Il vissuto dell’anziano
Dimenticati nel tempo

Negli ultimi decenni si è assistito a numerose conquiste scientifiche e progressi della medicina che hanno contribuito ad allungare la durata media della vita umana. L’allungamento della durata media della vita, da un lato, e il calo a volte drammatico della natalità, dall’altro, hanno originato una transizione demografica senza precedenti, che vede letteralmente rovesciata la piramide dell’età quale essa si presentava non più di cinquant’anni fa: in crescita costante il numero degli anziani, in costante calo quello dei giovani. L’immagine che la società ha della terza età è caratterizzata da un progressivo declino in cui l’insufficienza umana e sociale è data per scontata. Tale stereotipo impedisce, però, di avere una visione diversificata dell’anziano, poiché gli anziani non sono un unico gruppo umano omogeneo, ma bensì persone con diversi modi e stili di vivere la propria vita (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “l’invecchiamento – il tempo che passa“).

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Dell’Arte e del Dolore
La questione umana

Vedere triste una persona che amiamo è un’esperienza dolorosa. Per via di quella storia dell’empatia e dei neuroni specchio, che ci fanno provare il dolore dell’altro come se fosse nostro, sulla nostra pelle.

Vorremmo poter coprire quel dolore, farlo scomparire.

Un celebre pezzo dei Coldplay diceva teneramente “I’ll fix you”, “Io ti aggiusterò”.

Ma purtroppo non possiamo togliere il dolore, non siamo in grado di “aggiustare” gli altri.

È a questo punto che i cinici desistono, sentendosi impotenti.

Un po’ come nel dilemma del porcospino di Schopenhauer, dove due porcospini si avvicinano, per scaldarsi l’un l’altro, ma avvicinandosi non possono che ferirsi, con i loro aculei. È qui che si può fuggire, per timore di ferire l’altro, o di ferirsi.

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La psicologia del ritratto. Il rapporto tra arte e identità

Autoritratto con orecchio bendato – Van Gogh 1889 Courtauld Gallery

“”Preferisco dipingere gli occhi degli uomini che le cattedrali, perché negli occhi degli uomini c’è qualcosa che non c’è nelle cattedrali, per quanto maestose e imponenti siano.” Van Gogh scriveva queste parole in una lettera al fratello Theo. Volendo esplorare il rapporto tra psicologia e arte del ritratto, Van Gogh è uno degli autori più interessanti da prendere in considerazione. Nel corso della sua breve vita dipinse quarantatré autoritratti, tra i quali alcuni dei più celebri sono l’autoritratto del 1889 su sfondo blu, e l’autoritratto con orecchio bendato del 1889.

Secondo Stefano Ferrari, professore di psicologia dell’arte presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, il ritratto e l’autoritratto in particolare, hanno a che fare con la rappresentazione che diamo di noi stessi al mondo, il processo attraverso il quale diamo un volto alla nostra identità.

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La personalità isterica
Ossessionati dall’apparire

Almeno una volta nella vita avremo sentito darci degli isterici da qualcuno, alludendo ad una situazione di forte nervosismo e stress. (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo L’isteria – Psicopatologia dei sessi ). Nel contesto clinico, però, la personalità isterica si discosta molto dalla visione comune di “persona fuori dalle righe”, in quanto la sua “patologia” nasce dalla sua urgente esigenza di adeguarsi al contesto sociale, per apparire accettabile e ligia al bon ton: per capirci, un classico esempio di personalità isterica è Bree Van De Kamp, della nota serie televisiva “Desperate Housewives”. I sintomi che possiamo ritrovare nelle personalità isteriche sono prettamente di natura psicosomatica e si caratterizzano con manifestazioni psicomotorie, sensoriali o vegetative, senza una causa organica, mediante una conversione dallo psichico al soma. Il contenuto manifesto dell’isteria è una esagerazione patologica di certi modi normali d’espressione e tutti i sintomi e i disturbi sono manifestazioni non verbali dell’emozione non espressa. La personalità isterica  parla il linguaggio del corpo e vive le metafore, concretizzandole, piuttosto che usarle nel linguaggio (Es. Non voler vedere aspetti traumatici della propria vita che si ripresentano nella quotidianità viene convertito in una cecità isterica).

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Forme alternative di genitorialità
Una mamma per amica: Mai, forse, dipende…

La caratteristica più importante dell’essere genitori è fornire una base sicura da cui un bambino o un adolescente possa partire per affacciarsi al mondo esterno e a cui possa ritornare sapendo per certo che se sarà il benvenuto, nutrito sul piano fisico ed emotivo, confortato se triste,rassicurato o spaventato

(Bowlby, 1988)

“Mia mamma non è una mamma come tutte le altre, lei è la mia migliore amica!”. Un’affermazione del genere non può che suscitare interesse, dà subito l’idea di una rapporto profondamente intimo e felice tra genitore e figlio, se poi a dirlo è un adulto, beh che dire … Ci sarebbe proprio da andarne fieri. Vorrebbe dire che la diade madre-bambino è rimasta profondamente radicata all’interno di dinamiche intime, funzionali al mantenimento del legame di attaccamento: “Tu sei qui per me, io sono qui per te, ancora”.  

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Pensare i suoi pensieri. Funzione alfa: la mente prestata al paziente

Trovai Paolo già lì davanti ad aspettarmi. Le cuffie nelle orecchie, ad isolarsi dal resto del mondo e lo sguardo un po’ perso e sognante rivolto all’esterno. Ricordo che quel giorno, durante l’ascolto del paziente, non riuscii a star ferma coi pensieri neppure per un attimo. Ebbi l’impressione che lui dovesse a tutti i costi riempire quello spazio col maggior numero possibile di sensazioni, fatti e parole lanciati a rotazione, senza sosta. Tutto sembrava avere un ritmo estremamente veloce e Paolo parlava in modo alquanto concitato; in mezzo a tutti quei suoi discorsi, il silenzio non era contemplato ed io senza “capirci” più niente avevo fatto un’indigestione di tutta quella roba. Ero piena. Una volta da sola, mi riservai un secondo momento per tornare indietro alla seduta e pensare nuova-mente, a tutti quei movimenti. 

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Il tempo dell’analisi. Gli innumerevoli pregiudizi su di esso

L’analisi, anziché inseguire le terapie brevi o specialistiche nel loro sforzo di imitare le macchine – comprimendo il tempo – dovrebbe casomai affermare con fierezza una delle sue specificità. L’analisi rispetta il tempo per quello che è. L’analisi è lo slow food delle psicoterapie: non può – non vuole – accelerare i tempi per la preparazione del piatto finito. (…) Quello che voglio dire è che la preservazione di un tempo non ancora compresso (che sopravvive nell’analisi, nella meditazione, nella preghiera e in poco altro: perché persino la creazione artistica o l’esperienza erotica cedono spesso al comando di comprimerlo) ha, come l’acqua pulita o un’opera di Michelangelo, un valore infinitamente superiore a quello che percepisce il singolo, immediato fruitore. E’ un valore inestimabile per la collettività, per la cultura, per i tempi futuri.

Luigi Zoja

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Disfunzione erettile. Vademecum d’azione

Per poter affrontare un problema estremamente diversificato come la disfunzione erettile, è importante comprendere quali ne siano i meccanismi psicologici sottostanti per ogni uomo.

In questo articolo non prenderemo in considerazione le disfunzioni erettili causate da problemi organici (malattie, assunzione di farmaci o sostanze); se siete interessati all’argomento, rivolgetevi ad un professionista di riferimento.

Le cause psicologiche della disfunzione erettile

La disfunzione erettile sostenuta da una causa psicogena si manifesta generalmente in pazienti giovani, ha un inizio brusco e non graduale, si presenta in forma circostanziata (cioè in alcune situazioni ma non in altre) ed è spesso associata ad altre forme di disagio psicologico.

Il problema di fondo più comune riscontrato è l’ansia da prestazione, un timore del fallimento e di non deludere associato ad una sensazione di inadeguatezza. L’ansia da prestazione tende a contrastare la partecipazione erotica all’azione sessuale e il potersi lasciare andare alle sensazioni eccitatorie. Questi uomini sono spesso eccessivamente preoccupati dal risultato dell’atto sessuale, finendo per sottovalutare l’importanza della partecipazione emozionale.

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Il lutto. Perdere se stessi con l’altro

Benché sappiamo che dopo una […] perdita cesserà lo stato acuto del lutto, sappiamo anche che resteremo inconsolabili e che non potremo trovare un sostituto. Qualsiasi cosa possa colmare il vuoto, ammesso che possa essere del tutto colmato, resterà comunque qualcosa di diverso. Ed è ciò che deve effettivamente accadere. È il solo modo per perpetuare quell’amore a cui non vogliamo rinunziare”.

Sigmund Freud, Lettera di condoglianze a Binswanger, 1929

“… sai la vita continua…”  Questo è il messaggio di una madre a sua figlia inciso, qualche anno dopo la sua morte, su quella chiara lastra di marmo…Quando la morte ci porta via una persona che amiamo, questo provoca in noi uno stato di inesorabile sofferenza che ci confina in uno stato depressivo e che ci mette a contatto con quell’incolmabile dolore determinato dal grande vuoto che tale perdita ha lasciato.
Durante il lutto noi tutti siamo in un qualche modo impegnati a proteggere la memoria del defunto e a congelare quel momento precedente la morte come per confermare dentro di noi che ciò non sia mai accaduto. Si vive così una sorta di dedizione al lutto che difficilmente lascia spazio ad altri interessi ed attività. La persona che non c’è più lascia inevitabilmente un vuoto, che difficilmente potremo colmare e che se anche dovessimo riuscirvi, come diceva Freud “resterà comunque qualcosa di diverso”.

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