L’intelligenza artificiale

Lo spazio delle menti possibili

 ‹‹Il progresso appare sempre più grande di quanto realmente sia››

Johann Nepomuk Nestroy

“I.A.” Da tempo ormai ci confrontiamo con questa abbreviazione e, anche attraverso la cinematografia, abbiamo imparato a capirne il significato. Intelligenza Artificiale. Ma di cosa si tratta? Il “pensiero” – non a caso l’uso di questo termine come vedremo tra poco – corre immediatamente alle macchine, ai computer, ai telefoni cellulari, alle “APP” e a quant’altro collegato con la tecnologia. Ma non è così. L’intelligenza artificiale suscita un grande interesse poiché tenta di fornire una critica riguardo alcuni concetti dell’essere umano. Gran parte di studi filosofici ci hanno tramandato che l’unica mente interessante era quella dell’uomo ma, oggi, lo studio ad esempio delle menti animali l’enorme ricerca sugli studi post-umani¸ le scienze cognitive animali, ci dicono che non è così. Allora la domanda è: la mente umana è l’unica esistente?  Oppure: le menti umane e animali, sono le uniche esistenti o esistite? A quanto pare no. Pensiamo a menti che potrebbero essersi formate in angoli lontani della biologia terrestre. Lo spazio delle possibilità includerebbe anche tutte quelle forme di vita terrestri che sarebbero potute esistere e che non sono esistite. In particolare, include le menti di quegli esseri sintetici, il cui cervello è a base di silicio: le intelligenze artificiali appunto.  

E allora, dobbiamo pensare a scoprire cosa possiamo trarre dal rapporto con l’intelligenza artificiale. Per guardare dentro di noi, dobbiamo volgere lo sguardo all’esterno. D’altronde, è solo tramite l’incontro con l’Altro che comprendiamo davvero noi stessi e non a caso quel tipo di specchio che restituisce allo sguardo la figura intera è chiamato psiche. 

Quindi, immergendoci nel mare magnum dell’universo dell’I.A., dobbiamo pensare che questa non sia solo tecnologia. È molto di più. È il frutto delle possibilità cognitive dell’uomo. Facilitano la vita. No, non si tratta di qualcosa di sovrannaturale. È l’interazione tra l’uomo e la macchina per rispondere alle esigenze dell’uomo. Le nuove tecnologie interagiscono con l’ambiente circostante. Va detto che le discussioni sull’intelligenza artificiale sono spesso accompagnate da un equivoco di fondo: una sorta di uso talvolta improprio dei termini “coscienza”, “pensiero”, “intelligenza”, “cognizione” e così via. In filosofia, questi termini indicano fenomeni ben diversi e chiedersi se l’IA sia cosciente è tutta un’altra cosa rispetto a chiedersi se sia in grado di pensare o di comprendere. Ma cosa significa dunque essere coscienti? Descrivere la coscienza è un compito arduo e per me impossibile. Possiamo dire che per gli esseri viventi esistere significa essere immersi in questo immenso flusso di infinite e meravigliose forme. Sembrerebbe che la coscienza sia un fenomeno che non possiamo sperare di spiegare intuitivamente e che nemmeno comprendiamo appieno. Eppure la coscienza è qualcosa di profondamente intimo e individuale. La mente cartesiana, ad esempio, è notoriamente individuale: io penso, dunque, sono. Tutto può essere dubitato, ma non questo: la mia mente privata, non la tua: qualsiasi elemento esterno potrebbe benissimo essere un inganno. Detto più semplicemente: siamo soli. 

O meglio, non sappiamo di non esserlo.

Per stabilire se una mente è cosciente non esiste nessun metodo decisivo, bisogna basarsi su quello che riusciamo a percepire dall’esterno: comportamento, apparenza, e poi prendere una decisione sostanzialmente con un balzo di fede. 

Discorso diverso va fatto per l’intelligenza. Alla domanda “che cos’è l’intelligenza?” non c’è una risposta univoca poiché essa è un costrutto sociale e poi perché, sotto l’etichetta di “intelligente”, vengono ricondotti svariati fenomeni come ad esempio la capacità di adattarsi intenzionalmente ad ambienti non familiari, la capacità di pianificare, di porsi degli scopi e di agire di conseguenza, di ragionare, di comprendere, la capacità di mettersi nei “panni dell’altro”, la comunicazione, la conoscenza di sé, la tendenza ad apprendere con l’esperienza, l’astuzia, e tanto altro ancora. Molti dei comportamenti definiti come intelligenti, però, non hanno bisogno di essere coscienti. Anche molti comportamenti umani che richiedono un’altissima intelligenza possono essere portati a termine senza che la persona ne sia cosciente: vi è mai capitato di guidare sovrappensiero e di accorgervi solo alla fine di essere arrivati a destinazione senza ricordare nulla del percorso? I comportamenti intelligenti si possono trovare ovunque, non soltanto negli esseri viventi. È un risultato forse inquietante, ma da questo punto di vista non c’è una grande differenza tra menti e macchine. 

Il punto è che svolgere uno qualsiasi dei compiti sopra descritti non è molto difficile, non serve nemmeno un numero particolarmente grande di risorse. Si tratta di quella che i ricercatori hanno chiamato intelligenza artificiale debole una macchina possa essere programmata con delle regole ben definite, in modo da comportarsi in modo intelligente e che abbia un confronto con i processi neuro socio cognitivi dei sistemi naturali, o intelligenza forte, una macchina che agisca in modo intelligente implica che essa sia anche cosciente di come realmente si comporta, ovvero entità artificiali dotate della medesima se non superiore complessità comportamentale e psicologica degli esseri umani. E per quest’ultima che si muove la ricerca nel campo psicologico..

Allora, l’intelligenza debole è indubbiamente “creata” ma quella forte? Ha una Coscienza l’I.A.? Se non volgiamo lo sguardo alla filmografia fantastica, forse gli autori si sono più preoccupati  che le “macchine” avessero una coscienza, potessero pensare (Frankestein per esempio…) e non che fossero intelligenti.

Ma nel discorso subentra anche l’aspetto etico e credo anche religioso. Una macchina può essere programmata per essere intelligente in modo disetico o addirittura ateo se non una sorta di “instrumentum regni”.  

E quindi la domanda che sorge spontanea è: se la cognizione, nell’uomo e negli animali, è implementata dal cervello e dal sistema nervoso, perché nelle macchine dovrebbe essere diversamente? Nascono così le prime reti neurali: delle architetture che imitano il funzionamento dei neuroni e che si sono dimostrate molto più efficaci ai fini dell’intelligenza artificiale. Il modello delle reti neurali è teso a catturare il fatto che il cervello funziona davvero; ossia a catturare la realizzazione psicologica dei processi mentali.

Inoltre, mi sembra doveroso ricordare che non bisogna fare l’errore di pensare che la tecnologia sia slegata, immune dai bias dell’uomo. Persone inconsapevolmente razziste programmeranno reti neurali inconsapevolmente razziste.

Il problema ontologico sollevato dall’incontro con l’IA è notato anche dalla “psichedelia nera”: Non ci troviamo più di fronte a macchine che credono di essere vive, ma a esseri umani che credono di essere vivi.

Alla fine di tutto questo percorso mi torna alla mente la “disgiunzione di Gödel” ovvero la tesi filosofica secondo cui o l’intelligenza artificiale è un progetto vano o la stessa mente umana non è nient’altro che un programma complesso che non riuscirà mai nemmeno a comprendere sé stessa. Lo stesso Gödel afferma esplicitamente la possibilità ‹‹che la mente umana sia equivalente a una macchina finita che è incapace di comprendere interamente il proprio funzionamento››. 

Se è vero tutto ciò allora la nostra natura ci impedisce di obbedire all’ingiunzione socratica: conosci te stesso… non credete?

Per approfondimenti:

  • “Il cervello sociale. Neuroscienze delle relazioni umane”. Louis Cozolino, Raffaello Cortina Editore.
  • “The Weird and the eerie. Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo”. Mark Fisher, Minimum Fax.

Dott.ssa Giulia Ingrosso

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