Infanzie sottratte. Il prezzo di un’educazione violenta

Succede che, se un bambino subìsce violenza, di qualunque genere essa sia, egli è costretto a bandire quell’esperienza traumatica dalla propria coscienza, gettandone il ricordo nel posto più lontano che può (per un approfondimento si rimanda all’articolo Dissociazione e trauma – Come se non fosse mai accaduto), così da garantir-si quantomeno una pseudo – sopravvivenza psichica. Si, perché in fondo, ciascuno fa quel che può. Figurarsi un bambino. E quando i responsabili di quell’ abuso più o meno tacito (per un approfondimento si rimanda all’articolo Le possibili conseguenze di un abuso – Mi fido di te?) sono coloro che dovrebbero essere quei (potenziali) garanti di un’infanzia felice, ecco che tutto, nella vita e nella mente dell’infante, si complica, tanto che sarà chiamato a trovare una qualche soluzione che gli consenta di amare ancora i propri genitori. Nonostante tutto.

Il rischio è forse quello di enunciare ovvietà – chissà che sia così per i più – ma ciononostante preferisco correrlo tutto sottolineando ancora come esistano in realtà svariate modalità di comportamento e/o contesti definibili come violenti a poter fare da sfondo alla crescita di un bambino: si tratta di forme di violenza psicologica che possono essere tranquillamente equiparate agli episodi di violenza fisica a noi tristemente noti. Anche in essi, l’oltraggio di quelle povere creature si fa altrettanto subdolo, intimo e indelebile,  tanto  da  insediarsi  eternamente  in  fondo alle loro  anime. Fra queste forme violente  e   traumatiche                 

insinuanti nell’infanzia – molto spesso perpetrate nel contesto familiare – troviamo tutte quelle comunicazioni dal carattere ambiguo farcite di menzogne, silenzi condiscendenti, sottili ricatti affettivi, mortificazioni. Il complesso di queste comunicazioni confusive ha e avrà degli effetti inesorabili non solo sulla psiche di quel bambino, ma anche su quello che sarà l’adulto di domani. Oggi vorrei sottoporvi il punto di vista forte e in qualche modo singolare della psicoanalista Alice Miller, una vera e propria voce fuori dal coro, che ha fatto della lotta contro l’educazione violenta nell’infanzia una delle sue maggiori cause di sempre. Per la Miller la radice di tali comunicazioni falsate e distorcenti risiede nella morale cristiana e nella Pedagogia nera, entrambe colpevoli di aver condizionato le coscienze circa l’idea educativa da impartire ai figli; un’educazione intrisa di silenzi, percosse, punizioni corporali e non, di presenze che si fanno assenze, di bugie elargite gratuitamente, allo scopo di piegarli all’obbedienza e al rispetto genitoriale. In fondo a questa sorta di legittimazione della violenza educativa fortificatasi nel tempo, sta il convincimento che il rispetto del quarto comandamento, anch’esso bistrattato dalla Miller, (“onora il padre e la madre”), debba regnare sovrano, anche laddove a fornire un modello di educazione decisamente deviato siano proprio i genitori di quegli stessi figli. La Miller, pian piano prende anche le distanze dalla psicoanalisi, rea di trincerarsi dietro ai suoi saldi dogmi e di rammentare a quel suo ipotetico paziente la necessità del perdono genitoriale, quasi quello fosse una condizio sine qua non indispensabile al processo di guarigione terapeutico.

Intanto, il bambino che subisce un’educazione violenta dai genitori, lentamente si persuade di avere in qualche modo meritato, coi propri atteggiamenti, quel dato trattamento, e lo fa a tal punto che quel convincimento si instilla nella profondità della sua mente come fosse la sola verità possibile. E’ il presupposto, secondo l’autrice, che realizzerà le giustificazioni e le ri – attuazioni di educazioni violente del domani, come se le vecchie vittime di un tempo si fossero tramutate in carnefici, effetto dell’inevitabile caduta nella diabolica spirale della violenza che genera attorno a sé altra violenza. Ma un bambino che abbia subìto tutto ciò, non può certo permettersi di ricordare vividamente quegli episodi traumatici: pertanto, allo scopo di proteggersi dalla disintegrazione psichica, mette in atto l’amnesia (o rimozione) come principale strumento di auto – difesa da quei contenuti così violenti, evitando-si di far riaffiorare verità estremamente scomode da cui non riuscirebbe a ripararsi a sufficienza coi suoi fragili strumenti interni, ancora tutti in via di formazione. Ma qual è il prezzo da pagare per questa rimozione del trauma, tanto necessaria quanto salvifica? Che costo ha per quel bambino lo sgombero e la feroce negazione di quel dolore, rimasto totalmente inascoltato, senza che potesse trovare una qualche forma di accoglimento che gliene conferisse finalmente un senso? E’ presto detto: in un clima dominato dalla finzione di un’educazione rigida e anaffettiva, fatta di sole regole piuttosto che di un ascolto reale e senza giudizio, ciò che il bambino perde inesorabilmente è la parte più vitale e creativa del Sè, così come la capacità di entrare in contatto con la propria realtà emotiva, rispetto alla quale certi genitori in primis sembrerebbero tanto sordi quanto ciechi, finendo col rimandare e consegnare al bambino un triste vissuto di inautenticità. Quel mondo interno fatto di puri affetti è così imprigionato e al piccolo non resta che occultarlo in toto dietro ai mezzi di difesa che possiede (per un approfondimento si rimanda agli articoli Il Falso Sé – Sul sentimento di autenticità e I meccanismi di difesa – Quei garanti della sopravvivenza) . Eppure, il complesso delle emozioni scisse, represse o negate, mantiene comunque una propria memoria storica, che si inscrive nel corpo: se cioè la mente cede all’auto – inganno, il soma si appella alla persona nel disperato tentativo di lanciarle un messaggio molto spesso lasciato silente dalla mente, come se attraverso i suoi sintomi e la sua malattia quel corpo gridasse al complotto anziché piegarsi dinanzi alla morsa della finzione cui la psiche s’è abituata, tacendo ogni sua più autentica emozione (per un approfondimento si rimanda all’articolo Il boomerang delle emozioni – Viverle o evitarle) . Pertanto, nel rispetto della propria verità, il corpo cerca vendetta e a dispetto della negazione dei traumi subìti lasciati inascoltati, risponde ribellandosi a questo stato di cose. In questa accezione, è chiaro che ogni forma di malessere fisico e psichico, o somatizzazione che sia, assume il senso di un deciso tentativo di sabotaggio di quell’auto – inganno indotto, teso cioè al superamento della barriera della finzione, come a suggerire un confronto autentico e doveroso fra quel bambino rimasto inascoltato e le sue emozioni di un tempo, che, una volta disvelatesi, gli restituiscano finalmente un senso, dando voce al sordo dolore dell’infanzia, dimenticato sul fondo. Solo così, secondo la Miller, il corpo potrà liberarsi una volta per tutte dei sintomi di cui si è ricoperto e circondato, riprendendosi, intatta, quell’autenticità vitale di cui quel bambino era stato decurtato, e che aveva dovuto barattare nascondendola dietro alla maschera di un amore parentale puro e incondizionato.

Spero di aver così raggiunto l’intento di questa mia riflessione condivisa con voi lettori, che vuole cioè essere quello di suggerire la massima attenzione alle interazioni fra il bambino e le sue figure di accudimento primario, affinché quei precoci scambi così preziosi possano favorire sin da subito nell’infante il contatto vero e diretto con la propria ed altrui sfera emotiva, facendogli dono della propria autenticità e insegnandogli ad accoglierla pienamente e a mostrarla senza paura alcuna.

Dott.ssa Carmela Lucia Marafioti

Riceve su appuntamento a Larino (CB)
(+39) 327 8526673

cl.marafioti@hotmail.com

Per approfondire:

Miller A. Il risveglio di Eva – Come superare la cecità emotiva. Raffaello Cortina, Milano, 2002

Miller A. La rivolta del corpo – I danni di un’educazione violenta. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2005

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