Creare capacità. Lotta all’analfabetismo funzionale

“L’UNESCO definisce dal 1984 l’analfabetismo funzionale come «la condizione di una persona incapace di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere da testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità»”.

Negli ultimi anni le ricerche e le pubblicazioni sul tema dell’ analfabetismo funzionale sono state molte e spesso contrastanti tra loro. Per quanto riguarda l’Italia, si passa da un 20% ad un 80% di popolazione analfabeta funzionale. La ricerca del Human Development Report mostra comunque un risultato preoccupante per gli italiani con il 47% della popolazione composta da analfabeti funzionali (considerando una fascia di età tra i 16 e i 65 anni). In Europa, l’Italia sarebbe il primo paese, mentre nel mondo ci classificheremmo al terzo dietro Cile e Turchia.

L’indagine Piaac del 2011-2012 invece, propone la seguente classifica:

Indonesia 69%

Cile 53%

Turchia 47%

Italia 28%

Israele 28%

Spagna 28%

Grecia 27%

Singapore 26%

Slovenia 25%

Francia 22%

(Indagine svolta su 33 paesi)

Percetuale di anlfabeti più bassa quindi, ma sempre tra i primi posti al mondo.

Una ricerca dell’OCSE del 2003-2004 denuncia che in Italia il 46,1% sono analfabeti funzionali di “livello inferiore”, il 35,1% si ferma ad un’alfabetizzazione basilare ed infine solo il 18,8% può considerarsi effettivamente competente.

Evidentemente la ricerca OCSE è datata, ma quello che si evince è che in questo tipo di valutazioni ci sono molte sfumature; anche per questo i dati cambiano sensibilmente da una ricerca all’altra. Il dato costante e preoccupante è che in media un italiano su tre è analfabeta funzionale.

Al giorno d’oggi con Internet e i social network possiamo avere una prima visione d’impatto sul fenomeno. Pur avendo amplificato la possibilità di connettersi col mondo, spesso non hanno generato alcuna apertura verso la realtà, per comprenderla e per conoscere ciò che accade al di là del proprio naso. La rete offre a portata di mano la possibilità di informarsi e di leggere, ma non sempre questo corrisponde ad un’informazione corretta e correttamente elaborata. Esempio lampante sono le fake news, che hanno sconvolto tutto, rendendo più sottile la distinzione tra il vero e il falso (come sta accandendo in questi giorni per le notizie sul Coronavirus).

In questo contesto l’analfabeta funzionale, non solo ha problemi col riconoscere le notizie vere, ma ha anche la tendenza a voler dire la sua, risultando del tutto distaccato dalla realtà, non congruo al contesto dell’attualità, ignorante e disinformato, chiuso nel suo modo di vedere le cose.

Non è analfabetismo strutturale insomma (chi non è in grado di leggere e scrivere), ma un’analfabetismo dove non si è in grado di leggere i termini di un contratto, comparare dei testi, riassumerli, compilare una domanda di lavoro. La mancanza di capacità critica e analitica si traduce in un’inclinazione a credere a tutto ciò che si legge, senza contestualizzarlo e senza distinguere il vero dal falso, senza capacità di giudizio autonomo e di valutazione.

L’analfabetismo funzionale non è strettamente correlato con la personale formazione di ogni persona, ma una preparazione migliore può fornire strumenti adeguati per sviluppare le proprie qualità intellettive. Nel nostro paese circa il 25 per cento della popolazione non ha alcun titolo di studio o ha, al massimo, la licenza della scuola elementare. Inoltre, il 18,6 per cento degli italiani lo scorso anno non ha mai aperto un libro o un giornale, non è mai andato al cinema, al teatro o ad un concerto. L’unico legame con l’informazione è stato quello con la televisione. Fanno parte di questa fascia di popolazione; over 55 e giovani che stanno a casa dei genitori senza lavorare né studiare, o che provengono da famiglie dove sono presenti meno di 25 libri.

Al giorno d’oggi sembra darsi più importanza al potere economico che all’istruzione. Se si vuole riuscire nella vita basta trovare il modo di fare denaro, strumento per raggiungere il successo.

E’ possibile invertire questa tendenza? Come?

Appare evidente la necessità di un programma socio-politico serio, che riparta dalla formazione anche umanistica di ragazzi e adulti.
 

Il Codice Deontologico dell’Ordine degli Assistenti Sociali, al Titolo II, articolo 6 indica che “La professione è al servizio delle persone, delle famiglie, dei gruppi, delle comunità e delle diverse aggregazioni sociali per contribuire al loro sviluppo; ne valorizza l’autonomia, la soggettività, la capacità di assunzione di responsabilità; li sostiene nell’uso delle risorse proprie e della società nel prevenire ed affrontare situazioni di bisogno o di disagio e nel promuovere ogni iniziativa atta a ridurre i rischi di emarginazione”, e al Titolo III, articolo 11 prescrive che “L’assistente sociale deve impegnare la sua competenza professionale per promuovere la piena autodeterminazione degli utenti e dei clienti, la loro potenzialità ed autonomia, in quanto soggetti attivi del progetto di aiuto”.
Un Servizio Sociale, quindi, disposto a mettersi in gioco, ricercando una “comunità resiliente” che sviluppi azioni volte a rafforzare le capacità personali dei suoi membri per offrirgli la possibilità di influenzare positivamente un cambiamento ed uno sviluppo delle proprie capacità.

Marta Nussbaum, filosofa newyorkese, cerca di ribaltare il discorso degli economisti e dei politici che hanno forgiato il nostro attuale sistema di sviluppo, poiché si tratta di un discorso che ha distorto la realtà: pensare che la qualità della vita di una nazione migliori soltanto nel momento in cui aumenta la sua ricchezza economica (letta attraverso l’innalzamento della percentuale pro-capite del Prodotto Interno Lordo). La Nussbaum con l’approccio delle capacità vuole creare una forte alternativa, partendo da due domande basilari: cosa sono effettivamente in grado di essere e di fare le persone? Quali sono le reali opportunità a loro disposizione?

L’approccio delle capacità, spiega l’autrice, appare in grado di rispondere a questi interrogativi e di farsi “teoria dell’azione” per la costruzione di politiche nuove a sostegno delle persone. Rispetto alle teorie dominanti che hanno condotto il mondo a tali livelli di sbilanciamento e di ingiustizia, l’approccio delle capacità sembra essere, la “contro-teoria” di cui si ha urgente bisogno. La filosofa comincia il suo ragionamento raccontando la storia di Vasanti, una donna sulla trentina dello Stato del Gujarat (India nordoccidentale), la quale era riuscita (molto fortunatamente per una donna del suo popolo) a separarsi dal marito alcolizzato che la maltrattava e la violentava, ed era entrata a fare parte della SEWA (Self-Employed Women’s Association: organizzazione non governativa in aiuto alle donne povere). La Nussbaum si domanda quale potrebbe essere il più valido approccio teorico per comprendere i tratti principali della situazione di Vasanti e, quindi, per giungere a individuare strategie di cambiamento. L’autrice trova la risposta nell’approccio delle capacità, poiché esso è in grado di addentrarsi in diverse dimensioni del vivere concreto, quali la longevità, la salute, l’educazione, la facoltà di proteggere la propria integrità corporea, la possibilità per i lavoratori di godere di relazioni di pari opportunità, le libertà politiche e religiose. L’approccio delle capacità concepisce tutte queste dimensioni in termini di opportunità e di libertà di scelta e di azione, permettendo una più profonda comprensione della complessità. Gli approcci teorici dominanti, invece, ad esempio, non permetterebbero di comprendere le ragioni dell’incapacità di Vasanti di godere dei frutti dell’attuale prosperità della sua Regione. Dunque, «quello di cui c’è bisogno è un approccio teorico che definisca l’acquisizione nei termini delle opportunità che si offrono ad ogni persona. È bene che un tale approccio parta dal basso, osservando le vicende concrete e il significato dei cambiamenti nelle politiche pubbliche per le persone reali».

Insomma, l’approccio «è insieme una concezione comparativa della qualità della vita e una teoria della giustizia sociale di base. Esso tiene anche conto del fatto che le persone possono avere necessità di differenti quantità di risorse per poter accedere allo stesso livello di capacità di scegliere e agire, in particolare se partono da differenti posizioni sociali».

Viene fatta la distinzione tra capacità combinate e capacità di base. Le prime sono costituite dalle capacità interne, ovvero le caratteristiche di una persona, dinamiche e mutevoli, come i tratti personali, le capacità intellettuali ed emotive, lo stato di salute, gli insegnamenti acquisiti; capacità che rappresentano quanto acquisito e sviluppato. Le capacità di base, invece, sono le facoltà innate e sono importanti per lo sviluppo successivo.

La società deve consentire ai cittadini di sviluppare le proprie capacità interne, offrendo al contempo le opportunità di contesto per farle “funzionare” in sintonia con queste stesse capacità. In genere, una capacità interna viene acquisita mediante qualche tipo di funzionamento, e può essere anche persa in assenza dell’opportunità di funzionare. Altro ruolo fondamentale della società è quindi quello di creare le possibiltà per i funzionamenti.

Ovviamente non ci si può aspettare che la lotta all’analfabetismo funzionale possa risolversi in breve tempo e grazie al solo intervento delle Istituzioni. A partire da oggi e con il passare del tempo ed i conseguenti cambi generazionali ci dovrebbe essere una “rivoluzione“ dal basso, dalle famiglie; una scossa che permetta alla nuove generazioni di uscire dall’oscurità dell’ “ignoranza“.

Dott. Diego Bonifazi

Assistente Sociale a Roma
(+39) 3296614580

Email: diego.bonifazi@yahoo.it

Per Approfondire:

Trattato di Andrea Strano Università Ca’ Foscari di Venezia

Marta Nussbaum – Creare Capacità   ED. Il Mulino 2012

Sito – https://www.oecd-ilibrary.org/education/skills-matter

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