“L’UNESCO definisce dal 1984 l’analfabetismo funzionale come «la condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità»”.
Le fiabe, i miti, le storie fantastiche, ed oggi, i film e le narrazioni animate permettono al lettore o allo spettatore di identificarsi con il protagonista, al fine di rimettere in scena i propri personaggi interni nella storia, rianimarli ed attivarne un dialogo interno. Talvolta, può, invece capitare che il processo identificatorio irrigidisca la proiezione in senso inverso: non è più il personaggio che rievoca delle mie rappresentazioni interne, ma sono io che mi identifico e mi ispiro al personaggio. In altre parole vivo attraverso il personaggio. Un esempio di narrazione seducente in tal senso è il genere isekai.
L’Isekai è un sottogenere di manga e anime solitamente di genere fantasy in cui una persona normale viene trasportata, evocata, reincarnata o intrappolata in un universo parallelo. Di solito tale universo esiste già nel mondo del protagonista come videogioco o opera letteraria, ma talvolta può essere anche sconosciuto. A volte il protagonista si ritrova in un mondo completamente nuovo mantenendo i ricordi della sua vita precedente oppure dimenticarsi completamente di quanto accadutogli fino al suo risveglio in quel mondo. In altri casi il nuovo universo può essere un mondo virtuale che si trasforma in reale.
Le emozioni sono processi costanti e vigili di risposta immediata, percepibili tramite il sentire e riconoscibili in espressioni e comportamenti. Sono la conseguenza di meccanismi a dotazione biologica, ciclici e molto rapidi che si attivano quando un individuo entra in contatto con una situazione rilevante. Dalla prima risposta sensoriale, si susseguono un insieme di rapidi processi emotivi il cui risultato consiste in modificazioni a livello fisiologico, dell’esperienza soggettiva e del comportamento.
“Ho gli occhi di mio padre e il corpo di mia madre.” (F. Kahlo)
In questo articolo ho intenzione di porre l’accento sulla trasmissione intergenerazionale come questione antropologica nel senso di specificità umana ma soprattutto sulla trasmissione di natura psichica di generazione in generazione.
“Dottoressa oggi lo ha portato il pos?” La mia risposta, laconica, è stata “No.”
Con la nuova legge finanziaria le prestazioni sanitarie devono essere pagate in modo tracciabile. Per tale ragione nello spazio della terapia è entrato questo oggetto, il cui acronimo rappresenta le parole anglosassoni Point Of Sale, punto di vendita, che rischia di tramutare il campo analitico in un non-luogo di consumo. Vale la pena recuperare la definizione di “non luogo” di Marc Augé, dal suo libro “Non-lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernité” del 1992, per designare le strutture necessarie alla circolazione delle persone e degli oggetti, come centri commerciali, aeroporti, e mezzi di trasporto. Si tratta di zone in cui gli individui si incrociano senza entrare in relazione gli uni con gli altri, per consumare o andare altrove. Luogi senza tempo, né storia o cultura relazionale, in cui si è destinati ad essere soltanto clienti. Elementi di passaggio senza identità.
Quando parliamo di trauma, la nostra mente va alle grandi catastrofi naturali (uragani, tsunami, terremoti) o artificiali (incidenti), agli abusi o ad altre esperienze che portano alla morte o che minacciano l’integrità fisica propria o delle persone care. Questi sono quelli che gli addetti ai lavori chiamano Traumi con la “T” grande.
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