Frida Kahlo. Riflessioni sulla resilienza

Pomeriggio assolato a Milano, i raggi filtrano e, seppur flebili, si affacciano timidi e tentano di riscaldare l’enorme fila di persone che aspettano fuori. Siamo al Mudec; in una fila rumorosamente allegra di almeno 90 minuti per vedere la tanto celebrata mostra di Frida Kahlo.

Si lei, sta tenendo in fila centinaia di persone tutti i fine settimana; richiamate da quel fascino intrigante e enigmatico che avvolge la figura dell’artista e delle sue opere (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “Arte al femminile e trauma – Frida, Camille e Artemisia”)..

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@amore 2.0. Il purgatorio dei single

E se potessimo conoscere fin dall’inizio l’esatta durata di ogni relazione intima che intraprendiamo? Se potessimo davvero sapere quanto tempo abbiamo a disposizione prima che pensieri aspettative e stili di vita risultino incompatibili e ci allontanino dal partner? Se potessimo evitare il momento del conflitto, che nella maggior parte dei casi ci porta a dover sfoderare le armi per ferire o a leccarci le ferite subite?

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Dipendenza da Phon
Ritornare nella pancia della mamma

Le testimonianze sottolineano l’effetto benefico di questa pratica, indicando la diminuzione dello stress e l’ aumento della capacità di concentrazione e di sonno

Di corsa. Siamo sempre di corsa.

Nella quotidianità sentiamo la pressione di incastrare alla perfezione i nostri impegni  lavorativi, familiari, il tempo per lo sport, lo svago… come fossimo in una delle nostre migliori partite di Tetris. Viviamo in un mondo che ci richiede di essere multitasking, un mondo in cui l’unica parola d’ordine è “correre”.

Mangiamo di fretta, dormiamo poco, ci spostiamo frequentemente da un posto a un altro della città litigando con il traffico.. e tutto il giorno sentiamo il telefono che squilla.. chiamate, messaggi…Corriamo, corriamo per poi affannarci.

Spesso riusciamo a fermarci solo con un’influenza, un mal di testa, un dolore muscolare o alle ossa, un bruciore di stomaco…. Il nostro corpo ci parla e sa cosa dirci: reagisce allo stress e alle emozioni non pensate attraverso quei dolori fisici, quei segnali che ci permettono di fermarci. Certamente è fondamentale imparare a decodificare le emozioni alla base dei nostri dolori per ridurre il livello di stress correlato alle malsane abitudini giornaliere e ritagliarsi del tempo per la cura di se stessi, concedendosi di seguire una nuova parola d’ordine: “relax”. Rilassarsi è diventato un bisogno condiviso, che dobbiamo imparare ad assecondare, accantonando il senso di colpa culturale legato al “dover fare”.

Consapevolmente o meno, a livello difensivo elaboriamo delle personali strategie per abbassare il livello di stress e diminuire il nostro rumore della vita quotidiana.

Un fenomeno che si muove in questa direzione, inserendosi in un quadro di frenesia sociale, è l’aumento dell’utilizzo del phon allo scopo alternativo di rilassarsi. Non è raro sentir parlare di questa specifica pratica diffusa soprattutto fra i giovani. Il piccolo elettrodomestico non viene più impiegato esclusivamente per asciugare, ma anche per godere dell’effetto benefico della congiunzione fra rumore e calore.

Si sente l’impulso di accedere il phon mossi, in primis, proprio dal bisogno di rinchiudersi in un mondo ovattato in cui potersi rilassare. Le testimonianze sottolineano l’effetto benefico di questa pratica, indicando la diminuzione dello stress e l’ aumento della capacità di concentrazione e di sonno.  Le proprietà soporifere e rigeneratrici vengono spesso scoperte dai genitori alle prese con piccole resistenze nel momento della nanna dei neonati.

Il phon rilassa, isola, protegge, coccola, aiuta a pensare, a studiare, a dormire..

La magia del phon è data dalla unione del suo rumore con il calore sulla pelle, due sensazioni che rievocano dei bisogni soddisfatti nella vita intrauterina.

Nella placenta, dove la nostra realtà sonora è ovattata e filtrata, percepiamo un rumore simile al rumore del phon. Si definisce rumore bianco (o white noise) essendo un suono composto dalla totalità delle frequenze udibili, per lo stesso principio in cui la luce bianca rappresenta  l’insieme di tutti i colori visibili. Oltre al phon e altri elettrodomestici come l’aspirapolvere e la cappa della cucina, la proprietà dei rumori bianchi appartiene anche elementi naturali come la pioggia, lo scorrere di un ruscello, l’infrangersi del mare sugli scogli… che contribuiscono a mascherare altri suoni fastidiosi dell’ambiente. La costante ripetizione delle frequenze, tipica dei rumori bianchi, facilita il raggiungimento di una sensazione simile ad un’estasi dove la psiche automaticamente allontana i pensieri complessi e si abbandona.

Anche la ricerca di calore ci parla di un bisogno soddisfatto nella vita prenatale. Il feto sperimenta sensazioni di calore nel prolungato ed ampio contatto con la madre, nell’esperienza di un corpo avvolto, contenuto, protetto e al tempo stesso fuso con il suo ed il mondo intorno. Le teorie dell’attaccamento sottolineano a riguardo l’importanza del calore materno.

In chiave psicodinamica, è plausibile rileggere l’utilizzo frequente della pratica alternativa del phon come un bisogno di regressione ad uno stadio di pre-nascita in cui l’uno è il tutto e la fusione la chiave di lettura del tutto. Regredendo ad uno stadio indifferenziato, l’individuo entra in contatto con un senso di protezione e sicurezza che permette di rilassarsi e parla anche di un bisogno di accudimento e di dipendenza dalla figura materna. Quei bisogni devono essere soddisfatti nel qui ed ora, laddove non lo sono stati a pieno nel lì e allora.

Con tali premesse, non è complesso immaginare come la pratica alternativa del phon possa evolversi nello strutturarsi di una dipendenza associabile al grande calderone delle new addiction, come il tempo in sua compagnia possa aumentare in maniera esponenziale e interferire in modo significativo con le normali abitudini della vita quotidiana. I bisogni di calore e di rumore diventano tanto forti da istaurare il classico meccanismo di coazione a ripetere per soddisfarli; spegnere il phon e privarsene diventa a mano a mano sempre più difficile perché si allontana la possibilità di soddisfare i propri bisogni senza la sostanza-elettrodomestico.

Non mancano i pericoli materiali legati ad un utilizzo spropositato del  phon: oltre all’aumento dei consumi elettrici che registra una ricaduta economica sul bilancio familiare, si rischia che un utilizzo eccessivo provochi ustioni o vescicole sulla pelle e che, qualora fosse anche incontrollato, generi la possibilità di incendi.

Questa nuova pratica può essere nata come un tentativo, collettivamente condiviso, di rilassarsi in un mondo ricco di frenesie. La tendenza alla cronicizzazione, all’instaurarsi di un meccanismo di dipendenza racconta, invece, la necessità del singolo di sopperire a delle mancanze, a dei bisogni non soddisfatti, la necessità di rifugiarsi in un mondo intrauterino dove le responsabilità non esistono e la realtà è ovattata. Dietro alla scelta di iniziare a praticare un comportamento così bizzarro come la pratica alternativa del phon,  può nascondersi un significato profondo che, laddove si volesse approfondire, aprirebbe ampi mondi di esplorazione sul sé e sulle proprie relazioni oggettuali.

Dott.ssa Emanuela Gamba

Psicologa, Psicoterapeuta ed esperta in Psico-oncologia

Riceve a Roma su appuntamento

mail. emanuela.gamba@emanuelagamba – tel. (+39) 340/0029520

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La Leggenda del Re Pescatore. Curiamo le nostre ferite

 “La Leggenda del Re Pescatore inizia col re da ragazzo, che doveva passare la notte nella foresta per dimostrare il suo coraggio e diventare re, e mentre passa la notte da solo è visitato da una visione sacra: nel fuoco del bivacco gli appare il Santo Graal, simbolo della grazia divina, e una voce dice al ragazzo: “Tu custodirai il Graal onde possa guarire il cuore degli uomini!”. Ma il ragazzo accecato dalla visione di una vita piena di potere, di gloria, di bellezza, in uno stato di completo stupore, si sentì per un attimo non un ragazzo, ma onnipotente come Dio, allungò la mano per prendere il Graal e il Graal svanì, lasciandogli la mano tremendamente ustionata dal fuoco. E mentre il ragazzo cresceva, la ferita si approfondiva, finché un giorno la vita per lui non ebbe più scopo, non aveva più fede in nessuno, neanche in sé stesso, non poteva amare ne sentirsi amato, era ammalato e cominciò a morire. Un giorno un giullare entrò al castello e trovò il re da solo, ed essendo un semplice di spirito egli non vide il re, vide soltanto un uomo solo e sofferente, e chiese al re: “Che ti addolora amico?” e il re gli rispose: “Ho sete e vorrei un po’ d’acqua per rinfrescarmi la gola”. Allora il giullare prese una tazza che era accanto al letto, la riempì d’acqua e la porse al re, ed il re cominciando a bere si rese conto che la piaga si era rimarginata. Si guardò le mani e vide che c’era il Santo Graal, quello che aveva cercato per tutta la vita. Si volse al giullare e chiese stupito: “Come hai potuto trovare tu quello che i miei valorosi cavalieri mai hanno trovato?” e il giullare rispose: “Io non lo so, sapevo solo che avevi sete”.”

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Sulla paura dell’attesa. Attivarsi in frenesia o contenere e comprendere?

La società di oggi soddisfa ogni nostro bisogno in tempi brevissimi e ciò fa sì che tutti noi siamo sempre più abituati ad avere tutto ciò che vogliamo a sbrigare molte commissioni subito, ma il risvolto di ciò si delinea nelle nuove generazioni che si mostrano sempre più incapaci di aspettare e di tollerare la frustrazione. In effetti sempre più di frequente si può riscontrare nella condotta dei bambini e degli adolescenti di oggi una bassa tolleranza alla frustrazione. Ciò li rende irrequieti e ansiosi rispetto alla soddisfazione dei propri bisogni. È un aspetto questo che caratterizza più generalmente una società che che si riferisce ad un modello estetico nel quale bisogna mostrare una buona immagine di sé. Un modello, questo, che si adegua alla velocità della stessa società, contraddistinta dal consumismo e dalla rapidità con la quale ogni desiderio può essere soddisfatto.

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La banalità del male
Chi sono i buoni?

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“Non è cambiato niente e niente cambierà. Se continuiamo a correre. La polvere  negli occhiFermiamoci a pensare” F. Motta

Karl Jaspers, psichiatra e filosofo tedesco del Novecento, nel suo ultimo libro “La bomba atomica e il destino dell’uomo” riflette sulle possibili conseguenze che le ultime elezioni possono avere sull’uomo e sul rischio nucleare che incombe su di lui a seguito della vittoria di Trump.

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Sul tatuarsi. Dei confini di un corpo

Facendo un rapido salto all’indietro, è possibile scorgere nelle prime pratiche d’incisione del derma, significati ben precisi, come quello di fornire preziose informazioni sullo status sociale e sul gruppo di appartenenza della persona che le portava su di sé; ancora, quelle stesse tecniche di alterazione corporea, venivano impiegate come vere e proprie pratiche curative per la psiche ed il soma, (per un approfondimento, si rimanda all’articolo “Il tatuaggio – Storie incise sulla pelle”) attribuendo così a quei segni complessi, funzioni al limite del magico. Certamente, ad oggi, la diffusa moda del momento – che incita sempre più tristemente all’omologazione ed alla sterile quanto esibizionistica mostra di sé, spesso “traducibile” nell’ostentazione di un involucro iper curato e opportunamente “segnato” – ha come spersonalizzato e svuotato di senso l’antica arte del tatuaggio. 

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PAS – Sindrome di Alienazione Parentale. Quando tra mamma e papà uno dei due è di troppo

Padre, occhi gialli e stanchi,
cerca ancora coi tuoi proverbi a illuminarmi…
Madre, butta i panni,
e prova ancora, se ne hai voglia a coccolarmi,
perché mi manchi,
e se son stato così lontano è stato solo per salvarmi!

(Padre Madre – C. Cremonini)

Le parole di questa canzone “Padre-Madre”, sono state scritte quando l’autore aveva poco più di vent’anni. Il messaggio che traspare è doppio, ambivalente: da un lato chiede di continuare a poter vivere la sua esperienza di figlio, guidato dai genitori, dal loro sentimento, dall’ idea amorevole che ha di loro; dall’altro quasi chiede perdono per aver voluto camminare accompagnato dalle sue esperienze, da un vivere più autonomo. Una certezza: entrambi i genitori sono presenti sullo sfondo si potrebbe pensare quindi, che il susseguirsi delle tappe evolutive di chi scrive sia stato accompagnato da entrambi a garanzia del triangolo edipico, la loro presenza è reale e sia lui che lei appaiono indispensabili, come se nominarne solo uno non avesse senso, perché è da entrambi che si impara a vivere.

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La quarta età. L’invecchiamento consapevole

Molte famiglie si ritrovano in situazioni di emergenza, o comunque di difficoltà nella gestione dei loro cari che stanno invecchiando. Ci si interroga su quale sia la situazione più opportuna per consentire ai “nostri nonni” di vivere la loro anzianità nel miglior modo possibile.

Spesso il dilemma maggiore riguarda il luogo dove gli anziani dovranno passare il loro tempo e chi se ne dovrà prendere cura; continueranno a vivere nella loro casa? Andranno nella casa dei figli? Oppure in una casa di riposo o di cura? Avranno bisogno di un/a badante?

Ovviamente ogni situazione è a sé stante ed incomparabile con un’altra, ma cercheremo, analizzando scenari generici, di dare qualche utile spunto di riflessione.

Prima considerazione, che per molti potrà sembrare scontata, ma purtroppo non sempre lo è, riguarda la volontà dell’anziano. Alcuni figli o parenti si sentono in diritto di sapere quale sia la cosa migliore per i propri cari, senza prendere in considerazione l’opinione degli stessi, senza comunicare con loro. A volte, gli anziani, per non creare problemi e per non sentirsi “un peso”, accettano malvolentieri situazioni che avrebbero rifiutato se fossero stati interpellati, se avessero avuto una possibilità di confronto.

Il dialogo in molte circostanze può essere la chiave per la giusta soluzione; capire cosa realmente un anziano si aspetta dal proprio futuro, analizzare congiuntamente le varie possibilità e non permettere che il carattere e le volontà dei nostri vecchi vadano spegnendosi.

“Lasciati guidare dal bambino che sei stato”

José Saramago

Josè Saramago ci lascia immaginare nonni che ritrovano la spensieratezza e l’ingenuità dei bambini, “qualità” che permettono loro di affrontare anni difficili con spirito e rinnovata curiosità; ma ci sono anche anziani che non accettano il passare dell’età e che vanno maggiormente supportati e coinvolti nelle decisioni che li riguardano, per far si che tramutino l’ansia e lo scontento in rilassatezza e godimento del tempo a disposizione.

La seconda considerazione vuole sottolineare che spesso le famiglie si comportano come se avessero davanti soltanto due alternative nette, come se esistessero soltanto il bianco o il nero.

Se un anziano si ritrova tutto il giorno in casa da solo, si pensa che l’unica alternativa sia uno spostamento in una casa di riposo, mentre invece, anche se poco pubblicizzati, da anni sono presenti in tutto il territorio nazionale centri diurni per anziani (centri con attività dal mattino al pomeriggio, con  organizzazione  funzionale al raggiungimento degli obiettivi di socializzazione e di aggregazione dell’anziano utente, che diventa egli stesso risorsa del territorio); che permettono all’anziano di trascorrere la giornata in compagnia dei coetanei, e alla famiglia di lavorare o comunque svolgere le proprie attività.

Qualora l’anziano in questione non volesse inserirsi in un centro diurno, un’ altra alternativa potrebbe essere quella dell’attivazione di un servizio di assistenza domiciliare, la quale fornirebbe all’anziano la presenza di un assistente nella propria casa per alcune ore della giornata e permetterebbe alla famiglia una migliore organizzazione.

Sia la partecipazione ad un centro diurno, sia l’attivazione dell’assistenza domiciliare possono, e a volte necessariamente devono, essere integrate con la presenza di un/a assistente o badante privato/a.

(Per l’attivazione dei servizi di cui si è parlato si può far riferimento al P.U.A, punto unico di accesso, del proprio territorio di residenza)

In questa terza ed ultima parte parleremo degli anziani affetti dal morbo di Alzheimer o da demenza senile.

Questo argomento mi ricorda un passo dell’”Elogio della follia” di Erasmo da Rotterdam, dove l’umanista olandese facendo parlare la follia, descrive la vecchiaia:

…finchè non sopraggiunge la gravosa vecchiaia, la molesta vecchiaia, odiosa non solo agli altri, ma anche a se stessa. Nessuno dei mortali riuscirebbe a sopportarla se, ancora una volta, impietosita da tanto soffrire non venissi in aiuto io…per quanto è possibile non riportassi all’infanzia quanti sono prossimi alla tomba, onde il volgo, non senza fondamento, usa chiamarli rimbambiti.

Ma delirano ormai, non ragionano più! Certo. E’ proprio questo che significa tornare fanciulli. Forse che tornare fanciulli non significhi delirare e non avere senno?e non è proprio questo, il non avere senno, ciò che più piace di quella età?

Così, per mio dono, il vecchio delira. E tuttavia questo mio vecchio delirante è libero dagli affanni che travagliano il saggio; quando si tratta di bere è un allegro compagno; non avverte il tedio della vita, che l’età più vigorosa sopporta a fatica.

Questo scritto mi ha sempre strappato un sorriso e aiutato a sdrammatizzare situazioni complicate.

Avere un anziano affetto da Alzheimer o da demenza senile in casa comporta un impegno immensamente gravoso per le famiglie che si occupano dell’accudimento, per questo spesso ci si rivolge alle R.S.A. (Residenze Sanitarie Assistenziali), che accolgono in degenza anche persone con queste patologie.

Il distacco totale dalla propria abitazione e dalla propria routine può essere particolarmente destabilizzante per questi anziani; avere vicino i propri cari nei momenti di lucidità può  rivelarsi invece un punto di forza. Per questo, laddove fosse possibile, sarebbe sempre opportuno preferire ad uno spostamento in una Residenza specializzata, l’attivazione dei servizi precedentemente descritti(Centri diurni e assistenza domiciliare), anche per questa categoria di nonni.

Questi inoltre hanno diritto al riconoscimento dell’invalidità e dello stato di handicap; quindi di poter usufruire insieme ai familiari delle forme di sostegno previste, come il permesso di sosta auto per invalidi, la riduzione dell’orario di lavoro, la pensione di invalidità civile, l’indennità di accompagnamento e l’esenzione dei ticket sanitari. 

Motta, cantautore e polistrumentista pisano, in un passaggio significativo del ritornello della sua “Del tempo che passa la felicità” scrive:

…Sarebbe bello finire così, lasciare tutto e godersi l’inganno, ogni volta, la magia della noia del tempo che passa la felicità…

In questa frase leggo quello che vorrei per i grandi anziani. Staccare dagli obblighi, dalle imposizioni della società e dalla freneticità della vita, accogliere la noia, godere di questa, lasciandosi i problemi alle spalle.

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