It Follows
Quando il male cammina con te

Jay è un’adolescente che si affaccia alla vita, non è più una bambina, non è ancora un’adulta. È come un germoglio delicato, su cui il sole non si è ancora posato del tutto. Muove i suoi primi passi nel mondo, sperimentando nuove relazioni, e ovviamente, il primo innamoramento. E il sesso, per la prima volta. Hug sembra gentile, anche se ha qualcosa di strano, come quando le chiede di andare via dal cinema perché una donna lo sta fissando, una donna che Jay non riesce a vedere. Probabilmente Jay aveva immaginato la sua prima volta in molti modi, forse sul sedile posteriore dell’auto di Hug, ma, verosimilmente, non aveva pensato di essere sedata con del cloroformio e di essere legata con del nastro adesivo ad una sedia da ufficio.

Quando Jay si risveglia il sogno del suo autunno da adolescente qualunque si spezza, e inizia l’incubo, un incubo in cui viene introdotta da Hug. Non sa che cosa siano quelle persone che lo perseguitano, il fatto è che una volta che hai fatto sesso con qualcuno che viene perseguitato da loro, da quel momento in poi non ti lasciano più vivere, finché non ti uccidono, o finché tu non fai sesso con qualcun altro e allora quella specie di maledizione si sposta, come una malattia infettiva. La condizione fondamentale però è che la persona a cui si trasmette la maledizione sia vergine. È così che Jay viene a sapere che la sua vita precedente è finita per sempre. E quella che sarebbe dovuta cominciare forse non ci sarà mai. Perché degli sconosciuti, nudi, famelici, con il corpo in putrefazione la perseguiteranno, lentamente, in una inarrestabile, pigra, agonia.

Come l’agonia in cui ci costringe a vivere la paranoia, che sembra contraddistinguere le percezioni e i vissuti dei personaggi del film, ossessionati da inseguitori invisibili agli occhi degli altri. Kraepelin, nella VI edizione del trattato di Psichiatria, definiva la paranoia «lo sviluppo lento, per cause interne, di un duraturo ed incrollabile sistema delirante, che si svolge mentre rimangono perfettamente conservate la lucidità e l’ordine nel pensare, nel volere e nell’agire». Secondo diversi autori, le caratteristiche centrali delle personalità contrassegnate dalla paranoia sarebbero la rigidità, la diffidenza, l’eccitabilità e l’irritabilità, estrema suscettibilità alla critica e all’aggressione, tendenza alla sopravvalutazione delle proprie attitudini e qualità, propensione verso i sentimenti di invidia e di gelosia, tendenza alla denigrazione e alla dissimulazione, “gusto fanatico per l’ideologia pura, purché questa fornisca una chiave di lettura totalizzante del mondo.” (Muscatello; Scudellari, 1984) Per la psicopatologia e la definizione nosologica della paranoia, è fondamentale l’opera di K. Jaspers (1913), che nello studio sulla gelosia distinse le idee deliranti psicologicamente comprensibili e derivabili (sviluppo psichico), che sono connesse ai fatti vissuti e alla storia del soggetto, anche se per la loro insorgenza è necessaria una predisposizione costituzionale individuale, e le idee incomprensibili e inderivabili (processo psichico), che sono un prodotto diretto del processo psichico, emergono direttamente da esso, e mancano di elaborazione intrapsichica. La concezione di Jaspers delle idee deliranti ha dato un’impronta fondamentale per lo studio del problema del delirio: non si tratta di intendere un sintomo organico, ma di indagare ciò che può nascondersi dietro il delirio, di indagare la struttura del delirio stesso e le connessioni di tutte le forze che partecipano alla sua insorgenza (per un maggiore approfondimento si rimanda all’articolo La schizofrenia e i disturbi psicotici Il posto degli psicologi).

Secondo Freud, che ha accennato alla paranoia nelle lettere a W. Fliess del 1895 l’isteria e gli stati ossessivi sono paragonati alla paranoia (‘psicosi intellettuale’) come modi patologici di difesa. Nella paranoia domina incontrastato il meccanismo psichico della proiezione (attribuire modificazioni interne a cause esterne), con il quale ci si rifiuta di prestare fede alle autoaccuse. Successivamente aggiunse che il modello della formazione del sintomo è quello della fissazione, rimozione e ritorno del rimosso nel sintomo. La fissazione paranoica avrebbe luogo a un livello narcisistico precoce, intermedio tra l’autoerotismo primitivo e l’amore oggettuale. Il ritorno del rimosso avviene sotto forma di delirio di persecuzione. È del 1922 l’importante contributo freudiano al problema della gelosia nei suoi rapporti con la paranoia e l’omosessualità, cui segue la formulazione della percezione dell’ostilità inconscia. Il tentativo più interessante di tracciare lo sviluppo del pensiero paranoico durante il primo anno di vita del bambino, da un punto di vista psicoanalitico, si deve a M. Klein, che ha ipotizzato l’esistenza di una ‘posizione paranoide’ nel bambino di 3 mesi, causata dall’uso esteso della proiezione come difesa contro ‘persecutori’ interni ed esterni.Gli analisti neofreudiani invece sottolineano i fattori interpersonali piuttosto che quelli intrapsichici nella genesi del pensiero paranoico, prestando molta attenzione alle vicissitudini dei rapporti precoci madre-figlio, specialmente per quanto concerne l’incapacità di sviluppare una fiducia di base e di strutturare una comunicazione non ambigua. Anche i fattori sociali sono stati particolarmente evidenziati a proposito dello sviluppo della personalità paranoide. 

David Robert Mitchell firma un piccolo capolavoro dell’horror, che smentisce costantemente gli stilemi del genere, nonostante si ispiri ai grandi classici della cultura americana. Come in ogni horror anglosassone il sesso è una colpa, e chi lo pratica, in particolare se giovane, è destinato a morire. Perché in una società conservatrice la sessualità, e il desiderio in generale, sono pericolosi e conducono alla dannazione. Seguendo Freud potremmo ipotizzare che il ritorno del rimosso a cui fa riferimento il regista sia proprio il desiderio sessuale, socialmente rimosso rispetto alla vita psichica e sociale degli adolescenti, ma che ovviamente esiste e viene quotidianamente sperimentato. Mitchell ha appreso perfettamente la lezione di Carpenter, Raimi e Cramer, ma si è anche nutrito di cinema europeo, ed il suo film emoziona per la poetica con cui ritrae l’adolescenza, come un’età in cui si aspettano le prime luci dell’alba per affacciarsi al mondo e sbocciare. Nel raccontare la minaccia della morte Mitchell racconta la vita, il desiderio, l’amicizia e il coraggio, con uno sguardo nuovo e accattivante, capace di creare un ponte tra il cinema americano di genere e quello europeo d’essay, a metà strada tra Lynch e Truffaut.

In uscita nelle sale italiane il 7 luglio.

Dott.ssa Valeria Colasanti

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