Giorno: 11 Giugno 2016

Adolescenza. La crisi fisiologica

“A volte uno si sente incompleto ed è soltanto giovane”

Italo Calvino

Ho riflettuto molto sulla scelta del tema di quest’ultimo articolo prima delle vacanze estive, e forse a causa dell’abbuffata di vitamina D grazie al sole di questi giorni, mi è venuto da pensare “bando alla patologia, voglio parlare di normalità”. Che poi sul termine normalità si potrebbe disquisire probabilmente senza mai giungere ad un punto, ma in questo preciso contesto consideriamo normalità come assenza di patologie conclamate: sanità insomma. Per quanto i termini normalità e sanità vicini possano somigliare più ad un ossimoro. Diciamo insomma, senza dilungarci troppo, che questo sarà un articolo che con leggerezza cercherà di fare il punto sulla fase della vita più complicata e da sempre oggetto di studio, dibattito, interesse: l’adolescenza.

L’adolescenza è un periodo della vita che si colloca in continuum con l’infanzia (0-10 anni) e la pre-adolescenza (11-14 anni) e prima dell’età adulta, che è sempre stata fatta coincidere con i 18 anni, la maggiore età, l’età in cui si può prendere la patente, l’età in cui si termina (nella maggior parte dei casi) la scuola superiore, l’età in cui ci si affaccia sul mondo esterno.

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Ricorda che dimenticherai
O “sulla triste convinzione che ci porta a credere di essere macchine fotografiche”

Che cos’è un ricordo? 

Proust ha risposto a questa domanda col libro più lungo del mondo.

“E’ quello che hai o che hai perduto per sempre?” Si chiedeva Woody Allen in uno dei suoi film.

Guicciardini intitola “Ricòrdi” la sua raccolta di riflessioni su quanto sia difficile trovare l’unità nel molteplice della vita e, più in generale, della storia.

Cosa accomuna questi tre personaggi? Forse il fatto che, probabilmente, c’hanno preso. La psicologia definisce il ricordo appellandosi a tutte le caratteristiche che Guicciardini, Proust e Allen hanno individuato.

I primi studi sulla memoria risalgono ad Ebbinghaus, filosofo ed uomo di scienza del milleottocento, che per primo tentò di studiare la memoria in maniera sistematica e controllata. L’esperimento a cui si sottopose fu molto semplice: memorizzare una lista di sillabe e vedere, a distanza di tempo sempre maggiore, quante di queste fossero rimaste in memoria e quante, invece, fossero andate perdute. Insomma, un esperimento a metà tra la lista della spesa che compili ma che dimentichi a casa e i giochini di gruppo che si fanno agli scout.

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La fobia vissuta in coppia
Legami di ansia

Foto di ErikaWittlieb da Pixabay

Marco è entrato per la prima volta a studio tremando. Aveva dovuto necessariamente prendere l’autobus per venire alla sua prima seduta e questo lo aveva scosso non poco, anche perché il suo problema, usando le sue stesse parole, “sono i mezzi di trasporto”. “Non riesco più a prenderli”, continuava, “un tempo ci riuscivo benissimo, ma adesso appena chiudono le porte mi sento intrappolato e vorrei solo scappare. Le persone intorno a me rappresentano ostacoli per una via di fuga che, una volta che le porte vengono chiuse, mi è preclusa. Ho soprattutto paura che la gente si accorga del mio stato d’animo e che io possa svenire o piangere di fronte a tutti”. In un primo momento nella mia testa frullavano tre concetti: claustrofobia, paura del giudizio e timore di perdere il controllo.

Ormai è un po’ di tempo che ci incontriamo con Marco e di cose che spiegherebbero il suo malessere ne sono uscite fuori durante i colloqui, ma una in particolare mi ha colpito: il fastidio che prova la compagna di Marco di fronte al suo malessere. Egli non riesce a capire come la sua ragazza, “con la quale c’è stata sempre un’intesa su tutto, non riesca non solo a capire il mio disagio, ma nemmeno ad accettarlo”.

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La malattia oncologica
Il male senza nome

La malattia oncologica nel nostro paese risulta essere sempre più diffusa, affrontala non è facile come non è facile affrontare l’intervento e le successive terapie. Molti lo chiamano il male del secolo, altri hanno addirittura paura di nominarlo…il male senza nome.

Alcune delle mie pazienti raccontano che la cosa più dolorosa da affrontare, ancora più dolorosa e distruttiva della diagnosi, è il modificarsi delle relazione con parenti e amici. Nel giro di pochi secondi si passa da uno status di persona come tante altre, ad uno di malato.

L’intervento chirurgico, per quanto moderno e all’avanguardia modifica in modo invasivo parti del corpo, portando un disconoscimento di sé. Un sé difficile da tenere integro, anche perché influenzato dall’immagine sociale che gli altri hanno: l’eventuale mutilazione causata dall’intervento, può influire su ciò che gli altri pensano del malato e questo può portare un senso di vergogna che spinge verso l’isolamento e la solitudine.

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Il potere magico della musica
Dal mito all’uomo moderno

Donne e Violino, n.177, cm. 75 x 101 semi-gloss su tela

Il rapporto tra la musica e la cura dell’anima, del corpo e della psiche è da sempre esistito. Nella mitologia spessissimo la musica è considerata magica e portatrice di grandi poteri. Orfeo, semidio prediletto di Apollo (in alcune versioni presentato come suo figlio), riceve in dono da lui l’arte della musica. Orfeo così, diventa padrone di un potere musicale ed è in grado di stravolgere con la sua musica il normale corso degli eventi: smuove le pietre, persuade le fiere rendendole docili,  induce gli alberi a seguirlo ed è in grado di curare il corpo e l’animo dei malati e di richiamare alla vita i morti. Grazie a questa straordinaria potenza magica della musica riesce a ristabilire un equilibrio con le forze oscure che trattengono Euridice, la sua amata, negli inferi e a riportarla in vita, ma ad un patto: non dovrà né guardarla né toccarla finché non avrà raggiunto la luce del sole e se si volterà la perderà  per sempre. Orfeo non resiste alla tentazione ed Euridice torna negli inferi.

Questo mito esprime chiaramente il potere insito nella musica, paragonando i musicisti a entità vicine al divino e ci permette di comprendere quanto con la musica possiamo prenderci cura di noi stessi.

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Il diritto di amare. Un viaggio nella legge sulle Unioni Civili

Sono passati ben 27 anni da quando la Danimarca, nel lontano 1989, è diventata il primo paese a permettere ad una coppia omosessuale di ufficializzare la propria relazione di coppia, con diritti simili a quelli del matrimonio; la Danimarca è stata l’apripista, poi molti altri paesi occidentali hanno riconosciuto le unioni tra persone dello stesso sesso. E non solo occidentali: anche paesi come Uruguay (2008), Ecuador (2008), Colombia (2006), Sud Africa (2004) e Nuova Zelanda (2004) hanno riconosciuto questo diritto molti anni prima dell’Italia.

Questa legge sulle Unioni Civili si fonda sull’articolo 2 (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”) e sull’articolo 3 della Costituzione (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”). NON si fonda invece sull’articolo 29, cioè quello che “riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. Un’altra differenza importante tra unione civile e matrimonio sta nella COSTITUZIONE di un’unione civile rispetto alla CELEBRAZIONE di un matrimonio. L’unione civile si costituisce, il matrimonio si celebra. Queste differenze non sono irrilevanti, tuttavia questa legge rappresenta comunque un passo in avanti rispetto al disegno di legge dei DICO (che erano una mera “registrazione” dell’unione) in quanto le conseguenze legislative dell’unione civile sono più o meno le stesse del matrimonio.

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La Sindrome di Asperger
L’arte speciale di comunicare un bisogno celato

L’arte rappresenta un veicolo indispensabile alla nostra crescita personale. In ogni sua forma ci permette di entrare inconsapevolmente in contatto con la dimensione sconosciuta dell’altro, nella profondità di un sentimento, di un vissuto, anche di un malessere fino a quel momento estraneo a noi.  L’arte non è un quadro di Van Gogh: l’arte è quella sensazione che ci pervade vedendo per la prima un quadro di Van Gogh. È il vissuto dell’artista; è il nostro.

Ogni forma d’arte ci dona la possibilità di costruire nostre, uniche percezioni sul mondo, immergendoci in realtà impossibili da percepire altrimenti senza essere l’altro. In sintesi, ci rende ricchi.

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It Follows
Quando il male cammina con te

Jay è un’adolescente che si affaccia alla vita, non è più una bambina, non è ancora un’adulta. È come un germoglio delicato, su cui il sole non si è ancora posato del tutto. Muove i suoi primi passi nel mondo, sperimentando nuove relazioni, e ovviamente, il primo innamoramento. E il sesso, per la prima volta. Hug sembra gentile, anche se ha qualcosa di strano, come quando le chiede di andare via dal cinema perché una donna lo sta fissando, una donna che Jay non riesce a vedere. Probabilmente Jay aveva immaginato la sua prima volta in molti modi, forse sul sedile posteriore dell’auto di Hug, ma, verosimilmente, non aveva pensato di essere sedata con del cloroformio e di essere legata con del nastro adesivo ad una sedia da ufficio.

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