Decreto (in)sicurezza. Il “ballo delle incertezze”

Ero pronto al peggio mi sbagliai

Ero pronto al meglio ed inciampai

Se dove andremo lo sapete voi

Ditemi che senso abbiamo noi

(Quale senso abbiamo noi, Zucchero)

Questo articolo non merita di essere letto

Un tema così caldo, attuale e forse “intrusivo” per alcuni, non può essere ignorato e provoca un automatico giudizio personale sulla questione. A tali automatismi della pubblica opinione ne seguono di altrettanti, laddove a seconda del parere personale si diventa oggetto del giudizio altrui: se pensi X allora sei un buonista, un demagogo, un sinistroide, mentre se pensi Y allora sei certamente un razzista, un intollerante, un fanatico patriota e via dicendo…

Come fuggire da questo “pendolo dell’etichetta”?

Lao Tse ricorda come anche il più lungo dei viaggi comincia con un piccolo passo e credo che, in questo caso, il passo andrebbe fatto indietro e sarebbe opportuno anche fermarsi e riflettere.

Quanto viene scritto e condiviso, grazie alle righe che seguiranno, muove da una precisa ambizione: provare a spiegare, da un punto di vista esclusivamente psicologico, quali sono e quali potrebbero essere le condizioni in cui verseranno quelle persone che rientrano nella categoria indefinita e triste di “migranti”.

Il 27/11/2018 la Camera ha approvato il ddl 840/2018, meglio conosciuto come “Decreto sicurezza e immigrazione”. Nelle circa 31 pagine che certificano quanto proposto dal ministro Salvini, si trovano chiaramente dei punti che mirano, in modo pragmatico e deciso, a ristabilire un ordine, un equilibrio che il vicepremier vede come esito naturale delle riforme.

Gli aspetti maggiormente significativi possono essere chiaramente sintetizzati, tentando di metterne in luce il tessuto emotivo di smarrimento ed incertezza che aleggiano su chi, ad oggi, risulta ancora “regolare ospite di un Progetto d’accoglienza”.

  • Abolizione della protezione umanitaria:

La protezione umanitaria era riconosciuta anche a cittadini stranieri che non è possibile espellere, perché potenziali vittime di persecuzione nel loro paese. Al posto di tale protezione dovrebbe essere introdotto una sorta di permesso di soggiorno speciale, valido solo per chi ha la fortuna/sfortuna di rientrare in determinate categorie. Cosa accadrebbe al migrante se ciò fosse “valido ed applicabile”? Le tutele che garantiscono libertà democratiche e diritti fondamentali per l’uomo verrebbero cancellati, calpestati una seconda volta, riproponendo una sintomatologia che riflette ansia, confusione e disorientamento, specie per chi, paradossalmente, aveva iniziato nel pieno della legalità un percorso di crescita personale, di elaborazione di vissuti traumatici, di orientamento professionale.

  • Esclusione dal registro anagrafico dei richiedenti asilo:

La voce numero 13 del decreto stabilisce come i richiedenti asilo non possano essere iscritti all’anagrafe e non possano quindi accedere alla residenza.

In questo caso è facile comprendere quali pensieri, sotto forma di ansie e vissuti persecutori, abitino la fragile mente del migrante; come in una reazione a catena il non esserci, il non far parte di “quella lista”, significherà non esistere o meglio non meritare di esistere perché non verranno forniti diritti che la persona, non per motivi politici quanto umanitari, credeva finalmente di aver trovato. Quale sicurezza per il migrante dunque? E verrebbe da chiedersi anche quale sicurezza possa aspirare di avere il cittadino italiano se l’Altro, il disconosciuto, giunge ad uno statuto tanto speciale quanto sinistro, ovvero quello di fantasma. In tale ottica lo straniero c’è, ma non esiste da nessuna parte e quindi non lo si dovrebbe considerare, né tantomeno temere. Qui sorge un problema con contorni meno teorici e più pratici: la persona che non è presente “per legge” è al di fuori di essa. Quanto scritto vuol far riflettere su un punto che sorge come riflessione, in quella che si configura come un’esigenza negata per tutti, italiani e stranieri: quale futuro per la nostra sicurezza? Quale valore da attribuire? A quale prezzo? L’unica integrazione possibile per chi non è degno di integrarsi, potrebbe coincidere con figure che si trovano in uno stato simile, nascosto e di “assenza”, ovvero il contesto criminale. Seguendo una tale prospettiva, la profezia che si autoavvera può sprigionare tutto il suo potere, relegando l’innocente al ruolo di delinquente e dimostrando, forse, come delinquente questi lo fosse già.

  • Revoca della cittadinanza e lista dei “paesi sicuri:

Nel primo caso il ddl ammette la possibilità di revocare la cittadinanza a chi l’ha acquisita, nel caso questa persona abbia commesso reati a sfondo terroristico. Vengono a crearsi così due categorie distinte: coloro a cui per nascita non può essere revocata e quelli a cui, una volta acquisita può essere revocata in modo unilaterale. Secondo alcuni questo può comportare la creazione di soggetti apolidi, esito chiaramente incostituzionale. La seconda fa riferimento all’insieme di Paesi che Agenzie europee ed internazionali hanno selezionato come paesi sicuri; tradotto ciò significa che il migrante che proviene da uno di quei territori selezionati dovrà sostenere un colloquio (presso la Commissione Territoriale) in cui sarà ancor più complesso dimostrare di meritare la permanenza nel Paese ospitante. Come prevedibile se da un lato questa manovra si pone come ostacolo giustificato per alcuni soggetti, per tutti coloro che nel lungo periodo antecedente tale esame, sono apparsi ben integrati, il rischio di rimpatrio è molto elevato. Questo comporta un ulteriore crollo, un lutto nelle fantasie di autorealizzazione, valide fino a qualche mese precedente tale decreto.

Comprendere tali dinamiche potrebbe, nonostante alcune evidenze, risultare comunque complesso. Bisognerebbe in tale ottica concentrarsi su quella che è la condizione socio-giuridica del migrante forzato (si rimanda per un approfondimento del tema all’articolo ).

Cosa dovrebbe insegnare ciò? Come interpretare quanto sta avvenendo? Provando a fare il passo indietro accennato sopra, dovremmo ripensare al concetto semantico, al significato stesso di rifugiato. Riprendendo il discorso sulle categorizzazioni, sulle etichette, si scopre come prima di tutto il rifugiato appaia come “un problema da risolvere, possibilmente in fretta”. Un problema politico, burocratico certo, ma pur sempre un’incombenza giuridico-legale con bisogni materiali e sanitari a cui rispondere.

Nei fatti poco importa da quale background culturale provenga il migrante, perché il suo statuto di persona vulnerabile è giunto all’attenzione solo in un secondo momento. A tale livello il clinico dovrebbe interrogarsi sulle residue capacità di verbalizzazione che spesso vengono negate o peggio ignorate, restituendo nello scambio dialogico con l’individuo il riconoscimento di un capitale etnico-culturale, dimensione frutto di responsabilità, agenticità, autoderminazione e desideri che il terapeuta è chiamato gradualmente a conoscere.

Concludendo si potrebbe dire che tanto il clinico quanto chi crea delle leggi possono porsi, pur nella diversità di prospettive e scopi, una medesima domanda:

“Da quale punto di vista ha senso tutto ciò”?

Dott. Gianluca Rossini

Psicologo

Riceve su appuntamento a Frosinone

rossini.gianluca@outlook.it

Per approfondire:

– Alessandro Dal Lago “Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale”; 2005;

– Zygmunt Bauman, M. Cupellaro  “Stranieri alle porte”; 2016;

– Andrea Davolo, Tiziana Mancini “L’intervento psicologico con i migranti. Una prospettiva sistemico-dialogica”; 2017

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