(dalla “tenerezza” di Ferenczi all’amore “riparativo” del migrante)
“Confusione è parola inventata per indicare un ordine che non si capisce” – Henry Miller
Nel Settembre del 1932 lo psicoanalista ungherese Sándor Ferenczi presentò al XII° Congresso Internazionale della Associazione Psicoanalitica, che si tenne a Wiesbaden, una relazione dal titolo: “Confusione delle lingue tra adulti e bambini (Il linguaggio della tenerezza e il linguaggio della passione).
“Il contatto “pelle a pelle”, innesca nella mamma e nel neonato reazioni intime e forti, che pongono le basi del loro innamoramento.
È un momento prezioso di intimità e di contatto profondo, che sancisce il passaggio dal rapporto di fusione che caratterizza la gravidanza ad una nuova forma di unione… potente e indissolubile.” (Giulia Lino)
La comunicazione madre-figlio comincia sin dai primissimi giorni di vita, portando avanti quella relazione già iniziata nel grembo materno durante la gravidanza.
La madre si prende cura del proprio bambino ed il modo in cui lo guarda, il tono della sua voce, il modo in cui lo tiene in braccio, forniscono al bambino esperienze di rilevante importanza in quanto trasmettono informazioni che riguardano lo stato emotivo ed affettivo della madre e dunque i sentimenti che nutre per lui. La madre gli trasmette amore ed in maniera del tutto naturale ed istintiva parla al proprio figlio, anche se a livello cognitivo egli non può ancora comprendere il messaggio.
Si parla spesso di rapporti di amicizia fusionali e problematici nella loro ambivalenza in adolescenza, eppure a volte l’amico può rappresentare davvero una risorsa a quest’età. Nell’amico si cerca qualcosa, s’investe di affetto una persona non solo per il rispetto e la condivisione ma anche perché i suoi tratti e il suo esserci hanno una funzione importante per noi: a volte colmano un vuoto, ci rispecchiano o assomigliano a una parte di noi. Durante l’adolescenza si sperimenta un contatto particolare con il proprio desiderio che inizia a pulsare e a muoversi in molteplici direzioni. Il senso di smarrimento che si prova dipende dal sentimento di non appartenenza alla cultura famigliare di origine e al bambino che si era e che aveva un posto ben preciso. Le amicizie in queste fasi esistenziali vengono vissute intensamente e gli adolescenti condividono esperienze profonde di ricerca della propria identità dove ci si fa da specchio e si sperimentano emozioni forti.
Più di una volta nella nostra vita abbiamo dovuto affrontare dei cambiamenti importanti, e, talvolta, a subirne le conseguenze. In realtà ogni aspetto della nostra esistenza è costellato da continui cambiamenti, ma l’idea di rimanere fedeli a se stessi e alla propria progettualità di vita, qualora ce ne fosse una, ci porta ad illuderci di poter controllare ogni cosa di sé stessi, compreso il futuro. Il cambiamento porta con sé la perdita di parti di sé, per fare spazio ad altro, a nuovi parti di sé, ancora in fase embrionale ( per un maggior approfindimento si rimanda all’articolo La paura del cambiamento – la spinta vitale dell’instabilità). Questa fase, molto critica, è una vera e propria fase di passaggio, dove l’individuo sente di non poter essere più A, ma sente ancora di non poter essere B, e allora, cos’è?
Ci ritroviamo in una sensazione di non essere ne A e ne B, all’interno di un bosco oscuro dove ci si sente sperduti, perché l’ignoto ed il nuovo vengono percepite come essenze minacciose, come entità interne sui quali non sappiamo se poterci affidare o meno e talvolta, nei sogni, vengono raffigurati come bambini, neonati, o bambole minacciosi e terrificanti.
“Stregatto, […] potresti dirmi, per favore, quale strada devo prendere per uscire da qui?” “Tutto dipende da dove vuoi andare,” disse il Gatto. “Non mi importa molto…” disse Alice. “Allora non importa quale via sceglierai,” disse il Gatto. “…basta che arrivi da qualche parte,” aggiunse Alice come spiegazione. “Oh, di sicuro lo farai,” disse il Gatto, “se solo camminerai abbastanza a lungo.” Alice sentì che tale affermazione non poteva essere contraddetta, così provò con un’altra domanda: “Che tipo di gente abita da queste parti?” “In quella direzione,” disse il gatto, agitando la sua zampa destra, “vive un Cappellaio: e in quella direzione,” agitando l’altra zampa, “vive una Lepre Marzolina. Visita quello che preferisci: tanto sono entrambi matti.” “Ma io non voglio andare in mezzo ai matti,” si lamentò Alice. “Oh, non hai altra scelta,” disse il Gatto: “qui siamo tutti matti. Io sono matto. Tu sei matta.” “Come lo sai che sono matta?” disse Alice. “Devi esserlo,” disse il Gatto, “altrimenti non saresti venuta qua.” Alice non pensava che questo bastasse a dimostrarlo; ad ogni modo, andò avanti “E come sai di essere matto?” “Per iniziare,” disse il Gatto, “un cane non è matto. Concordi?” “Immagino sia così,” disse Alice. “Bene, allora,” il Gatto andò avanti, “vedi, un cane ringhia quando è arrabbiato, e scodinzola quando è felice. Io ringhio quando sono felice, e agito la coda quando sono arrabbiato. Quindi sono matto.” “Io lo chiamo fare le fusa, non ringhiare,” disse Alice. “Chiamalo come preferisci,” disse il Gatto […]
Che cos’è il trauma? Per Freud con l’espressione “traumatico” noi designamo un’esperienza che in breve tempo fornisce troppi stimoli alla vita psichica, e per tale condizione la sua elaborazione non riesce, portando a “disturbi permanenti nell’economia della psiche”. Secondo la teoria freudiana il trauma rivestiva un ruolo causale in molte patologie psichiche (per approfondire “Ricordi in lista d’attesa“; ““Emdr trauma e cervello” ; “Al di la del trauma“).
Nel gergo comune, quando si parla di persone masochiste, inevitabilmente nella nostra mente appare l’immagine di persone che si mostrano autodistruttive e che tendono a farsi del male, soprattuto sotto il punto di vista psicologico e di abbassamento dunque della qualità della vita, ma senza l’intento di arrivare ad un’azione suicidaria. Sicuramente possiamo parlare di masochismo a più livelli, partendo da coloro che vivono una sorta di dipendenza rispetto ad una situazione che li fa soffrire, fino ad arrivare a coloro che praticano l’automutilazione, dove sembra quasi che la sofferenza fisica possa in qualche modo alleviare un dolore più squisitamente emotivo. (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “La personalità masochista – Una vita di lamenti” )
In maniera molto lineare tendiamo a pensare che le persone che hanno un comportamento masochista siano persone che provano piacere nel farsi del male. La McWilliams, psicologa e psicoanalista, ci fa notare però che il termine masochismo, quando viene utilizzato dagli psicoanalisti, non significa amore per il dolore e la sofferenza, piuttosto, precisa che la persona che si comporta in modo masochistico, tollera il dolore e la sofferenza nella speranza, cosciente o inconscia, di ottenere qualche bene maggiore.
In questa vita che scorre ad una velocità incredibile spesso, troppo spesso, ci perdiamo dietro alle cose da fare, a quello che dovremmo essere,, a cercare di dimostrare qualcosa e inevitabilmente ci perdiamo il senso della nostra vita: quello di vivere il presente. Siamo sballottati tra un dovere e l’altro e le cose ci passano sotto come acqua sotto i ponti.
Quante volte abbiamo compreso una situazione affidandoci al nostro intuito? Quante volte abbiamo risolto un problema fidandoci solo ed esclusivamente del nostro intuito? Ma sopratutto, quante volte ha sbagliato il nostro intuito?
L’avvento di internet e dei social media ha portato diversi cambiamenti nella nostra società.
Negli ultimi venti anni sono notevolmente aumentate la diffusione, la condivisione di conoscenze e le occasioni per noi di sperimentare il nostro diritto alla libertà di espressione. I social network, in particolar modo, rappresentano una grande opportunità di comunicazione ad ampio raggio: permettono di esprimere opinioni, sperimentare nuovi comportamenti, mostrare parti di sé, passioni e pensieri velocemente e a molte persone contemporaneamente.
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