Disturbo Istrionico di Personalità
Una vita, un palcoscenico

Io sono un istrione a cui la scena dà la giusta dimensione (..) Io sono un istrione ed ho scelto ormai la vita che farò (..) Con il mio viso ben truccato con la maschera che ho sono enfatico e discreto versi e prosa vi dirò (..) Con tenerezza o con furore e mentre agli altri mentirò fino a che sembri verità fino a che io ci crederò.

Charles Aznavour, “Io sono un istrione” (Le Cabotin) 1971  

A primo impatto Ilaria racchiude in sé la piena essenza contenuta nel suo nome: è una donna gioiosa, ìlare, aperta, vitale. Immaginate però, che il tutto sia elevato all’ennesima potenza. Esasperato. La sua è una bellezza rara e delicata, capace di suscitare invidie anche feroci, cosa che tuttavia, evidentemente, non le basta a sostenere un Io dai risvolti così labili. Di fatti, da lì a poco mi confesserà di ricorrere periodicamente ad infiltrazioni di acido ialuronico alternate al botulino, ma “solo per ridurre le rughe d’espressione attorno agli occhi, ringiovanire lo sguardo, marcare gli zigomi, sollevare un po’ l’attaccatura delle sopracciglia e mettere in risalto quelle labbra, per lei a suo tempo fin troppo scarne”. Ci tiene a specificarmi che trattasi d’interventi di medicina estetica, non di chirurgia plastica. Mi chiedo che bisogno abbia di rendere via via sempre più artefatta una bellezza di cui Madre Natura le ha già fatto abbondante dono e nel pensarlo mi accorgo di nutrire per lei una certa tenerezza. Un giorno decide di mostrarmi alcune fra le sue ultime immagini: auto – scatti che la ritraggono in ogni dove ed in tutte le salse.

Leggo chiaramente nei suoi occhi una fierezza per nulla nascosta, se non ostentata, ed un certo compiacimento nel tono della voce, mentre si accinge a descrivermi ad un ritmo incalzante e con tutta la colorata veemenza che la connota, gli stati d’animo più salienti provati al momento dello scatto, che anche adesso che è con me sembra quasi rivivere appieno. Resto a dir poco basita non solo dall’impressionante quantitativo di foto che colleziona su quel telefono ormai saturo di lei, ma da tutte quelle pose decisamente ammiccanti, degne di uno shooting fotografico da urlo. Riconosco che sembra venirle del tutto naturale: guardare l’obiettivo e giocarci facendo bella mostra di sé, vestire panni succinti capaci di strizzare un corpo già esile di suo e indossare quelle stesse vesti su scarpe vertiginose dal tacco 12 cm portate con straordinaria leggiadria e disinvoltura. Neanche stesse sfilando su una passerella con indosso un paio di anonime Superga.

L’intera esistenza di Ilaria è una continua e smodata mostra di sé, quasi vivesse costantemente sotto ai riflettori e non contemplasse alcuna possibilità inversa. Ma non solo: è un po’ come se quelle stesse luci tutte accese attorno a lei le dessero letteralmente vita e le ricordassero che respira, parla, cammina e si muove su quel palco immaginario, su cui puntualmente mette in scena se stessa. Lustrini e pailettes le suggeriscono chi è (per un approfondimento si rimanda all’articolo “Identita – Cosa si risponde alla domanda “Chi sei”?).  

Nel Disturbo Istrionico di Personalità – che si registra nel 2 – 3 % della popolazione generale, specie in quella femminile –   assistiamo esattamente a questa tendenza: l’individuo che ne è affetto mostra una costellazione di atteggiamenti globalmente e attivamente orientati ad attirare l’attenzione su di sé, al punto da risultarne a disagio nel qual caso tale circostanza non trovasse pieno compimento. Ogni azione, parola, emozione del paziente istrionico, è oggetto di un massiccio effetto – amplificazione, così da catturare gli sguardi della platea dinanzi a cui simbolicamente esibisce se stessa.

Questo dettaglio ci porta necessariamente a fare un rapido salto all’indietro nel tempo, per spiegare come nell’antica Roma gli istrioni fossero quegli attori che, provenendo dalla lontana regione dell’Istria, non conoscevano la lingua latina e pertanto portavano sul palcoscenico le proprie opere attraverso l’uso prediletto  di alcuni canali: dalla gestualità, alla voce passando attraverso la mimica facciale e del corpo, tutto, insomma,  veniva massimamente impiegato, così da trasferire sullo spettatore l’intero ventaglio emotivo di cui commedie, balletti, tragedie e pantomime erano intrise.

Ecco spiegato da dove traggano origine la teatralità delle espressioni come pure l’estremizzazione dell’emotività, che risulta così decisamente volubile e superficiale, l’eloquio impressionistico, in cui l’intensità delle espressioni si sostituisce alla profondità delle stesse, al punto da condizionare i rapporti che i soggetti istrionici riescono a creare: essi si mantengono assai più in superficie se messi a confronto con quelli intessuti dai pazienti isterici, loro “parenti stretti” (per un approfondimento si rimanda all’articolo “L’isteria – Psicopatologia dei sessi”), posti però ad un livello evolutivo in qualche modo superiore: se di fatti, gli isterici vivono sì la presenza del terzo e quindi il pensiero della separazione con conflittualità e vi reagiscono portando in scena il loro dramma interiore a tutto tondo,  – arrivando anche a produrre un disturbo somatoforme – sono tuttavia capaci di relazioni più stabili nel tempo. Di contro, gli istrionici sembrerebbero orientare il proprio mondo relazionale attorno ad una concezione fusionale dei rapporti, in cui – mancando un vero confine fra dentro e fuori – vige l’adesività più assoluta, che non ammette esclusioni o abbandoni di sorta ed in cui il terzo non è psichicamente ammesso. Oltre la diade, non vi è alcuna pensabilità. L’impiego del corpo a scopo seduttivo piuttosto che la manipolazione più generale sono dettati dal sotteso e taciuto bisogno di accudimento, che pare esser loro mancato durante la relazione diadica primaria.

Non a caso, ogni manifestazione del pensiero e del proprio mondo emotivo è caricata oltre misura, ponendosi come potentissima difesa impiegata contro i vissuti depressivi, che il soggetto fa fatica a guardare e nei quali rischierebbe di restare pericolosamente impantanato: di contro, gli preferisce una variopinta maschera, con cui, fra recite costanti, si fa largo nel mondo, a copertura della parte più autentica di sé, che tuttavia è soggettivamente percepita come la più scomoda; essa è ritenuta indegna, perché associata all’area di fragilità dell’istrionico ed è pertanto potentemente occultata nel profondo al suo amato pubblico. La sfera sessuale è vissuta in modo ambivalente, in quanto ora desiderata ora temuta: la seduttività, a prima vista così esasperata, inappropriata e strumentalizzata, rivela invece una consistenza del tutto evanescente, in quanto ad esser maggiormente impiegato è il mondo immaginifico piuttosto che quello reale, nel quale i rapporti vissuti si rivelano spesso assai insoddisfacenti (con frequente anorgasmìa nelle donne ed impotenza negli uomini).

In questo mondo esterno trascorso godendo ed alimentandosi delle magiche luci della ribalta, a far da contraltare ci pensa invece un interiorità confusa, tutta immersa nel profondo buio dell’anima, probabilmente sì strutturatasi entro ambienti familiari scomposti e caotici, in cui a suo tempo i bisogni del bambino non trovarono il dovuto e adeguato riconoscimento. Da qui, la necessaria quanto vitale controtendenza degli istrionici ad esibirsi e a mettersi in mostra, così da poter salvare le apparenze e dirsi vivi, lasciando celata dietro a quello scudo di facciata un consistente e doloroso nucleo depressivo che da sempre faticano a fronteggiare.

Dott.ssa Carmela Lucia Marafioti

Riceve su appuntamento a Larino (CB)
(+39) 327 8526673

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Renato Zero e Massimo Ranieri – L’Istrione (2000) 

Per Approfondire:

Lingiardi V., La personalità e i suoi disturbi, Il Saggiatore, Milano, 2004

Gabbard G. O., Psichiatria Psicodinamica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000

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