Lockdown nelle Istituzioni Totali. Effetti del Covid nelle Carceri

Sono molti e diversi gli effetti che il Covid-19 ha prodotto sul sistema carcerario.

Sin dall’inizio dell’anno, quando ancora il virus sembrava una realtà lontana da noi, il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria ha sentito la necessità di adottare un provvedimento mirato a sensibilizzare le Direzioni Penitenziarie e il personale in servizio presso gli Istituti Carcerari riguardante le Eraevidente che la situazione stava diventando seria.

Secondo la relazione annuale al Parlamento da parte del Garante delle persone private della libertà presentata a giugno 2020,

Infatti, le misure adottate miravano principalmente a bloccare il virus all’ingresso, tanto chei nuovi giunti sintomatici sono stati messi in isolamento.

Risultava difficile però rispettare le misure del distanziamento sociale e anzi il sovraffollamento risultava essere una minaccia per la diffusione del virus, come ad esempio è successo nelle RSA.

Come ben sappiamo il carcere italiano è tra i più affollati d’Europa tanto che l’Associazione Antigone nel suo ultimo rapporto sulla condizione di detenzione in Italia ha rilevato che a fine febbraio i detenuti erano 61.230 a fronte di una capienza regolamentare di 50.931 posti.

Dunque, il tasso di affollamento ufficiale era del 120,2%, anche se i posti effettivamente disponibili erano circa 4.000 in meno, e quindi il tasso di affollamento effettivo era intorno al 130%.

Inoltre, l’età dei detenuti in Italia è molto più alta rispetto agli altri paesi europei.

Ci troviamo, perciò, di fronte ad una popolazione aumentata ed invecchiata.

Di conseguenza in un carcere sovraffollato le condizioni di vita sono difficili dal punto di vista igienico e questo è un importante fattore di rischio per la diffusione di malattie infettive.

Pertanto, leggendo il fenomeno alla luce dell’emergenza sanitaria determinata dal Covid-19, risulta pressoché impossibile rispettare le norme del distanziamento sociale e adottare le normali misure di prevenzione. Andrebbe pertanto ripensato lo spazio carcerario.

Tra fine febbraio ed inizio marzo vengono sospesi i colloqui e i permessi premio; le chiamate vengono limitate; volontari ed insegnanti restano fuori dal carcere e questo ha determinato un vuoto nelle persone che ogni giorno erano lì ad aspettarli; i detenuti non sapevano se l’amministrazione penitenziaria stava adottando una strategia per contenere il virus e ancora in carcere mancavano tutti quei dispositivi di sicurezza che anche fuori si faceva fatica a trovare.

Tutto questo ha generato paura trai detenuti, una paura che tra l’8 e il 9 marzo 2020 ha provocato proteste e rivolte con gravi conseguenze: evasioni da parte di detenuti poi rientrati; 69 feriti, ma anche 13 morti probabilmente per overdose da metadone poiché sono state prese d’assalto le infermerie.

Inoltre in quel periodo assistiamo anche alla sospensione delle udienze, sia per quanto riguarda i procedimenti civili che quelli penali.

Un altro effetto del coronavirus sul sistema penitenziario riguarda le scarcerazioni.

Con il Decreto Cura Italia 17 marzo 2020, n. 18, viene stabilito che chi deve scontare una pena o un residuo pena fino a 18 mesi può ottenere la detenzione domiciliare.

Tale misura non poteva essere concessa ai detenuti condannati per alcune categorie di reato o che avevano promosso o partecipato a disordini e sommosse.

Quindi, molti detenuti sono stati scarcerati, inoltre secondo i dati del Viminale durante il lockdown si è registrato il 61% di reati in meno.

Queste concessioni hanno contribuito a snellire l’affollamento, almeno in parte.

Tutti noi nei mesi del lockdown abbiamo affrontato un periodo di solitudine, siamo stati lontani dai nostri cari, dai nostri affetti e abbiamo sperimentato vissuti di sconforto e tristezza.

In un certo senso ci siamo sentiti tutti prigionieri, tutti in detenzione domiciliare e, anche se lontanamente, abbiamo provato il sentimento di chi nelle “ci vive, quelle persone che come diceva il sociologo Ervin Goffman sono “

Molti di noi si sono chiesti che cosa avremmo provato in quella situazione se non avessimo avuto modo di sentire telefonicamente o videochiamare i nostri genitori, mariti, mogli, nonni, compagni, amici.

Fortunatamente anche da questo punto di vista sono stati fatti dei passi avanti , infatti nel Rapporto di Antigone viene dedicata attenzione anche alla didattica a distanza e all’ingresso della tecnologia nel carcere:

ai detenuti viene finalmente consentito l’uso di telefoni smartphone, della piattaforma Skype, per sentire e vedere a distanza i propri cari.

Una circolare dell’amministrazione penitenziaria ha autorizzato l’utilizzo di smartphone di Stato, non personali, per video-telefonare ai propri parenti. Questa misura è stata adottata da poco tempo in molte carceri italiane.

Porre l’attenzione alla solitudine e alla disperazione di chi sta dentro, ma a questo punto anche a chi sta fuori.

Si auspica che tale conquista possa trasformarsi in un diritto.

“… e quando ti mettono nella tua cella e senti sbattere il cancello, allora capisci che è tutto vero. L’intera vita spazzata via in quel preciso istante. Non ti resta più niente. Solo una serie interminabile di giorni per pensare […]”

Le Ali della Libertà

[1] Nota DAP 22 febbraio 2020, n. 00611554

Dott.ssa Lucia Sarandrea

Assistente Sociale Roma

lucia.sarandrea@hotmail.it

Per Approfondire:

  • Il carcere al tempo del coronavirus – XVI Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione;
  • Erving Goffman. ASYLUMS. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza. Edizioni di Comunità, Torino 2001
  • Relazione al Parlamento, Garante Nazionale dei Diritti delle persone detenute o provate della libertà personale
  • Film, Le Ali della Libertà.

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