“A volte un sigaro è solo un sigaro, ma qualche volta è qualcos’altro” 

affermava Sigmund Freud, padre della psicoanalisi.



Questa espressione permise a Freud di sottolineare come, talvolta, un oggetto reale rappresenti il simbolo di vissuti interni e dinamiche inconsce.

In realtà, il sigaro era per Sigmund un piacevole vizio che lo accompagnava nella vita di tutti i giorni e da cui traeva, secondo necessità, sicurezza e serenità per affrontare dubbi ed incertezze sullo studio della psiche, non solo nell’ambiente accademico e clinico, ma anche nella vita quotidiana.

Chi siamo

IL SIGARO DI FREUD nasce dall’idea di un gruppo di psicologi, di accompagnare i lettori verso una genuina conoscenza della psicologia, raccontando, con onestà intellettuale ed un linguaggio fruibile, spaccati di vita quotidiana, facendo chiarezza su alcuni temi ambigui, sollevando sempre una riflessione critica sul lettore interessato e attento.

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Ultimi articoli

Nuova ossessione
senso di colpa ed innamoramenti

di Ilaria Pellegrini

“È alta tensione ma senza orientamento”.

Così cantano i Subsonica dal 2002.

Da qui vorrei partire per parlare di quando l’ossessione si contrappone al desiderio così da perdere il senso dell’orientamento, ovvero ci allontaniamo da ciò che desideriamo in modo autentico, sostituito da cosa abbiamo bisogno in quel preciso istante, in cui abbiamo fame di una conferma immediata.

In questo senso nelle relazioni andiamo a cercare un legame fusionale permanente che sporadicamente lascia spazio ad una dipendenza sana, ovvero a momenti in cui avviene un ritorno a sé.

Rimanendo sul tema del peccato, tematica che noi del team Il Sigaro di Freud stiamo affrontando in questo mese, vorrei far emergere la tematica del desiderio e di quanto sia importante desiderare piuttosto che aver bisogno nelle relazioni. Insito nella natura umana è aver bisogno dell’altro, di una persona che ci “salvi” dalla solitudine, ma a volte il rischio è rappresentato dal tentativo di distoglierci dal desiderio, un desiderio autentico e profondo. Figurativamente i desideri si posizionano nel punto più alto della scala dei bisogni: sono più specifici e si basano su bisogni già soddisfatti (Maslow, 1950). Reiterare lo stesso comportamento per il soddisfacimento di un bisogno dettato da una impulsività che colma mancanze, sostituisce il desiderio e ci allontana dalla possibilità di desiderare ciò che nel profondo vogliamo.

Il desiderio implica fatica e costruzione invece se ci fossilizziamo sui bisogni più semplici che complessi conduciamo la nostra esistenza a soddisfarli nell’immediato, nascondendo sotto al tappeto le nostre reali esigenze di auto-realizzazione, autenticità, senso di appartenenza e stima di sé. La reale e più autentica stima di sé nasce dal raggiungimento di un desiderio e non dal bisogno immediato di conferme per colmare quel vuoto che abbiamo sperimentato per momenti di deprivazione, negligenza o atteggiamenti di affettività ambigua sperimentata nelle prime relazioni. 

Così, sbandano, ripetiamo nelle relazioni schemi poco funzionali per allontanarci dalle nostre imperfezioni senza la possibilità di poterle accettare. Cerchiamo nell’altro conferme non tanto di ciò che siamo, ma di quello che potremmo essere quindi l’altro viene idealizzato così da possedere per noi caratteristiche che appartengono ad un mondo che possa corrispondere alla parte idealizzata di noi. 

L’altro di cui ci innamoriamo e da cui continuano ad essere legati è perfezione, idealizzazione e corrisponde alla parte di noi che non possiamo raggiungere per non toccare aspetti più intimi; un’intimità ferita costituita da compartimenti poco esplorati, reconditi e fragili. 

Le difficoltà relazionali e ad investire in amori maturi rappresenta una tematica sempre attuale. Tuttora è presente la sensazione di trasgredire se ci allontaniamo da pattern comportamentali conosciuti e tramandati a livello intergenerazionale, perché le esperienze affettive sono ereditabili. 

Il senso di colpa è una tematica legata alla trasgressione in quanto esso nasce dal momento in cui abbiamo la percezione di non rispettare alcune regole imposte e non sono state interiorizzate perché non capite quindi subite. Cedere ad un proprio desiderio può suscitare senso di colpa; si attiva un meccanismo per cui cerchiamo partner che non corrispondano ai nostri desideri reali, ma immaginari per conformarci ad aspettative irrealizzabili imposte, illudendoci di poter raggiungere il partner ideale che diventa ossessione e l’ossessione non fa altro che rappresentare il controllo del nostro reale ed autentico desiderio. A quel punto desiderare il partner ideale è fame, rappresenta un bisogno che dobbiamo soddisfare nell’immediato, alla stregua di una dipendenza non sana e sommersi da un pensiero controllante, invasivo che ci allontana da ciò che desideriamo veramente. Ci allontana dalla possibilità di soddisfare il vero Sè per una vita insieme sana, soddisfacente, direzionata e che ci fa sentire vivi. 

Possiamo sentirci in colpa per non essere perfetti. Questo può portare ad ignorare i nostri bisogni e a non poterli comunicare nella relazione con il partner. Un partner “perfetto”, di cui tendiamo a proteggere quella stessa perfezione che ricorriamo in noi e nell’altro. Si tralascia così la possibilità di poter spazio al nostro essere che può “andar bene così” se siamo disposti ad entrare in contatto con esso e a condividere fragilità, bisogni, emozioni e sensazioni per raggiungere un amore condizionato dalla fatica di essere sé stessi in continua costruzione di un legame solido insieme all’altro/a.

Possiamo dimenticare il partner perfetto ed irraggiungibile e al contempo permettere alle ferite del passato di avere tempo per rimarginarsi.

“Nuova ossessione perché mi trovo spento

Senza illusioni tra facce da dimenticare” (Subsonica, 2002)

Per approfondire:

  • Freud, S. (1920). Al di là del principio del piacere
  • Recalcati, M. (2012). Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione

Dott.ssa Ilaria Pellegrini

Riceve su appuntamento a Pomezia e Roma (zona Piramide)

(+39) 3897972535

ilariapellegrini85@gmail.com

Quanto rumore c’è in un’ eco?
Il corpo tra forma e dissolvenza

di Valentina Merola

Movement of Vaulted Charmbers, Paul Klee 1915

“Quando le parole muoiono, i corpi parlano” (Tom Wooldridge)

Nelle metamorfosi di Ovidio, opera letteraria di grande fama e ispirazione, l’autore a proposito del mito di Narciso introduce la figura di una ninfa, Eco, costretta a ripetere quanto detto dagli altri per via di una maledizione; Eco si esprime mediante una voce priva di spontaneità e intenzionalità. Rinchiusa in un suono senza inclinazioni e forma, quando incontra Narciso, se ne innamora perdutamente, senza riuscire però a comunicargli i suoi sentimenti. Narciso, infastidito dalle parole ridondanti di Eco, la allontana e quest’ultima ferita dal rifiuto dell’amato crolla in un pianto inconsolabile sottraendosi agli impulsi vitali e lasciandosi quindi morire. La ninfa si dissolve, delegando alle valli il compito di propagare la sua voce intrappolata per sempre.

Tale mito con una realistica brutalità dimostra quanto una voce non ascoltata a volte richieda come ultimo sacrificio quello del corpo. Quest’ultimo viene chiamato in causa come portatore di memorie arcaiche espresse mediante le percezioni con l’obiettivo di riscattare qualcosa che si è giocato in un tempo lontano. Spesso durante l’adolescenza, momento della vita largamente sottoposto alle trasformazioni corporee, l’individuo si scontra con la forma di un legame che affonda le sue radici nella dimensione intrauterina. Nelle acque materne infatti l’individuo si sviluppa grazie al nutrimento materno e al quale si aggrappa in virtù di una forte interdipendenza. Ed é proprio alla ricerca di quella prima forma di nutrimento che l’individuo, in un processo inconscio, desidera risalire. Le comunicazioni primarie tra madre e bambino nel periodo della gestazione hanno luogo grazie agli scambi vitali; si tratta di messaggi senza voce, ma carichi di risonanza. Il legame nascente si determina quindi attraverso un processo di echi; in quei momenti si prefigura una partita che ha il rumore dei battiti, ma il peso di una vita intera. Se qualcosa interrompe questo flusso si possono verificare asincronie, la cui causa può essere ricercata incessantemente attraverso la riproduzione di forme che mai corrispondono a quella aspirata. In questo senso il nostro corpo diventa anche il ricettacolo della vita di chi ci ha preceduto; il rapporto con il cibo diviene espressione non solo del bisogno di nutrimento del bambino, ma anche della madre, del suo rapporto con sé stessa e con esso. Il corpo della madre in questi momenti può essere coinvolto da sensazioni vissute come difficili da contenere, troppo pressanti o troppo invadenti.

 Questo intreccio di bisogni diviene caposaldo di una storia che non può considerarsi disancorata dallo strutturarsi primario di un’identità.

 Freud diceva che l’Io è prima di tutto corporeo, attraverso questo abitiamo ed esploriamo il mondo e proprio per questo la matrice corporea racchiude il patrimonio di qualcosa di difficile da mettere in parola ma così echeggiante. Durante l’adolescenza il corpo torna ad essere un elemento primario, una forma di ancoraggio nel percorso identitario. A proposito della forma Paul Klee, nel 1956, scriveva “la forma non è quindi mai e poi mai da considerarsi conclusione, risultato, bensì genesi, divenire, essenza..”, attraverso questa talvolta si cerca una trasformazione esistenziale.

Quando parliamo di disturbi del comportamento alimentare e ci confrontiamo con dei corpi vibranti di un dolore che distrugge la forma, e nel caso dell’anoressia/ bulimia nervosa, chiedendo quasi l’assoluzione attraverso la dissolvenza.  La ricerca di una nuova forma diventa espressione di una ricerca identitaria, che ha lo scopo di riconsiderare le tracce di sviluppo precedenti e di ridefinirne una traiettoria.

 A volte sostare in una dimensione di indefinitezza permette all’individuo di potersi sentire, di potersi vivere dall’interno mediante le sensazioni. Spesso è all’ interno del processo di narrazione di tali sensazioni la possibilità di una nuova forma, fatta di un’affettività scoperta e viva. Il corpo in questo senso può essere mentalizzato in un dialogo tra emisfero destro, emotivo ed intuitivo e quello sinistro, linguistico e analitico, allo scopo di trovare una risinificazione di memorie sensoriali e relazionali all’interno di una storia raccontata.

Il questo senso corpo e mente hanno l’opportunità di scoprire un nuovo dialogo, fatto di comunicazioni primordiali, le stesse che hanno permesso all’Io di percepirsi in primo luogo, come corporeo.

L’ apertura ad un ascolto del corpo diviene il luogo di incontri relazionali, sottoposti a scomposizioni e ridefinizioni, oltre che occasione di nuove regolazioni. Non a caso nell’ambito dei DCA spesso sono chiamate in causa differenti figure professionali con contenitori e focus diversi, che accompagnano il paziente e il contesto familiare nella ridefinizione di una nuova forma. La stessa si può creare attraverso una polifonia risignificata dove la voce del paziente diviene la prima voce nel raccontare affetti vivi e non più un’ eco intrappolato.

Dott.ssa Valentina Merola

Psicologa, riceve a Roma in zona Ostiense e Cipro

email: vale.merola@hotmail.it

Per approfondire:

Lingiardi, V. (2024) Corpo, umano. Einaudi. Torino

Rinaldi, L. (2021) Sul cibo, sul corpo e sul divenire della forma. Anoressia, bulimia e molto altro. Franco Angeli, Milano.

Sento dunque mangio
Correlazione tra alterazione degli stati emotivi e i disturbi alimentari

di Lisa Maccarone

“Forza è riuscire a spezzare a mani nude una barra di cioccolato in quattro − e poi mangiarne un solo quadratino.”

(Judith Viorst)

Talvolta un disturbo alimentare, non viene sempre riconosciuto. Al giorno d’oggi siamo molto più attenti alla nostra alimentazione rispetto ai tempi passati; abbiamo un’alimentazione controllata, siamo spesso seguiti da un professionista della nutrizione ma tante volte, molti di noi ammettono che quando siamo profondamente tristi o che quando siamo particolarmente stressati, riversiamo tutti i nostri problemi nel cibo, o perdendo il controllo e quindi iper-alimentandoci oppure al contrario, si chiude lo stomaco e non riusciamo a mangiare nulla.  

La funzione psicologica della musica nel Carnevale
Il ritmo che unisce, libera e trasforma

di Dario Maggipinto

È ormai alle porte una delle tradizioni più antiche e coinvolgenti che la nostra civiltà ha ereditato dal passato, il Carnevale, che trova la sua conclusione nel Martedì Grasso. In questo periodo dell’anno è possibile ritrovare in Italia tantissime città e paesi in festa, come Venezia, Viareggio e Putignano, che coinvolgono ogni cittadino nella riuscita dell’evento, che in realtà è un vero e proprio rito di passaggio.

La prima riflessione psicologica che ognuno di noi può avere intorno al carnevale è sulla funzione della maschera, ma in questo articolo vorrei invece soffermarmi sulla funzione che ha la musica in questo antico rito.

Carnevale di Putignano 2025 – Foto tratta da Giornale di Puglia

Nascere Genitori
“L’albero delle noci” di Brunori Sas

di Emanuela Gamba

16.02.2025 – Si è appena conclusa la 75° edizione del Festival di Sanremo. Come ogni anno, non mi attivano le polemiche da circo mediatico, ma i temi culturali, sociali e psicologici che su quel palco di consueto vengono raccontati – o intenzionalmente offuscati – nei discorsi e nelle canzoni. Mi scuote perlopiù la presenza o l’assenza della buona musica e delle parole necessarie.

Non volendo puntare il binocolone su ciò che questo Festival non è stato in termini di progresso e di inclusività (è un’amarezza da digerire), all’alba dell’ultimo sole della settimana santa sanremese, scelgo di raccontare un momento magico di questi giorni e necessario per me: sentire viva nella musica e nelle parole di un grande artista l’emozione di nascere genitore.

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