La vergogna può essere definita, prendendo in prestito le parole di Giampaolo Salvatore, il dolore dello stare orrendamente in compagnia di se stessi. Troppo spesso accade in situazioni sociali, nuove o che richiedono performance, di entrare in contatto con un forte senso di inadeguatezza, arrivando a sentire tale vissuto come soverchiante, al punto da invalidare qualsiasi tipo di contatto con l’altro.
“Basta con la storia che io sono quella sbagliata, quella diversa, la pecora nera, siete voi che siete tutti uguali con lo stesso difetto.“
Lucrezia Beha
Essere accettati per chi siamo e/o per ciò che facciamo all’interno della famiglia non è sempre facile.
Molte volte si viene riconosciuti come “La pecora nera”, come una persona che si muove diversamente dal gruppo di appartenenza e che mette al primo posto il bisogno di sentirsi liberi e ribelli da tutto ciò che ci hanno da sempre insegnato.
“Ci sono nostalgie dolorose e scarnificanti, nostalgie che fanno vivere e nostalgie che fanno morire, nostalgie che si nutrono di gioia e di tristezza, nostalgie che non si cancellano nel corso del tempo e nostalgie labili ed effimere…” Eugenio Borgna
Nel libro “La nostalgia ferita”, lo psichiatra e saggista contemporaneo Eugenio Borgna parla di un sentimento che persiste allo scorrere del tempo del nostro vivere: la nostalgia che non muore.
La nostalgia – dal greco notos “ritorno” e algos “dolore” , ovvero ritorno al dolore – è un’emozione complessa che ci accompagna lungo il cammino di crescita e di conoscenza di noi stessi e che percepiamo più forte nei periodi di vita colpiti da perdite. Borgna la descrive come un’emozione ferita dal trascorrere del tempo e intessuta di ricordi che ci riportano intensamente a contatto con il passato, con le esperienze significative che hanno nutrito e che continuano a nutrire l’anima.
Donna con mani incrociate, vista di schiena- Egon Schiele
Egon Schiele, pittore austriaco vissuto agli inizi del Novecento, racconta la poetica sottesa alle proprie opere attraverso la rappresentazione del corpo; dipinto come torbido, caotico, espressione di desiderio e di caducità della vita. Attraverso forme scomposte e incerte descrive il movimento dinamico di un corpo, contenitore di un’interiorità tormentata, la cui unica pretesa risulta essere l’esistere. Un’ esistenza senza spazio e senza tempo, le ambientazioni sfumano, l’età dei soggetti appare secondaria. Il corpo in questo senso sembra essere il veicolo di qualcosa di inespresso, che trova difficilmente rivelazione mediante la parola. Ciò però non lo rende privo del significato più profondo che custodisce; nel coacervo di emozioni e sensazioni, che tali raffigurazioni suggestionano nello spettatore, domina il senso di ineffabilità circa un nucleo emotivo magmatico. La rappresentazione del corpo in tale paradigma artistico, può rimandare a quello che nel campo psicologico risulta essere un corpo trascurato all’interno delle relazioni primarie e che si fa, per questo, emblema di tutte le sue contraddizioni affettive.
Prima di mettersi in cammino si allacciano le scarpe, capita poi che lungo il tragitto ci siano dei nodi più resistenti e alcuni invece troppo lenti. Per poter continuare il viaggio spesso siamo portati a riannodare i lacci, con la speranza che almeno per quel tragitto reggano, a volte succede, a volte si slacciano nuovamente. Questi nodi metaforicamente possono considerarsi alla stregua di tutti quei legami che nel corso della vita si intessono, alcuni durano il tempo di qualche passo, altri il tempo di una maratona. Ciò che però risulta imprescindibile è il bisogno di ciascuno di noi di riannodare quei due lembi di stoffa per prevenire l’inciampo e per continuare nel nostro percorso.
Ogni giorno ciascuno di noi si confronta con il tema della separazione che vede quei due lacci divisi, dopo un pezzo di strada insieme. Ci si separa dai genitori, dagli amici, dai partner, ma anche dai colleghi o dal cassiere al supermercato. Il terapeuta e il paziente si separano tra una seduta e l’altra, come per la pausa estiva o per la chiusura di un percorso.
Spesso si parla dei disturbi psicosomatici come esito di un mancato dialogo tra il corpo e la mente. Ma cosa permette questo dialogo? E soprattutto come riesce il corpo a pensarsi?
Tale competenza sembra affondare le sue radici in un processo esordiente della nostra vita, che chiama in causa le figure primarie, il rispecchiamento.
Nel momento in cui il bambino “scopre se stesso negli occhi della madre”, questo diviene consapevole dei suoi stati emotivi, riflessi e pensati dall’Altro. In questo modo il bambino sviluppa quella capacità, denominata mentalizzazione, che consente di comprendere le intenzioni e il pensiero sottostanti il comportamento proprio e altrui. Questo costrutto sembra essere direttamente chiamato in causa nella comprensione dei segnali sprigionati dal corpo.
Hai mai reagito emotivamente in modo negativo senza capire cosa ha scatenato quella risposta? Probabilmente, questa sensazione, è data da un’allergia emotiva.
“Prima di salir le scale mi sono fermato a guardare una stella Sono molto preoccupato Il silenzio mi ingrossava la cappella Ho fatto le mie scale tre alla volta Mi son steso sul divano Ho chiuso un poco gli occhi E con dolcezza è partita la mia mano”. Lucio Dalla – da “Disperato Erotico Stomp”
La masturbazione è una pratica non frequentemente raccontata oppure spesso narrata attraverso luoghi comuni che purtroppo creano una sorta di ottundimento rispetto alla complessità di significati e alla simbologia che esso racchiude.
Vorrei proporvi una narrazione diversa da solito, fatta di domande e risposte che spero vi restituiscano diversi spunti di riflessione e magari riescano a rendere questa dimensione della sessualità interessante e coinvolgente quasi quanto le note poetiche di Lucio Dalla.
Lo psicoanalista britannico Donald Winnicott riteneva che alla base dei disturbi alimentari ci fosse una sofferenza psichica legata ad un vuoto generato dal non sentirsi amati altresì dal dubbio che si forma dall’incostanza genitoriale e dalla possibilità di accedere all’oggetto d’amore; fenomeno intrapsichico riconducibile alle prime esperienze relazionali, ovvero le primordiali relazioni d’affetto le quali vengono interiorizzate ed estese lungo il percorso di vita. Dunque il senso di ambiguità può essere riscontrato nelle relazioni intime.
La Nomofobia (dall’inglese no-mobile phobia) è definita sindrome della disconnessione, ovvero la paura e la forte ansia di rimanere fuori dal contatto con la rete mobile, di non essere più “connessi”.
In Italia più del 93% degli over 18 possiede uno smartphone, il 75% comunica attraverso WhatsApp e il 69% condivide quotidianamente foto e video.
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