Le fiabe in psicoanalisi, I musicanti di Brema

I fratelli Grimm, tramite questa interessante fiaba aprono la possibilità di riflettere su vari temi che a mio avviso oggi sono modernissimi: a partire dal cercare di essere sé stessi, alla possibilità di realizzare i propri sogni e al coraggio di cambiare. (per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo La funzione psicologica della fiaba – Il regno del proprio inconscio).

Il racconto vede come protagonisti un asino, un cane, un gatto e un gallo. L’asino ormai vecchio, capì le cattive intenzioni del suo padrone, che voleva macellarlo, e così pensò di scappare e di cominciare a fare il musicante. Sulla strada incontrò prima il cane, poi il gatto e infine il gallo, tutti nelle stesse condizioni. I quattro giunsero a sera nel bosco e lì videro una piccola casa dove c’erano dei briganti. L’asino dalla finestra vide la tavola imbandita.

Avevano fame e dunque architettarono un piano: l’asino poggiò le sue zampe anteriori sul davanzale, il cane salì su di lui, il gatto si arrampicò sul cane e il gatto si posò sulla testa del gatto. Al segnale ognuno di loro fece il proprio verso e spaventarono i briganti che scapparono subito nel bosco. I quattro entrarono in casa e si rifocillarono, spensero la luce e si coricarono. Al ritorno di uno dei briganti, il gatto lo graffiò, il cane lo azzannò, l’asino gli tirò un calcio e il gallo fece forte il suo verso. Il brigante fuggì e disse al suo compagno che la casa era infestata dai fantasmi. Così quella casa diventò la felice dimora dei musicanti di Brema.

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Psicologia di Babbo Natale
La magia della fiaba natalizia

Ci siamo quasi… Babbo Natale sta per arrivare! Nelle scuole, tra i bambini si respira fortemente questa magica atmosfera, sono tutti in trepidante attesa e qualcuno l’ha già incontrato per le strade…

Una bambina, contentissima mi ha detto “maestra, maestra!! Lo sai che io ne ho visti due! Anche l’elfo!!!” … e in un altro momento altri due parlavano tra loro e discutevano su come inviare la letterina a Babbo Natale: una raccontava di averla già spedita in una cassetta della posta propria di Babbo Natale, l’atro sosteneva che non bisognava spedirla e che non ce n’era bisogno. E così mi hanno interpellata, chiedendomi come bisognava fare e chi dei due avesse ragione… voi che avreste risposto?

I bambini vivono intensamente l’attesa; sanno che presto arriverà, con il suo vestito rosso e il suo gran pancione scenderà dalla canna fumaria del camino e lascerà i doni che i bambini hanno tanto desiderato.

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Il potere magico della musica
Dal mito all’uomo moderno

Donne e Violino, n.177, cm. 75 x 101 semi-gloss su tela

Il rapporto tra la musica e la cura dell’anima, del corpo e della psiche è da sempre esistito. Nella mitologia spessissimo la musica è considerata magica e portatrice di grandi poteri. Orfeo, semidio prediletto di Apollo (in alcune versioni presentato come suo figlio), riceve in dono da lui l’arte della musica. Orfeo così, diventa padrone di un potere musicale ed è in grado di stravolgere con la sua musica il normale corso degli eventi: smuove le pietre, persuade le fiere rendendole docili,  induce gli alberi a seguirlo ed è in grado di curare il corpo e l’animo dei malati e di richiamare alla vita i morti. Grazie a questa straordinaria potenza magica della musica riesce a ristabilire un equilibrio con le forze oscure che trattengono Euridice, la sua amata, negli inferi e a riportarla in vita, ma ad un patto: non dovrà né guardarla né toccarla finché non avrà raggiunto la luce del sole e se si volterà la perderà  per sempre. Orfeo non resiste alla tentazione ed Euridice torna negli inferi.

Questo mito esprime chiaramente il potere insito nella musica, paragonando i musicisti a entità vicine al divino e ci permette di comprendere quanto con la musica possiamo prenderci cura di noi stessi.

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Le fiabe in psicoanalisi
Jack ed il fagiolo magico

In una casetta di pietra vivevano, molti e poi molti anni fa, una povera vedova e il suo unico figlio, che si chiamava Jack. Non possedevano che una mucca. La mucca dava loro ogni giorno una certa quantità di latte, e con la vendita del latte i due campavano, seppure miseramente.Ma la mucca invecchiava, e allora la vedova l’affidò al figlio perché la portasse al mercato, dove avrebbe potuto venderla.

(Per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo La funzione psicologica della fiaba – Il regno del proprio inconscio)

La fiaba di Jack e il fagiolo magico introduce uno stadio del bambino ben preciso. Descrive come in passato viveva una coppia madre-bambino, dove l’unico bene posseduto era una mucca, rimandando alla relazione simbiotica dell’allattamento madre-bambino. La fiaba di Jack e il fagiolo magico è prettamente rivolta al genere maschile anche se, come tutte le fiabe, ogni bambino può identificarsi in vari personaggi della fiaba per poter elaborare determinate dinamiche inconsce. In questo caso, la fiaba descrive come il bambino debba attraversare varie fasi per diventare un vero uomo. La storia inizia dunque dalla necessità di superare la fase orale, ossia quella fase paradisiaca dove il bambino sente soddisfati tutti i suoi bisogni, dipendendo dalla madre. La mucca, allegoria della madre che allatta, è invecchiata e non dà più latte (rimandando allo svezzamento), pertanto il bambino si trova ad entrare in una nuova fase della propria vita, dove può contare soltanto su sé stesso e sul proprio corpo per il soddisfacimento dei propri bisogni, segnando la fine dell’infanzia (uscire fuori di casa).

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L’orientamento e la navigazione. Il mito delle differenze di genere

M. C. Escher, Relativity – 1936 Collezione privata

Gli uomini hanno una capacità di orientamento nello spazio superiore a quella femminile? “Mia moglie non ha alcun senso dell’orientamento, per questo guido sempre io…” Questo è quello che le dicerie comuni affermano da tempo ma, prima di svelare se il mito corrisponde a verità, facciamo un passo indietro: cosa vuol dire orientarsi nello spazio?

Gli esseri umani hanno la facoltà di imparare e ricordare le informazioni sulle relazioni spaziali nel mondo ai fini dell’adattamento. Immaginiamo quanto fosse importante sviluppare questa capacità quando non esistevano strade o mappe che ci aiutassero a tornare a casa. Gli individui percepiscono informazioni direttamente dall’ambiente e si orientano in esso, aggiornando continuamente il loro rapporto con gli oggetti che li circondano mentre si muovono nello spazio, integrando le informazioni da diverse prospettive per fornire un senso di spazio unificato. L’abilità degli umani ad apprendere e manipolare l’informazione spaziale ha ricevuto negli anni sempre più attenzione e oggi sappiamo che esistono due modi in cui gli esseri umani acquisiscono e usano l’informazione spaziale: attraverso un apprendimento primario e uno secondario. L’apprendimento primario (cioè diretto) si ha quando l’individuo interagisce direttamente con l’ambiente circostante, creando un senso di spazio vicino, rispetto al quale può agire direttamente.

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Il vero senso delle fiabe. Cappuccetto Rosso in Psicoanalisi

 “C’era una volta una dolce bimbetta; solo a vederla le volevan tutti bene, e specialmente la nonna che non sapeva più che cosa regalarle. Una volta le regalò un cappuccetto di velluto rosso, e poiché‚ le donava tanto, ed ella non voleva portare altro, la chiamarono sempre Cappuccetto Rosso. Un giorno sua madre le disse: “Vieni, Cappuccetto Rosso, eccoti un pezzo di focaccia e una bottiglia di vino, portali alla nonna; è debole e malata e si ristorerà. Sii gentile, salutala per me, e va’ da brava senza uscire di strada, se no cadi, rompi la bottiglia e la nonna resta a mani vuote. (…)”

(Per un maggior approfondimento si rimanda all’articolo La funzione psicologica della fiaba – Il regno del proprio inconscio)

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Infanzie sottratte. Il prezzo di un’educazione violenta

Succede che, se un bambino subìsce violenza, di qualunque genere essa sia, egli è costretto a bandire quell’esperienza traumatica dalla propria coscienza, gettandone il ricordo nel posto più lontano che può (per un approfondimento si rimanda all’articolo Dissociazione e trauma – Come se non fosse mai accaduto), così da garantir-si quantomeno una pseudo – sopravvivenza psichica. Si, perché in fondo, ciascuno fa quel che può. Figurarsi un bambino. E quando i responsabili di quell’ abuso più o meno tacito (per un approfondimento si rimanda all’articolo Le possibili conseguenze di un abuso – Mi fido di te?) sono coloro che dovrebbero essere quei (potenziali) garanti di un’infanzia felice, ecco che tutto, nella vita e nella mente dell’infante, si complica, tanto che sarà chiamato a trovare una qualche soluzione che gli consenta di amare ancora i propri genitori. Nonostante tutto.

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La funzione psicologica della fiaba. Il regno del proprio inconscio

“C’era una volta, tanto tanto tempo fa, un regno…”

Ogni bambino, nel proprio percorso di crescita, si ritrova ad affrontare angosce e fantasie relative alla propria fase di sviluppo, superando delusioni narcisistiche, dilemmi edipici, rivalità fraterne, dipendenze infantili, conseguendo una propria individualità, un proprio valore ed un proprio senso morale, effettuando dunque quel passaggio necessario da identità unicamente famigliare (dove la propria identità è data in relazione al sistema famigliare) ad un’identità individuale (dove la propria identità è autocostituita). Attraverso i secoli, durante i quali, con le successive rielaborazioni, diventarono sempre più raffinate, le fiabe finirono per trasmettere nello stesso tempo significati palesi e velati, finirono cioè per parlare simultaneamente a tutti i livelli della personalità umana. La fiaba si occupa, infatti, di problemi umani universali, soprattutto di quelli che preoccupano la mente del bambino, e quindi parlano del suo Io in sviluppo e ne incoraggiano la crescita, placando nel contempo pressioni consce ed inconsce. Il bambino può giungere alla conoscenza ed alla capacità di conoscere se stesso non attraverso una comprensione razionale della natura e dei contenuti inconsci, ma familiarizzandosi con esso, effettuando sogni ad occhi aperti: riflettendo, fantasticando e rielaborando intorno ad adeguati elementi narrativi in risposta a determinate pressioni inconsce. 

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“Star Wars: Il risveglio della Forza”
Il cinema e l’eredità del mito, tra eroi, spade laser e archetipi junghiani

Star Wars the force awakens – 2015 Lucasfilm, Bad Robot Productions Distribuzione Walt Disney Studios
Image courtesy of Walt Disney Distribution

“Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…” è questo l’incipit di ogni episodio della saga di Star Wars, il cui settimo capitolo “Il risveglio della Forza”, è uscito nelle sale italiane lo scorso dicembre. Sono passati trent’anni dalla battaglia di Endor e dalla distruzione della seconda Morte Nera, e l’eroe della saga, Luke Skywalker, è scomparso.

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Il Narcisismo. L’arresto della capacità di amare

Narra il mito che Narciso fosse un giovane di bellezza tanto dolce e raffinata che tutte le persone lo rimiravano e si innamoravano di lui, fossero esse uomini o donne. Ma Narciso rifuggiva ogni attenzione amorosa, fino a che un giorno non incontrò e si innamorò della propria immagine riflessa in uno stagno e, non consapevole di avere di fronte se stesso, anelando un abbraccio dalla sua stessa immagine, si tuffò e morì annegato.

L’eredità del mito ha fatto sì che secondo il senso comune il narcisista sia appunto una persona innamorata di sé, autocentrata, persino egoista. Ancor di più, i teorici contemporanei hanno azzardato definendo il periodo storico che stiamo vivendo, in particolar modo nella nostra civiltà occidentale, l’ “era del narcisismo”. La ricerca del successo a tutti i costi (per un approfondimento si rimanda all’articolo “Vado al massimo – Il narcisismo dei nostri tempi” sulla rivista di Febbraio 2015), l’individualismo, l’agguerrita competizione in campo lavorativo, la profonda crisi economica (e dei valori) … fanno sì che l’individuo si focalizzi eccessivamente sul presente perdendo coscienza storica e progettualità futura nel lungo termine.

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