In finanza si parla di cigno nero per indicare un evento raro, inatteso, improbabile, imprevedibile e dagli effetti dirompenti.
Oggi questa espressione è di uso comune grazie al libro di Taleb Nassim “Il cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita”, ma l’origine si deve al poeta latino Giovenale che usava l’espressione “cigno nero” per indicare un evento impossibile.
Viviamo e percepiamo. Esistiamo e guardiamo alle cose con un senso critico, costantemente desiderosi di capire cosa succede nel mondo interiore ed esteriore perché l’unica certezza che l’uomo ha è il suo esperire senza sapere cosa esattamente o come.
E chissà quanto ho viaggiato quante facce sono stato Quante volte ho chiuso gli occhi quanta polvere ho mangiato Quante volte ho chiesto scusa quante volte ho perdonato Come sabbia dentro al vetro come vento sul vestito E il treno sta partendo e non è ancora partito
Nel corso degli ultimi decenni, la società umana economicamente avanzata ha subito un enorme salto in avanti dal punto di vista tecnologico. Ogni aspetto dell’ambito umano ha dunque goduto di questa evoluzione, dalla comunicazione ai trasporti, dall’edilizia alla sanità. Questo notevole salto in avanti pone l’essere umano dinanzi ad un quesito etico, rappresentato in molti film cinematografici, ossia come la tecnica influenzi o sovrasti l’uomo. Possiamo affermare che ad oggi non è più l’uomo che ha potere sulla tecnica. Galimberti afferma che non vi è più l’utilizzo della tecnica per i propri fini, bensì il contrario: sono gli scopi che vengono modellati intorno alle nuove tecniche ( si rimanda all’articolo Psicopatologia della società moderna – Figli del materialismo). C’è dunque un crollo della finalità autentica dell’uomo, che comporta a livello generale una crisi identitaria, compensata dalle mille foto caricate online per modellare, attraverso la tecnica, un’identità fittizia, un falso sé virtuale: un avatar composto da come vorremmo essere percepiti dall’altro ( si rimanda agli articoli Il Falso Sé – Modellati nell’ambizione e Il Falso Sè – Sul sentimento di autenticità).
“Ho chiamato te perchè ti sento vicina; perchè so che al mio posto proveresti le mie stesse emozioni, avresti i miei stessi dubbi. Ho chiamato te perchè puoi capire quello che provo e quello che dico.”
Questo è quello che dissi non troppo tempo fa ad una persona a me cara, quando la chiamai per condividere con lei pensieri e preoccupazioni su di un determinato argomento.
Saper comunicare è una delle cose più difficili e impegnative, per poterlo fare in modo efficace bisogna sapersi conoscere, saper conoscere le proprie capacità e i propri limiti. Qualche mese fa mi è capitato di incontrare una persona, una ragazza di nome Luna, con la quale abbiamo stretto una bellissima amicizia, con lei non ho difficoltà a parlare, mi fa sentire al sicuro e libera di potermi esprimere come voglio. Durante la nostra conoscenza ho però scoperto una cosa, nei suoi silenzi si celano parole che non possono essere dette con la voce, ed è in questo momento che basta uno sguardo per poterci capire, comprendere fino in fondo. Continuando la nostra conoscenza ho avuto modo di capire che Luna ha difficoltà ad esprimere con le parole il suo pensiero soprattutto nel momento in cui si trova in difficoltà o sente di essere stata ferita, si chiude in un mutismo che è quasi impossibile superare. Spronarla, incoraggiandola ad utilizzare le parole per verbalizzare il suo pensiero è un compito arduo, ma con fatica ed impegno ho capito come poter fare per entrare in contatto con lei, dando quindi spazio ad una comunicazione. Con il tempo ho imparato che una delle cose più importanti nella comunicazione rimane proprio il silenzio.
E’ arrivato il giorno del mio compleanno: non vedo l’ora di poter festeggiare con tutti i miei amici, ho organizzato una bella serata e spero che andrà tutto come ho immaginato…. Poco prima di uscire, leggo sul mio telefono un messaggio di due dei miei migliori amici, mi dicono che purtroppo non potranno essere presenti alla festa: che delusione!
“ Immaginate una pentola piena d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce bollita.Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.”
Il principio della “rana bollita” è stato usato dal filosofo Noam Chomsky per indicare l’attitudine dei popoli ad adattarsi e accettare situazioni sfavorevoli, negative e opprimenti. Viene usato specialmente in sociologia per descrivere alcune dinamiche di potere, soprattutto moderne, nelle quali vengono cambiate le regole della società, procedendo per step, facendo abituare lentamente le masse anche a conseguenze avverse e sfavorevoli.
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