivamente al momento in cui la sigaretta è accesa, quando per suo volere e sotto il suo controllo, il fumo lo attraversa, lascia qualche traccia nel corpo e poi ri-esce. Alterna consapevolmente e meno consapevolmente, momenti di piacere a momenti di punizione in un processo di coazioni a ripetere su cui si struttura la sua dipendenza. Finita la sigaretta, infatti, affiorano sentimenti negativi quali vergogna per non essere riuscito a controllare un impulso, angoscia per la possibilità di future malattie e colpa per aver sottoposto il proprio corpo ad un trattamento nocivo, nonché la consapevolezza di esserne dipendenti. A questi sentimenti possono corrispondere vissuti di ansia, insoddisfazione e bassa autostima che il fumatore contiene riaccendendo un’altra sigaretta. La nicotina ha, infatti, anche un’ importante proprietà ansiolitica.

Il tabagismo (o dipendenza da tabacco) segue l’iter psicopatologico di ogni forma di dipendenza (abuso-craving-assuefazione-astinenza) e, come tale, nasconde un profondo senso di vuoto interiore (per maggiori approfondimenti si rimanda a “La dipendenza- Vuoti di vita da colmare”): il fumatore dipendente si mostra incapace di perseguire come obiettivo il proprio benessere; potrà infatti esistere solo se manterrà una relazione con un “oggetto colmante”, fin a quando non riuscirà da sé a riempire quel vuoto.

Tendiamo a scegliere la sigaretta come “oggetto colmante” per le caratteristiche socialmente condivise di bassa pericolosità, benché sia proprio la sua reperibilità a renderla una “droga” familiare e maggiormente pericolosa. Si diventa fumatori molto presto nello sviluppo: dalla prima sigaretta per gioco con gli amici, al fumare per dimostrare a se stessi e agli altri di essere un adulto ed “esistere” da adulto. Fumare in adolescenza conferisce un’identità all’interno del gruppo di pari ed assolve il bisogno umano di sicurezza e allo stesso tempo di autonomia e libertà.

Crescendo il comportamento si reitera andando ad assolvere altri tipi di bisogni e la dipendenza si struttura maggiormente: il fumo diviene un importante mezzo di piacere e gratificazione orale. Lo fase orale è la fase più arcaica dello sviluppo psicosessuale del bambino secondo la teoria freudiana: nei primi mesi di vita il soddisfacimento delle pulsioni avviene per mezzo della bocca, attraverso comportamenti orali, come succhiare e mordere il seno della madre. Il neonato succhia ed ingerisce il latte dalla mamma ed incorpora parti buone di lei dentro sé e, di conseguenza, i suoi livelli di ansia diminuiscono, lasciando spazio al piacere. Il bambino impara ben presto che il suo benessere dipende dalla presenza di un oggetto buono dispensatore di piacere, da poter succhiare e mordere. Lo scarso soddisfacimento dei bisogni orali a questa età (ad esempio, nel caso in cui la madre non si mostri sufficientemente presente o attenta alle esigenze del figlio) può rappresentare un’ interferenza nello sviluppo psicosessuale del bambino che da lì in avanti e per tutta la vita prediligerà il cavo orale come fonte di gratificazione. 

È il caso del tabagismo, ma anche di altre forme di psicopatologie (come i disturbi del comportamento alimentare) in cui il cavo orale rappresenta la zona primaria di soddisfacimento delle pulsioni. Per il fumatore dipendente, il fumo da tabacco sotto forma di sigaretta diviene il principale mezzo di appagamento di tensioni insopportabili, una nuova e più matura modalità di accesso a quel desiderio mai soddisfatto in infanzia. L’adulto, dunque, sostituisce l’oggetto di piacere del neonato (il seno materno) con un oggetto “surrogato” e “colmante”(la sigaretta) nel tentativo inconscio di rimanere aggrappato all’ oggetto d’amore primario e non essere (più) abbandonato. La “relazione” con il nuovo oggetto ha dei vantaggi: è anch’essa piacevole, socialmente accettabile, ma controllabile dal soggetto che la può usare a seconda del suo bisogno (a differenza di una mamma assente, la sigaretta è sempre reperibile ed a disposizione) per rilassarsi e concedersi una gratificazione nell’immediatezza. Possiede, ormai, il potere di essere l’artefice del proprio piacere.

Per Freud i suoi sigari erano compagni di vita: ne fumava circa 20 al giorno. Il fumo era per lui “arma e protezione nella dura battaglia della vita”, una certezza a cui rivolgersi nei momenti più bui che l’animo umano può conoscere; un mezzo necessario anche per lavorare (Arbeismittel) a cui attribuiva il potere di aumentare le sue capacità lavorative e l’autocontrollo. Ho la tendenza ad immaginarlo sempre avvolto in una nuvola di fumo. Non accoglieva mai un paziente senza accendere un sigaro che lo accompagnava nella seduta e aiutava i partecipanti ad entrare in sintonia con il suo metodo. Prima di morire, decise di donare un bene per lui molto prezioso a suo fratello: i suoi sigari. “Il fumo è uno dei piaceri più grandi e meno costosi della vita”, diceva, ma fu per lui una spinta alla vita ed anche un dolce accompagno verso la morte.

Fumare è un vizio che si innesca e si struttura inconsapevolmente su formazioni nevrotiche già esistenti nella nostra personalità. A livello cosciente viene percepito come un’esigenza, a volte, o usato come mezzo per socializzare, come forma di ribellione e come molto altro… L’abitudine al fumo è una strategia disfunzionale che segue il principio di piacere e si struttura in risposta ad una o più situazioni stressanti, come fosse una difesa a tutela del proprio mondo emotivo, come un rifugio, un nascondiglio sicuro per i pensieri. I pensieri pesanti vanno metaforicamente in fumo, possono spegnersi per il tempo di una sigaretta almeno, annebbiando la mente e lasciando spazio per concentrasi sulle azioni, sulla ritualità dei gesti. Il raggiungimento del piacere è possibile con il ritiro dalla cruda realtà dei pensieri annebbianti. Anche la gestualità associata all’atto rilassa ed inebria; il fumo che esce ed entra nei canali respiratori crea una stimolazione autoerotica.

Il fumo è in primis una coccola, dunque. Si configura come psicopatologia, invece, quando vi è assenza di controllo cosciente sull’azione di fumare. Si può essere dipendenti da una sola sigaretta al giorno: se essa rappresenta un obbligo, un rituale di gratificazione non vi è liberta di scelta consapevole e si è totalmente soggiogati dalla sostanza e dai suoi effetti.

La consapevolezza di essere per natura dipendenti (per maggiori approfondimenti si rimanda a “La dipendenza- Vuoti di vita da colmare”) da persone, comportamenti e sostanze in maniera anche funzionale al nostro benessere, ci fa riflettere e ridimensionare i rischi di vivere una dipendenza; ciò che è importante e necessario, è evitare che un “vizio colmante” possa annebbiare la nostra mente a lungo creando un fumo permanente. Il rischio è non riconoscere che le difficoltà nel tollerare l’assenza dell’oggetto che abbiamo scelto come fonte di piacere da grandi (la sigaretta), siano il flebile riflesso di un’assenza già affrontata in passato.

Non è il sintomo della dipendenza a parlare di noi, ma l’assenza originaria a cui fa rifermento.

Dott.ssa Emanuela Gamba

Riceve su appuntamento a Roma

(+39) 389 2404480

emanuela.gamba@libero.it

Per Approfondire:

Bignamini E., Bombini R, “Considerazioni sul pensiero e sul linguaggio delle tossicodipendenze,” Medicina delle Tossicodipendenze, 2003.

Svevo I., “La coscienza di Zeno,” Mondadori, 2001

Gay P., “Freud. Una vita per i nostri tempi”, Bompiani, 2001

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