L’invidia: un’emozione inconfessabile

Il bisogno di distruggere la felicità dell’altro

“Chi è insicuro tende a cercare febbrilmente un bersaglio su cui scaricare l’ansia accumulata e a ristabilire la perduta fiducia in sé stesso cercando di placare quel senso di impotenza che è offensivo, spaventoso e umiliante”.

Z. Bauman

L’invidia è un’emozione sociale molto comune, altamente stigmatizzata nella nostra cultura. Può essere definita come “un’emozione spiacevole, spesso penosa, caratterizzata da sensi di inferiorità, ostilità e risentimento, che ha origine dalla presa di coscienza che prova un soggetto quando teme che un altro possegga qualcosa di desiderabile. Il significato del termine rimanda in modo diretto agli aspetti distruttivi di questa emozione, che si traducono nel desiderio non solo di eguagliare colui che è più fortunato, ma anche di danneggiarlo e deprivarlo di quello che ha. È possibile riscontrare una forte componente di ambivalenza: al desiderio smisurato di possedere ciò di cui si percepisce la mancanza si contrappone quello di distruggere metaforicamente ciò che l’altro possiede o rappresenta.

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Lo stile. La voce della tua identità

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Opera di Kristina Korobko per Istituto Italiano Design

Il termine “identità” si riferisce a significati ed ambiti differenti; si parla di identità in chiave psicologica, ma anche sociale, culturale, politica e matematica!

L’ “identità” è anche associata alla moda, non solo in riferimento al DNA di un brand o di abbigliamento tipico di una determinata subcultura, ma perché espressione del modo di essere dei singoli individui e base per quello che viene definito “stile”.

La moda può essere utilizzata come strumento per l’espressione della propria identità o per la scoperta della stessa. Attraverso abiti ed accessori comunichiamo chi siamo, chi vorremmo essere, in che modo ci distinguiamo dagli altri, cosa ci rende unici e diversi. Elementi che contraddistinguono uno stile, una persona dall’altra.

Per comprendere meglio questi concetti è utile approfondirne la definizione.

Iris Apfel ha detto: “se non conosci te stesso non potrai mai avere un grande stile. Non sarai mai veramente vivo. Per me il peggior falso nella moda è quello di guardarsi allo specchio e non riconoscersi”

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Il Vampiro. Il piacere della paura

“A lungo andare, è sembrata sul punto di cedere al sonno, ma con uno sforzo si è riscossa. Lo stesso è accaduto a più riprese, ogni volta con maggior fatica da parte sua e a intervalli via via brevi. Era chiaro che non voleva dormire, e ne ho approfittato per abbordare senz’altro l’argomento. “Non volete dormire?” “No, ho paura.” “Paura di dormire! E perché mai? Il sonno è un bene al quale tutti agognamo.” “Ah, non quando si è nella mia situazione, quando il sonno è foriero di orrori.” “Foriero di orrori! Ma che cosa state dicendo?” “Non lo so, non lo so! Ed è proprio questo lo spaventoso! Questa debolezza sopravviene durante il sonno, e al solo pensiero inorridisco.” […] E, pronunciata appena la parola, eccola far udire un gran sospiro di sollievo e sprofondare nel sonno. Tutta la notte sono rimasto a vegliare. Non si è mossa neppure un istante, ma ha continuato a dormire e a dormire di un sonno profondo, tranquillo, foriero di vita e di salute. Le labbra erano semiaperte, il seno si alzava e si abbassava con la regolarità di un pendolo. E un sorriso le aleggiava sul volto, rendendo manifesto che nessun brutto sogno era venuto a turbare la pace del suo spirito […]”

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La ripresa
Il non ritorno all’eguale

“Io sono di nuovo me stesso. Questo mio Io che nessuno avrebbe voluto accogliere dalla polvere della strada, è di nuovo in mio possesso. La discordia che era in me è placata”.

(S. Kierkegaard)

Freud osservò nell’essere umano una tendenza ripetitiva e estenuante a rivivere le esperienze dolorose. Tale condizione comune di sofferenza a tutti gli individui prese il nome di coazione a ripetere: attitudine incoercibile, del tutto inconscia, a porsi in situazioni penose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate. Tale tendenza si attiva, secondo Freud, perché ciò che non è stato compreso, digerito o capito male ritorna sempre quindi l’inconscio attiva comportamenti simili allo scopo di trovare soluzioni e giungere ad un senso di liberazione dai vissuti legati ad eventi traumatici. Sono comportamenti poco funzionali per l’esistenza dell’individuo che impediscono un reale cambiamento e intaccano la libertà decisionale. In questo modo ci muoviamo nel mondo ripetendo gli stessi schemi e rimettendoci nelle stesse situazioni in cui siamo abituati a vivere esperienze che già conosciamo come: instaurare relazioni d’amore con una determinata tipologia di partners o inserirsi in contesti lavorativi poco stimolanti e appaganti anzi a volte persino svalutanti in cui non possiamo far emergere le nostre capacità, arricchirci o farci conoscere per quello che siamo sia a livello identitario che professionale. Possiamo considerare tale modus operandi come un accomodamento all’ambiente che si maschera da sistema di adattamento, il tutto per una illusoria sensazione di avere il potere sulla situazione a scapito di un bisogno reale di cambiamento e di ritrovamento di sé. Nietzsche parla di eterno ritorno dell’uguale per cui l’universo rinasce e rimuore secondo una schema fissa e cicli regolari, ripetendo costantemente un certo corso e rimanendo uguale a se stesso, sempre.

“L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere.”

(F. Nietzsche)

Soren Kierkegaard parla di ripetizione, concetto il quale rappresenta l’atto di replicare dunque di optare per una possibilità di esistenza che c’è già stata. Lo stesso filosofofo teorizza di contro il concetto di ripresa ovvero la presa decisionale in quell’attimo in cui avviene la trasformazione tra la libertà della decisione e ciò che si è già verificato ed è già stato. Secondo tale concezione siamo in grado di decidere in maniera libera perché collochiamo le nostre decisioni nel mondo ineludibile delle possibilità.

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I nuovi “falsi” maestri. Tra amartofobia ed apparenza

“Non c’è più spazio per il maestro. Non parlo solo dei grandi maestri, ma persino dei piccoli maestri, quello di scuola ad esempio.

Quando io andavo a scuola, quello che mi insegnava a leggere e a scrivere era un maestro, un personaggio che ha influenzato tutta la mia vita. Si è rotto il meccanismo che creava dei modelli. Oggi ognuno è il medico di se stesso, tutti hanno visto alla televisione qualcosa, o hanno sentito dire, tutti sono cuochi, sono architetti, tutti sono tutto e nessuno rispetta più niente.”

(Tiziano Terzani)

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L’alopecia psicosomatica. La devastazione nella perdita del Sè

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Può capitare, appena svegli, di ritrovare sul proprio cuscino un capello perso, oppure sognare di perdere tutti i capelli e peli dal viso, accompagnati a forti stati d’angoscia e terrore. Talvolta, invece, la perdita di peli e capelli può divenire realtà, a causa di una alopecia temporanea o definitiva, provocando forti disagi nel contatto con l’altro e con il mondo.

Per Alopecia intendiamo la caduta di peli e/o capelli che può colpire qualsiasi parte del corpo, ma più frequentemente sul capo. Esistono vari tipi di alopecia, tra qui quella totale, che implica la perdita totale di capelli e peli, o quella localizzata, con chiazze irregolari. Tra le cause dell’alopecia possiamo individuare quelle genetiche, ormonali, alimentari, chimico-farmacologiche, psicosomatica. Se dopo tutti gli esami medici, sono escluse le precedenti cause organiche allora ci si direziona verso la causa psicosomatica.

Non possiamo parlare di alopecia se non comprendiamo il simbolismo centrale che ruota intorno ai peli, e nel particolare, ai capelli, ossia il concetto di legame affettivo, connesso all’aspetto filiforme del capello, e all’energia che fluisce dal dentro al fuori (dal mondo interno al mondo esterno e viceversa). Generalmente, a prescindere dalla gravita della patologia, l’alopecia spesso insorge dopo un’esperienza affettiva traumatica per la persona.

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Psycho e altri film. Riflessioni sul tema dell’identità

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Uno dei momenti migliori di questa quarantena è stato immergersi nella filmografia hitchcokiana (ai lettori più attenti non sfuggirà che questo è stato anche un suggerimento proposto dal Sigaro nel periodo di lockdown). Lo ammetto, ho passato gran parte delle mie serate guardando i suoi film e commentandoli in un cineforum più o meno interiore prima di andare a dormire. La consistenza, la forza viva dei suoi personaggi lasciano un segno; nonostante la loro potenza, la loro vitalità sono tuttavia immersi in uno spazio di dormiveglia, un onirico che però è lucido e trasporta dentro lo spettatore.

C’è un tema ricorrente tra questa vitalità dei personaggi, che da addetta ai lavori, non potevo non considerare; è il tema dell’identità. Qualcuno potrebbe dire “sai che novità”, pensando alla salienza che ha assunto la tematica nel 900; tuttavia il grande registro lo svuota di qualunquismi e di boriose banalità e lo porta sulla scena nutrito di originalità e si significati sempre nuovi.

Facciamo un piccolo passo indietro. Cosa significa identità? Il termine deriva dal latino identitas-atis, “medesimo”; riferito a persona significa l’essere quello e non un altro. Se si parla di identità psicologica ci riferiamo al senso e alla consapevolezza di sé come entità distinta dalle altre e continua nel tempo (per ulteriori approfondimenti si rimanda all’ articolo IDENTITA’: COME SI RISPONDE ALLA DOMANDA CHI SEI). L’identità è una conquista, a mio avviso è un tema centrale e imprescindibile per il trattamento di qualsiasi tipo di disturbo psicopatologico e percorso psicoterapico; è il centro del senso di sé, del proprio corpo e se vogliamo delle relazione con gli altri e con il mondo. E se questo senso si dovesse alterare? Che effetto potrebbe avere su di noi la perdita dei tasselli della nostra struttura identitaria? Possiamo sostituirci ad altre persone o essere sostituiti?

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La Misofonia
I rumori che non sopporto di te!

“Preferisco cenare da sola. Sto bene con la mia famiglia, ma quando mangiamo no, non riesco. Non riesco a guardarli mentre muovono la bocca e emettono quei rumori così fastidiosi. Ogni volta che sono a tavola con loro devo sbrigarmi a finire e cercare una scusa per alzarmi prima che tutti abbiano finito, altrimenti non smetto mai di mangiare, tutto il tempo, per attutire i loro rumori con i miei… Perché lo fanno? Perché non capiscono e non si impegnano a mangiare meglio? Mi innervosiscono così tanto, vorrei sgridarli e a volte menarli.



Da qualche anno vado al cinema solo se prenoto i biglietti online. Posso guardare un film serenamente solo in ultima fila, non posso avere persone dietro di me. Odio chi mangia i pop-corn e se sento quel rumore provenire dai posti dietro, impazzisco. La gente è menefreghista, non pensa di poter disturbare, se ne frega e a me questo proprio non va giù!”

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