Le carezze di un genitore hanno il potere di confortare un bambino, di sollevarlo da uno stato di angoscia o agitazione. Sebbene la funzione evolutiva fondamentale delle coccole sia intuibile, la conferma della loro importanza da un punto di vista scientifico è recente.
Nel pensiero collettivo occidentale sono spesso condivisi degli stereotipi sui bambini e sulla loro incapacità di comprendere e di affrontare gli eventi legati alla morte di una persona cara che influenzano profondamente il modo di gestire l’accompagnamento del bambino all’esperienza della perdita. Queste credenze hanno come focus l’idea che di fronte alla morte il bambino vada estremamente protetto e quindi tenuto fuori da informazioni, esperienze, riti e condivisioni emotive per potergli risparmiare la sofferenza del distacco.
Il Sé è un elemento innato che costituisce il nucleo centrale dell’individualità, l’unione di elementi che disegna il punto di contatto tra psiche e soma, grazie al quale il bambino può sviluppare capacità emotive, cognitive, relazionali, empatiche, creative e di adattamento nel contesto vitale in cui è inserito (Winnicott, 1968). Naturalmente tale processo non può svolgersi in maniera del tutto autonoma: fatte salve le fasi maturative fisiologiche che hanno certamente il loro peso, nell’evoluzione del soggetto, a svolgere una funzione dominante nella nascita e nel potenziamento del Sé è il rapporto con la madre.
Avete mai riflettuto su come vi sentite quando vi guardate allo specchio? Vi piace quello che vedete riflesso? Avete mai pensato all’effetto che un abito di bella e buona fattura ha sulla vostra cognizione e sul vostro umore? Su come un semplice accessorio vi dia sicurezza e vi faccia sentire esattamente come vorreste essere? Tutti questi elementi rientrano nel campo di indagine della PSICOLOGIA DELLA MODA.
<<…voglio che si sappia la mia storia, perché qui in giro non ci sarò solo io a soffrire… le parole fanno più male delle botte >>.
Carolina ha solo 14 anni e una serata, fra amici, con qualche bicchiere in più, la conduce al centro di un incubo: prima le molestie, poi le riprese, la diffusione di un video e i disperati tentativi di sopravvivere alle conseguenti valanghe d’odio. In poco tempo, viene invasa da giudizi carichi di violenza e stereotipi misogini e discriminatori. Gli Hate Speech, i cosiddetti discorsi d’odio, hanno il potere di distruggere. Carolina, come tant*, non ce la fa; sceglie un salto nel vuoto per interrompere quel dolore.
“Ho sognato di essere in una caverna. Attraversavo una sorta di stretto tunnel per riuscire ad arrivare all’aperto, ma man mano che avanzavo l’uscita sembrava allontanarsi sempre di più. Improvvisamente la mia pancia scompariva e non ricordavo più perché mi trovassi lì.”
In questi giorni le misure restrittive limitano la nostra libertà e ci fanno vivere in una situazione paradossale: non c’è panico ma silenzio. Siamo fermi. Distanti soprattutto dai nostri cari.
Chi fa colazione ascoltando il notiziario, chi si dedica alle pulizie della casa, chi cerca distrazioni nella musica, nella lettura o dilettandosi nella preparazione di ottimi cibi. Ognuno di noi, da quando l’OMS ha dichiarato ufficialmente lo stato di pandemia mondiale, si trova in una condizione di isolamento semi-forzato, sentendosi, chi più chi meno, costretto a vivere nella propria abitazione, rispettando numerose restrizioni e cercando il più possibile di non commettere errori.
Ci dicono cosa dobbiamo fare e come trascorrere le nostre giornate al meglio, al fine di fornire supporto psicologico e ridurre al minimo le tensioni, le paure, le ansie che inevitabilmente, dopo più di un mese di restrizioni, spingono per venire a galla. Tutto questo ci ha travolti in poco tempo, rendendo il tutto quasi surreale, allontanando ogni progetto futuro o affievolendo le speranze di chi era in attesa di notizie positive. Eppure, nonostante questo alone di negatività, siamo nelle nostre case, con la nostra famiglia o in compagnia di qualcuno che ci dà conforto, pensando a cosa faremo quando tutto sarà finito.
Il termine narcisista è ormai diffuso ed utilizzato da chiunque, generalmente per indicare una persona estremamente egoista, incapace di comprendere i bisogni dell’altro. Se prestassimo ascolto a tutte le persone che definiscono gli altri, o addirittura se stessi, narcisista, inizieremmo a chiederci se non ci sia una vera e propria invasione. È innegabile che la società attuale si struttura intorno ad una modalità istrionica e narcisistica (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “Popolarità a 5 stelle – Sono ciò che gradite di me”), esaltando l’apparire, l’involucro e dunque il falso al reale; ma è anche vero che è questa pressione all’apparire della società che crea ancor di più tale fraintendimento.
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