La colite psicosomatica
L’evacuazione di un sè non accettato
Nell’arco della propria vita, chiunque, dal più sensibile al più razionale, avrà avuto modo di constatare che il proprio corpo e i propri organi sono, molte volte, il rappresentante simbolico di uno stato emotivo inesprimibile verbalmente, divenendo l’organo stesso il mezzo con cui parlare. Ce ne rendiamo conto quando il nostro cuore batte forte dinanzi ad un carissimo amico di cui siamo innamorati ma di cui non possiamo prenderne coscienza perché spaventati dalle conseguenze, oppure dinanzi ad un gran mal di testa, dopo che ci siamo detti “Basta, non ci pensare” (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “La cefalea psicosomatica – La logica che uccide”) , o davanti ad una gastrite lancinante causata dai nostri vani tentativi di reprimere vissuti di rabbia verso una persona cara (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “La gastrite psicosomatica – Il dolore delle emozioni indigeribili” ). Un organo che viene preso molto spesso in considerazione, dinanzi alle proprie angosce, è l’intestino, rappresentante non solo dei “bassi istinti” ma anche della funzionalità che esso ricopre: eliminare le scorie e, dunque, i vissuti e le parti di sé inaccettabili, attraverso le coliti.