“Ridere è una cosa seria” sostiene Gregory Bateson nel suo libro “l’umorismo nella comunicazione umana”. Questa frase, che apparentemente può essere vista e interpretata come un riduzionismo o una frase fatta trova un fondamento di verità. Infatti, ritroviamo l’umorismo tra i meccanismi di difesa più evoluti, propri di un sistema psichico maturo e di un certo livello.
Secondo Siegel e Payne Bryson, (vedi articolo Tra il sopravvivere ed il fiorire) i bambini con attaccamento sicuro sembrano avere maggiori risultati durante il loro sviluppo, come: sintonizzazione, flessibilità emotiva, funzionamento sociale e abilità cognitive.
io so’ n’guerriero che sta riposanno
dopo che ha rivortato mezzo monno
ma ormai c'ho er doppio petto e la cravatta
n'do voi che vada viè, nun fa la matta
tu ormai pe'me sei l'ultima occasione
sei giovane, sei bella e me stai bene, te pare poco dì
te pare poco, nun devi avè paura io nun gioco
io qui sto rilassato e chi se move
fuori fa pure freddo e come piove
Sarà possibile rivelare lo stato psicofisico attraverso l’utilizzo di sensori?
La convergenza di vari avanzamenti tecnologici nella miniaturizzazione dei microprocessori, nella diffusione capillare della connessione internet e nella scienza dei materiali ha reso possibile e di grande interesse lo sviluppo di sensori indossabili. Un sensore è un dispositivo in grado di misurare un parametro fisico o chimico e convertirlo in tempo reale in un segnale elettrico che viene acquisito da un’opportuna elettronica di lettura.
Lo stealthing, dall’inglese traducibile in “farlo di nascosto”, è una pratica in cui l’uomo, durante il rapporto sessuale, sfila il preservativo di nascosto alla propria partner.
Chi vede tutti i giorni il sole dice con sufficienza: “Cosa saranno mai quei quattro raggi”! Ma io per un giallo illuminello sopra un muro avrei dato allora qualunque cosa al mondo (Vladimir Majakovskij)
“E come se stessi leggendo un libro… è un libro che amo con tutta me stessa, ma lo leggo lentamente ora, le parole sono distanti tra loro gli spazi tra le parole sono quasi infiniti. Riesco ancora a sentire te e le parole della nostra storia, ma è in questo spazio infinito tra le parole che sto trovando me stessa ora. È un posto che non appartiene al mondo fisico, dove ci sono cose che neanche sapevo esistessero. Ti amo tantissimo. Ma ora sono qui, e ora sono questa, e devi lasciarmi andare, per quanto io lo voglia, non posso più vivere nel tuo libro.”
Questo discorso è tratto dal film Her di Spike Jonze del 2013. A parlare è Samantha, intelligenza artificiale, di cui si innamora il protagonista Theodore. Nel film queste parole coincidono con un addio, ma non è questo l’aspetto, in fin dei conti non determinante, sul quale vorrei soffermarmi. La vera forza di queste parole sta nella consapevolezza che Samantha acquisisce di se stessa, lo scoprire un proprio nuovo modo di essere, di desiderare. Si riconosce come una “persona” nuova, con caratteristiche diverse emerse durante e grazie la relazione, non conosciute fin dall’inizio. Questo, inequivocabilmente, genera una crisi, una frattura, un’inevitabile frustrazione che per essere accolta, generando un cambiamento, ha bisogno di essere lasciata andare. Questo è il punto che più mi piace del discorso: lasciare andare la frustrazione.
Sono cattivo perchè sono disperato. Non sono forse schivato e odiato da tutti gli uomini? Tu, il mio creatore, mi faresti a pezzi e ne esulteresti; pensa a questo e dimmi: perchè dovrei mostrare pietà per l’uomo più di quanta lui non ne mostri per me? (…)
Un giorno che ero oppresso dal freddo, trovai un fuoco lasciato acceso da alcuni vagabondi, e mi sentii invadere di gioia al calore che da esso proveniva. Nel mio giubilo, infilai la mano fra le ceneri ardenti, ma subito la ritrassi con un grido di dolore. Strano, pensai, che la stessa causa potesse provocare effetti così opposti (…)
Ah, fossi rimasto per sempre nel mio bosco, ignorante e senza altre sensazioni che non fossero fame, sete e caldo! La conoscenza ha una ben strana natura! Aderisce alla mente, dopo averla conquistata, come un lichene sulla roccia. Qualche volta provavo il desiderio di scrollarmi di dosso ogni pensiero e sentimento; ma imparai che c’è solo un modo per superare la sensazione di dolore, ed è la morte, uno stato che temevo senza comprenderlo (…)
“Io sono di nuovo me stesso. Questo mio Io che nessuno avrebbe voluto accogliere dalla polvere della strada, è di nuovo in mio possesso. La discordia che era in me è placata”.
(S. Kierkegaard)
Freud osservò nell’essere umano una tendenza ripetitiva e estenuante a rivivere le esperienze dolorose. Tale condizione comune di sofferenza a tutti gli individui prese il nome di coazione a ripetere: attitudine incoercibile, del tutto inconscia, a porsi in situazioni penose, senza rendersi conto di averle attivamente determinate. Tale tendenza si attiva, secondo Freud, perché ciò che non è stato compreso, digerito o capito male ritorna sempre quindi l’inconscio attiva comportamenti simili allo scopo di trovare soluzioni e giungere ad un senso di liberazione dai vissuti legati ad eventi traumatici. Sono comportamenti poco funzionali per l’esistenza dell’individuo che impediscono un reale cambiamento e intaccano la libertà decisionale. In questo modo ci muoviamo nel mondo ripetendo gli stessi schemi e rimettendoci nelle stesse situazioni in cui siamo abituati a vivere esperienze che già conosciamo come: instaurare relazioni d’amore con una determinata tipologia di partners o inserirsi in contesti lavorativi poco stimolanti e appaganti anzi a volte persino svalutanti in cui non possiamo far emergere le nostre capacità, arricchirci o farci conoscere per quello che siamo sia a livello identitario che professionale. Possiamo considerare tale modus operandi come un accomodamento all’ambiente che si maschera da sistema di adattamento, il tutto per una illusoria sensazione di avere il potere sulla situazione a scapito di un bisogno reale di cambiamento e di ritrovamento di sé. Nietzsche parla di eterno ritorno dell’uguale per cui l’universo rinasce e rimuore secondo una schema fissa e cicli regolari, ripetendo costantemente un certo corso e rimanendo uguale a se stesso, sempre.
“L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere.”
(F. Nietzsche)
Soren Kierkegaard parla di ripetizione, concetto il quale rappresenta l’atto di replicare dunque di optare per una possibilità di esistenza che c’è già stata. Lo stesso filosofofo teorizza di contro il concetto di ripresa ovvero la presa decisionale in quell’attimo in cui avviene la trasformazione tra la libertà della decisione e ciò che si è già verificato ed è già stato. Secondo tale concezione siamo in grado di decidere in maniera libera perché collochiamo le nostre decisioni nel mondo ineludibile delle possibilità.
“La situazione è delicata, mi è tornato fuori il tumore, al fegato questa volta. Sono sotto terapia, ma vorrei far capire a chi mi ascolta che la vittoria non sta nello stare in vita o nel morire, nel non avere più il tumore o nell’averlo. Saremmo tutti dei perdenti, altrimenti, perché, presto o tardi, finiamo tutti per morire. La vittoria sta nel decidere di essere felici”.
Questo è un estratto dall’intervista fatta, per Vanity Fair, a Elisabetta Imelio, bassista, co-fondantrice dei Prozac+ e dei Sick Tamburo, venuta a mancare lo scorso 1 Marzo 2020 per un tumore.
In queste poche parole, Elisabetta trasmette con estrema forza e chiarezza un tipo di approccio alla vita che tutti dovremmo tenere in considerazione.
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