Oggi volevo parlarvi di un fenomeno di cui mi occupo da qualche tempo e che attualmente sta prendendo piede anche in Italia.
Il termine hikikomori, che significa isolarsi/ritiarsi/chiudersi, fu coniato dallo psichiatra Saito Tamaki negli anni ’80, periodo in cui la comunità scientifica giapponese iniziò a registrare i primi casi di questo fenomeno ( per un maggior approfondimento si rimanda agli articoli
“Nessun archetipo è riducibile a semplici formule. L’archetipo è come un vaso che non si può svuotare né riempire mai completamente. In sé, esiste solo in potenza, e quando prende forma in una determinata materia, non è più lo stesso di prima. Esso persiste attraverso i millenni ed esige tuttavia sempre nuove interpretazioni. Gli archetipi sono elementi incrollabili dell’inconscio, ma cambiano forma continuamente“.
Buio o luce. Ragione o sentimento. Introversione o estroversione. Aspetti, questi, che (evidentemente) viaggiano in direzione contrapposta; dicotomie di cui, ciascuno di noi, sceglie l’estremo che più gli appartiene e dentro cui sostare, poiché più confacente alla propria natura. Sono dimensioni che, nelle nostre esistenze, finiscono molte volte con l’essere polarizzate, poiché parti integranti delle rispettive inclinazioni di base. Sono parole che contengono e condensano un’essenza, che tracciano un ritratto seppur appena abbozzato di noi e delineano confini. Parole che raccontano mondi e modi di essere spesso in antitesi fra loro. Ma a ben guardare, nel profondo della nostra psiche, difficilmente il tutto possiede caratteri così netti.
Nella prima puntata della terza stagione di Black Mirror “Nosedive”, la sorridente Lacie vive in un mondo in cui ogni interazione sociale è soggetta ad un’immediata e normale valutazione da parte del prossimo. Ad ogni individuo corrisponde una scala di valori che va da una a cinque stelle. La media delle valutazioni ricevute continuamente restituisce un valore che definisce ogni persona nella società, nelle sue possibilità economiche, nel suo accesso ai servizi essenziali (sanità, accesso a determinati quartieri, utilizzo dei trasporti pubblici, ma non solo). Dall’alto del suo rassicurante 4.2, Lacie coltiva in ogni secondo della giornata una certa definizione di sé rispetto al mondo che la circonda, aspirando a salire sempre più nel gradimento. Emerge chiara, all’interno di questo episodio, la totale mancanza di spontaneità dei personaggi, focalizzati totalmente nella costruzione di un Sé sociale, ossia una maschera che possa renderli popolari e desiderabili (si rimanda all’articolo L’autenticità – L’arte di essere liberamente sè). La ricerca spasmodica della popolarità, o dell’essere attraente da un punto di vista superficiale viene spesso confusa come la risposta rispetto alla ricerca di qualcuno che possa amarci incondizionatamente, che finalmente ci possa accogliere nelle proprie braccia, nonostante i nostri difetti, che sono stati ben nascosti da maschere di facciata, maschere di muscoli o di chirurgia plastica.
Vilayanur S. Ramachandra ha detto: “I neuroni specchio saranno per la psicologia quello che il DNA è stato per la biologia”. Lo scienziato indiano aveva ragione. La scoperta fondamentale di Giacomo Rizzolatti, neuroscienziato alla guida del CNR di Parma, che nel 1992 ha coordinato il pool di ricerca che ha scoperto l’esistenza dei neuroni specchio all’interno della corteccia motoria, ha permesso di spiegare a livello neurologico il meccanismo dell’empatia. Questa particolare classe di cellule nervose, denominate neuroni specchio, sono in grado di attivarsi per imitazione, quando osserviamo qualcuno compiere un gesto, riflettendo, come uno specchio appunto, ciò che “vedono” nel cervello altrui.
Il gruppo di Rizzolatti non si è fermato qui. Hanno utilizzato come stimolo delle sculture classiche greche e le hanno modificate mediante l’applicazione di un algoritmo che ha variato l’equilibrio delle loro misure perfette. Le due tipologie di immagini sono state mostrate a un gruppo di volontari, e sono state osservate le loro reazioni cerebrali grazie alla risonanza magnetica funzionale.
Pomeriggio assolato a Milano, i raggi filtrano e, seppur flebili, si affacciano timidi e tentano di riscaldare l’enorme fila di persone che aspettano fuori. Siamo al Mudec; in una fila rumorosamente allegra di almeno 90 minuti per vedere la tanto celebrata mostra di Frida Kahlo.
Si lei, sta tenendo in fila centinaia di persone tutti i fine settimana; richiamate da quel fascino intrigante e enigmatico che avvolge la figura dell’artista e delle sue opere (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo “Arte al femminile e trauma – Frida, Camille e Artemisia”)..
E se potessimo conoscere fin dall’inizio l’esatta durata di ogni relazione intima che intraprendiamo? Se potessimo davvero sapere quanto tempo abbiamo a disposizione prima che pensieri aspettative e stili di vita risultino incompatibili e ci allontanino dal partner? Se potessimo evitare il momento del conflitto, che nella maggior parte dei casi ci porta a dover sfoderare le armi per ferire o a leccarci le ferite subite?
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