L’Italia è fuori dai mondiali 2018. Sui social media e sui mezzi di informazione di massa non si parla di altro.
Un senso di delusione e vergogna ha accompagnato il fallimento della Nazionale Azzurra. Potremmo ipotizzare che ciò sia dovuto al fatto che il calcio rappresenta, oltre ai tanti significati sociali e identitari che gli sono stati riconosciuti, un’occasione di realizzare le proprie aspettative emotive nei confronti del mondo esterno, di sentirsi vincitori, in grado di dominare il mondo dei fenomeni, e sentirci “competenti”.
Il nome greco Ἀμαζών (amazòn) si compone di una Ἀ iniziale un’alfa privativa che rende nullo il successivo nome μαζός, versione ionica di μαστός, che vuol dire “seno”: il risultato sarebbe quindi “senza seno”. L’etimologia è riferibile al costume tradizionale attestato dalle fonti mitografiche secondo cui le Amazzoni si mutilavano la mammella destra allo scopo di tendere meglio l’arco. Facendo una rapida ricerca su internet è evidente come molte donne operate al seno a causa di un carcinoma alla mammella si identificano nella figura delle Amazzoni, ossia come eroine pronte a combattere per la propria vita. La figura delle amazzoni però mette in luce una delle problematiche verso cui queste donne si devono interfacciare, ossia la propria sessualità e identità sessuale: talvolta, per scopi preventivi, le donne con carcinoma alla mammella subiscono oltre all’operazione al seno o la mastectomia, anche l’asportazione delle ovaie. L’insieme di queste operazione corporee hanno un impatto devastante anche sul mentale (per un approfondimento, si rimanda agli articoli “Oncologia e sessualità femminile – Scoperchiare il vaso di Pandora” e “La malattia oncologica – Il male senza nome” e “Donne e cancro – In guerra con se stesse” ). L’amputazione di parti si Sé tipicamente femminili può portare queste donne ad identificarsi inconsciamente con assetti da combattenti, nella consapevolezza di stare combattendo una lotta contro un nemico mortale, il cancro. Si struttura, dunque, un’emancipazione di queste donne verso aspetti della propria vita precedentemente trascurati. Molte volte sono loro stesse che riferiscono come affrontare il tumore sia stato terribile, ma allo stesso tempo sia stata l’incipit per iniziare a lottare, e riappropriarsi della propria vita, non solo della propria salute.
La pelle, il traghettatore più all’avanguardia di messaggi inconsci. Verso l’amico, la compagna, il nemico, il genitore, o forse l’analista? Il più delle volte in ognuno trova appoggio uno stadio del processo soggettivo di elaborazione. Una sorta di proiezione del proprio senso di frammentazione che non si disgrega fino allo psicoticismo, per i segni che si fanno simbolo permanente. Non è un caso che proprio l’adolescente, nella fase evolutiva in cui il senso interno di continuità vacilla al maremoto di nuove pulsioni, cerca, modificando il proprio corpo, di vedere fuori, disegnato o inciso, il confine del turbinìo emotivo.
Trovo sempre complesso parlare di emozioni, dare una forma concreta ad un “sentire”.
Mi piace definirlo “sentire” e non “provare”, perché le emozioni nascono dalla percezione di uno stimolo esterno ma vengono sentite dentro, prendendo vita in un corpo che ne sperimenta gli effetti. L’emozione è un’esperienza totalizzante, lunga perlopiù qualche attimo soltanto che, attraverso il “sentire” sul corpo, acquista una sua unicità.
Dunkirk – 2017 Syncopy Inc., RatPac-Dune Entertainment, Warner Bros. Pictures. Image courtesy of Warner Bros. Pictures
Un film sulla guerra, non un film di guerra. Un racconto visivo e sonoro, estremamente accurato e attendibile, dei fatti accaduti nei tragici giorni della primavera del 1940. L’esercito britannico, e parte di quello francese, si trovano circondati: davanti a loro l’esercito di Hitler, alle spalle il mare del Canale della Manica. Canale della Manica che separa l’isola dagli eserciti di Hitler e la marina britannica, la più potente al mondo, in grado di impedirgli di passare, tenuta in scacco dal fatto che più di 200 mila soldati sono bloccati in Francia: abbandonarli significherebbe lasciare indifesi i grandi possedimenti coloniali britannici, dall’estremo oriente a gran parte dell’Africa. La sera del 25 maggio il governo britannico prende la sua decisione: l’esercito britannico d’istanza in Francia deve essere evacuato via mare. Per farlo la marina militare fa appello a quella civile, in un disperato tentativo di riportare i propri soldati in patria.
Sono passate ormai 2 ore di lezione, con il professore più noioso dell’istituto scolastico, che in maniera monotona e senza inflessioni vocali o emotive continua a spiegarvi un trattato di una delle materie da voi più odiate. Il vostro livello di sopportazione ormai è a limite, ma sapete che vi attendono ancora altre 2 ore di lezione, obbligatoriamente. Vorreste fuggire dalla classe, ma non c’è via di fuga. Ed eccola lì la soluzione: iniziate a immaginare di trovarvi altrove, in un altro posto, magari di fantasia e in una trama avvincente creata da voi e dove, magari, voi siete gli eroi, e subito, magicamente, la tensione cala e quelle 2 ore interminabili riescono, quasi, a concludersi velocemente.
Vi trovate in una nuova città, magari per motivi lavorativi, da soli, senza nessuno che vi conosce. Per molto tempo fate fatica a fare amicizia con qualcuno e, pian piano, vi sentite angosciati, depressi, per questo forte senso di solitudine nel ritornare nella vostra casa, senza qualcuno ad accogliervi. Decidete allora di accendere la tv o leggere un buon libro o addirittura guardare oltre la finestra e pensare a quella persona incontrata sul bus, al cosa sarebbe successo se…, e via a fantasticare.
Chi è il caregiver? Che ruolo ha e qual’ è la sua funzione? Nel parlare di malattie mentali o fisiche, spesso l’attenzione viene posta principalmente sul soggetto portatore di quel determinato disturbo. Proviamo invece a cambiare prospettiva mettendoci nei panni di chi vive a stretto contatto con una persona sofferente.
Guardando al passato, quando ci si accostava al termine anoressia (per un approfondimento, si rimanda all’articolo “L’anoressia – Dallo svezzamento al rifiuto del cibo”), l’associazione quasi scontata era all’età adolescenziale, intesa come la fase ma anche come “il luogo”, entro cui il disturbo finiva con il convogliarsi massimamente. Di contro, l’osservazione clinica odierna, pur suggerendoci di mantenere ugualmente la guardia alta visto il delicato momento di transizione che l’adolescenza delineerebbe, quasi c’impone di spostare parecchio all’indietro l’esordio di quella che oggi si pone come una delle patologie più gravi e complesse del nostro tempo.
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