Genitorialità pretermine. Nato all’improvvisio: i vissuti traumatici delle mamme e dei papà pretermine

Una particolare attenzione nei confronti dei bambini nati prematuri infatti rientra nei doveri

di una società attenta a tutti, e in particolar modo ai più deboli.

E al contrario il convincimento di alcuni che la loro vita non debba essere soccorsa per il timore di una eventuale disabilità futura può portare verso nuove e pericolose disuguaglianze,

verso un mondo diviso fra chi è “fit” e “unfit”, adatto o inadatto ad esistere.

Nell’affrontare questo delicato tema non dobbiamo però dimenticare i genitori. A loro, in un momento di  difficoltà e ansia estreme come quello di cui parliamo, deve essere garantito tutto l’aiuto e il supporto possibile ,perché possano sentirsi sostenuti nell’accoglienza e nell’amore verso il loro bambino”.

(Manifesto dei Diritti del Bambino Nato Prematuro, Ministero della Salute)

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Disturbo Istrionico di Personalità
Una vita, un palcoscenico

Io sono un istrione a cui la scena dà la giusta dimensione (..) Io sono un istrione ed ho scelto ormai la vita che farò (..) Con il mio viso ben truccato con la maschera che ho sono enfatico e discreto versi e prosa vi dirò (..) Con tenerezza o con furore e mentre agli altri mentirò fino a che sembri verità fino a che io ci crederò.

Charles Aznavour, “Io sono un istrione” (Le Cabotin) 1971  

A primo impatto Ilaria racchiude in sé la piena essenza contenuta nel suo nome: è una donna gioiosa, ìlare, aperta, vitale. Immaginate però, che il tutto sia elevato all’ennesima potenza. Esasperato. La sua è una bellezza rara e delicata, capace di suscitare invidie anche feroci, cosa che tuttavia, evidentemente, non le basta a sostenere un Io dai risvolti così labili. Di fatti, da lì a poco mi confesserà di ricorrere periodicamente ad infiltrazioni di acido ialuronico alternate al botulino, ma “solo per ridurre le rughe d’espressione attorno agli occhi, ringiovanire lo sguardo, marcare gli zigomi, sollevare un po’ l’attaccatura delle sopracciglia e mettere in risalto quelle labbra, per lei a suo tempo fin troppo scarne”. Ci tiene a specificarmi che trattasi d’interventi di medicina estetica, non di chirurgia plastica. Mi chiedo che bisogno abbia di rendere via via sempre più artefatta una bellezza di cui Madre Natura le ha già fatto abbondante dono e nel pensarlo mi accorgo di nutrire per lei una certa tenerezza. Un giorno decide di mostrarmi alcune fra le sue ultime immagini: auto – scatti che la ritraggono in ogni dove ed in tutte le salse.

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Allattamento e attaccamento
Viaggio nel mondo delle mamme moderne

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dichiara: “Lo stato di salute e di nutrizione della mamma e del bambino sono intimamente legati, poiché essi formano una sola unità sociale e biologica. La promozione dell’allattamento al seno, riconosce nella corretta informazione in alcuni momenti prenatali e neonatali un’importanza fondamentale nell’offrire alla madre ed al neonato condizioni più favorevoli al successo-soddisfacimento dell’allattamento naturale. Pediatri e nutrizionisti sono d’accordo nel definire che il latte materno rappresenti il miglior alimento per i neonati, in quanto è in grado di fornire tutti i nutrienti di cui hanno bisogno nella prima fase della loro vita, come per esempio certi acidi grassi polinsaturi, proteine, ferro assimilabile. Inoltre, contiene sostanze bioattive e immunologiche che non si trovano nei sostituti artificiali e che invece sono fondamentali sia per proteggere il bambino da eventuali infezioni batteriche e virali, sia per favorire lo sviluppo intestinale”. La fase dell’allattamento costituisce una delle fasi più importanti del trend di sviluppo del bambino ed è cruciale per la costruzione delle relazioni diadiche madre-bambino; durante l’allattamento, infatti, essi sono fusi in un’unione simbiotica all’interno di un stato di scambio di contenuti psichici (all’interno di un campo intersoggettivo). Il bambino, letteralmente, si attacca al seno materno tramite il riflesso della suzione (un riflesso neonatale, uno di quelli indicati come normalmente presenti sin dalla nascita) e grazie a questo contatto profondo e a un susseguirsi di innumerevoli scambi di sguardi con la madre scopre se stesso e l’Altro, che ne garantisce la sopravvivenza. ( per un maggior approfondimento si rimanda agli articoli “Nella mente del bambino – L’uso dell’oggetto: alla scoperta del mondo”). Secondo Freud, questa fase va dalla nascita ai primi 18 mesi di vita (fase orale) in cui la pulsione auto-conservativa (fame, sete, succhiare) si concentra nella bocca che diventa il mezzo tramite il quale il bambino conosce il mondo esterno – il mondo fuori da Sé.

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La colite psicosomatica
L’evacuazione di un sè non accettato

Nell’arco della propria vita, chiunque, dal più sensibile al più razionale, avrà avuto modo di constatare che il proprio corpo e i propri organi sono, molte volte, il rappresentante simbolico di uno stato emotivo inesprimibile verbalmente, divenendo l’organo stesso il mezzo con cui parlare. Ce ne rendiamo conto quando il nostro cuore batte forte dinanzi ad un carissimo amico di cui siamo innamorati ma di cui non possiamo prenderne coscienza perché spaventati dalle conseguenze, oppure dinanzi ad un gran mal di testa, dopo che ci siamo detti “Basta, non ci pensare” (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “La cefalea psicosomatica – La logica che uccide”) , o davanti ad una gastrite lancinante causata dai nostri vani tentativi di reprimere vissuti di rabbia verso una persona cara (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “La gastrite psicosomatica – Il dolore delle emozioni indigeribili” ). Un organo che viene preso molto spesso in considerazione, dinanzi alle proprie angosce, è l’intestino, rappresentante non solo dei “bassi istinti” ma anche della funzionalità che esso ricopre: eliminare le scorie e, dunque, i vissuti e le parti di sé inaccettabili, attraverso le coliti. 

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Sull’alcolismo
Aggrappàti a un sorso in più

Fine maggio. Un’altra calda e intensa giornata era ormai tramontata. Così, col sole alle loro spalle, Barbara e Paolo – cresciuti insieme e amici per la pelle da oltre un ventennio – si accingevano a prepararsi per il lungo sabato sera che li attendeva. Prima una frugale cenetta a tu per tu, poi giù in piazza per una bevuta con l’intero gruppo, ed infine tutti insieme a fare quattro salti in discoteca, fino alle prime luci dell’alba. Era un bel giovane uomo, il timido Paolo. L’animo gentile, il cuore pulito e tutte le donne del mondo ai suoi piedi. Eppure, c’era in lui qualcosa d’inafferrabile, una scomoda quanto ingestibile parte che faceva il suo ingresso solo nel buio della notte, quando immerso nel clima danzereccio e goliardico generale perdeva pian piano ogni tipo di freno, diventando fumoso e fastidioso tanto quanto le luci accecanti e stroboscopiche dei suoi amati locali. Ogni festino che si rispettasse diveniva teatro di quella sua reversibile e spaventosa trasformazione: via via che l’alcol  andava giù, a fiumi, lui si faceva sempre più pedante, rumoroso. Litigioso.

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I mille frammenti dello specchio. L’universo celato dietro un DCA

La prima volta che ho sentito parlare di anoressia, il più “famoso” tra i disturbi del comportamento alimentare, l’ho collegato in maniera automatica alla pressione culturale relativa alla magrezza. Indubbiamente, infatti, è dilagante nella società occidentale il mito della magrezza e come essa sia divenuta ormai sinonimo di bellezza. Diverse ricerche, infatti, hanno messo in evidenza  come l’indice di massa corporea richiesto alle modelle in concorsi di bellezza come miss America si sia abbassato di circa 2 punti dagli anni 50 agli anni 2000. Tuttavia è decisamente riduttivo e limitante sia per fini di ricerca che curativi, ridurre un dca a meri fattori culturali; questi devono essere considerati solo come uno dei tanti fattori di rischio che sono alle spalle di questi disturbi.

Mi piace usare questa metafora: il dca è la punta dell’iceberg. Sotto lo spettro dell’ acqua c’è tutto il fulcro del disturbo che è strettamente connesso all’individualità del paziente, alla sua storia. In altre parole, apparentemente, vediamo le stesse manifestazioni cliniche, le stesse punte dell’iceberg ma queste celano dei meccanismi ogni volta diversi. Lo specchio non è mai univoco ma spezzettato in mille piccoli frammenti che ogni volta raccontano qualcosa di diverso.

Anoressia, cibo, disturbi alimentari, psicoterapia

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La teoria emotiva dell’obesità
Alla ricerca di un equilibrio tra pieni e vuoti

Foto di Michal Jarmoluk da Pixabay

Il tema dell’obesità è stato trattato diverse volte nella nostra rivista (per approfondimenti si rimanda agli articoli “Dipendenza da cibo- il legame tra nutrimento ed emozione” nel mese di febbraio 2015, “Obesità – L’imbottitura dell’anima” nel mese di settembre 2015). Questo perché nei diversi disturbi riguardanti l’alimentazione, sebbene abbiano un’eziologia multifattoriale, la componente psicologica è sempre presente. Per prima cosa sarebbe utile fare una distinzione tra obesità esogena ed endogena. Quando parliamo di obesità endogena parliamo di un disturbo causato da una patologia organica, come può essere ad esempio un problema alla tiroide o una patologia medica di altro tipo. L’obesità esogena al contrario è un disturbo del comportamento alimentare che ha all’origine un’anomalia nel modo in cui è avvertita la fame, a causa di un apprendimento percettivo errato. In entrambi i casi, però, sia che la componente psicologica sia la causa, sia che costituisca una conseguenza del disturbo, è sempre presente. È per tale motivo che con il tempo sono state formulate diverse teorie sull’argomento. Quella che mi piacerebbe approfondire oggi è la teoria emotiva dell’obesità.

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Anoressia e “desiderio di godimento”
Dall’oggetto primario all’ “oggetto niente”, dal seno al digiuno

“Devo masticare in modo che possa avere un’idea del sapore. Ma non devo inghiottire NIENTE. Poi sputo tutto. Così resto me stessa, ma senza rinunciare al sapore”(dall’esperienza clinica di Massimo Recalcati – trattamento di una paziente anoressica che descrive il suo modo di nutrirsi). Il niente è oggi di moda. Non la moda filosofica del nichilismo ma quella patologica dei disturbi alimentari. Anoressia e bulimia assumono come loro specifico oggetto del desiderio il Niente. L’ anoressia mangia il niente. L’ oggetto del desiderio non è mancante ma da ritrovare in quanto usato in modo particolarmente improprio. Ecco perchè l’ anoressia può essere oggi intesa come nichilismo del desiderio.

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Dipendenza da Tabacco
Quando i pensieri vanno in fumo

“…Mi colse un’inquietudine enorme. Pensai: «Giacché mi fa male non fumerò mai più, ma prima voglio farlo per l’ultima volta». Accesi una sigaretta e mi sentii subito liberato dall’inquietudine(…) Finii tutta la sigaretta con l’accuratezza con cui si compie un voto. E, sempre soffrendo orribilmente, ne fumai molte altre…”

(La Coscienza di Zeno – Italo Svevo)

Sui pacchetti di sigarette e negli occhi della gente leggiamo quotidianamente “il fumo nuoce gravemente alla salute”. Ogni fumatore dipendente ne è consapevole, giacché vive sul proprio corpo gli effetti nocivi del fumo, della dipendenza e conosce perfettamente gli studi sui rischi associati all’abuso di nicotina nel tempo. Conoscere a cosa si va incontro, però, non rappresenta una spinta considerevole allo smettere di fumare. Come mai?

dipendenza da fumo, fumare, sigarette, tabagismo

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Il caso Spotlight
Il riconoscimento dell’abuso

Thomas McCarthy decide di portare sul grande schermo un film inchiesta duro, accademico e rigoroso, sul tema pedofilia nella chiesa, ripercorrendo i fatti che tra il 2001 e il 2002 hanno travolto la diocesi di Boston, ottenendo il premio per il miglior film agli Oscar dello scorso febbraio. Il film introduce un tema scottante; la negazione dell’abuso. Una negazione che viene agita molto spesso e a più livelli. Dai familiari delle vittime, fino all’intero contesto sociale in cui l’evento va a inserirsi. Chi paga il prezzo di questa negazione sono ovviamente le vittime.

Estate 2001, i giornalisti investigativi riuniti nel team denominato “Spotlight” di Miami conoscono il loro nuovo direttore, Marty Baron, e le loro vite sono destinate a cambiare. Perché Marty vuole che il giornale torni ad occuparsi di tematiche scomode, ad esempio di pedofilia. Il primo caso di cui si interessano infatti è relativo all’accusa rivolta ad un sacerdote locale, sospettato di aver abusato di numerosi bambini e giovani della sua diocesi, nel corso di trent’anni, lasciato agire indisturbato dalla Curia. Il nuovo direttore è convinto che il cardinale di Boston ne fosse al corrente, ma che abbia fatto tutto ciò che poteva per insabbiare lo scandalo che rischiava di minare la sua chiesa dall’interno. 

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