Lascia o raddoppia. Come affrontare un problema?

Gediminas Pranckevi – Autum

“Ho la febbre…mi bombardo di tachipirina…domani non posso assolutamente saltare quell’appuntamento”. Quante volte vi è capitato di pronunciare questa frase? Quante volte avete guardato con terrore il termometro e pensato immediatamente agli impegni che proprio non avreste potuto rimandare? Senza dubbio ognuno ha i suoi ottimi motivi per sperare di non dover rimandare determinati impegni. Per sperare di non dover passare due giorni a casa sotto le coperte piuttosto che in ufficio a sbrigare quella pratica importantissima e più che urgente, la cui scadenza risuona ormai come l’ultimo rintocco della mezzanotte fatale per Cenerentola. Speriamo di non essere costretti a perdere tempo, per non dover poi correre più veloci degli orologi che minacciosi segnano il passare delle ore.

Per questo chiediamo l’aiuto di infallibili compagni di mille lotte. Farmaci, pasticche e pasticchette ci rimettono in sesto…forse…non sempre. “Si abbassa la febbre e vado in ufficio”. Passa il sintomo e, anche se non nel pieno delle nostre forze, possiamo andare avanti. Senza fermarci.

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L’oggetto transizionale. Linus non aveva tutti i torti

Sofia è una bambina molto amata, i suoi genitori sono sempre stati attenti alle sue cure e ai suoi bisogni.

Quando è nata, ma forse ancor prima di nascere,  amici e parenti  hanno riempito la sua cameretta con peluches di ogni genere, con la speranza che uno di questi potesse rappresentare per lei  la famosa “Copertina di Linus” da portare a scuola, a casa dei nonni o semplicemente in giro.

Sofia, tra tutti quei giochi e peluches si è particolarmente affezionata a un orsetto chiamato Minù: da quando si sveglia fino a quando va a dormire, Minù è sempre accanto a lei. Lo cerca quando vuole addormentarsi la sera, la mamma glielo mette vicino nei momenti di sconforto, quando viene rimproverata da qualcuno lo cerca e lo stringe forte a sé. Con il passare del tempo Minù sembra crescere con lei, non è più così morbido come prima, in realtà sembra “invecchiato”, pochi giorni fa ha perso anche un occhio, ma per Sofia non è cambiato niente, Minù rimane comunque il suo peluche preferito.

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La violenza sulle donne. “Il sesso debole”, invenzione di una società patriarcale

“Interior” (1868-69), Edgar Degas, Philadelphia Museum of Art, Philadelphia, Pennsylvania, USA

Durante il periodo dell’università mi è capitato di lavorare in un centro di pronta accoglienza per donne con minori in qualità di operatore sociale. Un luogo nato per rispondere, con accoglienza immediata, all’urgenza del bisogno e alle esigenze di protezione e di aiuto a donne singole e a madri con figli minori. Questa struttura rappresenta un rifugio da situazioni di disagio sociale, economico e in alcuni casi di violenza domestica. Ricordo che il mio primo turno fu di notte: ero agitato, poiché mi ero preparato psicologicamente al fatto di trovarmi in un ambiente triste, dove la tensione si sarebbe avvertita nell’aria. Arrivai alle 20:00 e cominciai a salire i gradini che conducevano all’ingresso del centro, che era situato al primo piano di uno stabile.

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Il lutto. Della morte e di altre perdite.

Malinconia (1892) – Edvard Munch

 L’orologio sulla parete segna le 2:25 di una delle mie solite notti insonni. Eccomi qui, la mente attiva e io già in piedi. Accendo il telefono così da scorrere le notizie dell’ultima ora dalla mia applicazione…ma basta un attimo, ed ecco che scelgo il dirottamento repentino, quasi  una sorta di automatismo ormai acquisito; così, il mio dito va per aprire la mia pagina Facebook. Leggo e non leggo, guardo e non guardo. Mi chiedo di che cosa mai io sia in cerca. A quell’ora del mattino poi. Tutt’a un tratto resto gelata davanti ad un post di Federico Zampaglione, voce dei Tiromancino.

Federico dice di esser sconvolto da una notizia appena appresa: la morte di Pino Daniele. Morte. Di Pino Daniele. Resto pietrificata per qualche istante, sino a quando, senza quasi accorgermene, viene fuori un deciso: “No, non è vero. Non può essere. Lui no!”.

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La Depressione. La Crosta di una ferita interna

Campo di grano con volo di corvi – Vincent Van Gogh

“ Non puoi stare tutto il giorno a letto, devi fare qualcosa! “

“ Stai troppo tempo in casa, non esci mai. ”

“ Cerca di reagire, stare così non servirà a nulla.. ”

“ È tutto nella tua testa! ”

“ Non sei più quello di un tempo.. ”

Marco non ride più, non lavora più, non mangia più. Dorme troppo, piange troppo, si odia troppo. Trascorre le sue giornate a letto. Il momento più brutto della giornata è svegliarsi, con la consapevolezza di dover far passare un’altra giornata in quel modo, vigile, ma senza vita. Il momento più bello è la sera, dove può far riflettere il proprio buio interiore con quello della notte. Marco non ha più voglia di far nulla, non per capriccio, ma per il semplice motivo di non avere più la spinta nel fare qualcosa, nel non avere più entusiasmo per le proprie attività. Tutto il suo entusiasmo è stato invaso dalla tristezza e dalla consapevolezza di non valere nulla nella vita, o di percepire la realtà esterna come troppo minacciosa e ingiusta.

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Egosintonia ed Egodistonia. Di musica e psiche

Capita a volte di ascoltare un amico pianista suonare e di lasciarci trasportare dall’armonia dei suoni, sognanti ed un po’ “persi” nei nostri pensieri. Capita di sintonizzarci a tal punto su quell’armonia, da provare una vera sensazione di fastidio quando il panciuto gatto del nostro amico, attratto anche lui da quei suoni e da quelle frequenze, decide di salire sulla tastiera, nel tentativo di emulare gli amici del celebre cartone Disney e sperimentarsi pianista, rompendo quel clima magico che la sensibilità e l’abilità artistiche del nostro amico avevano creato.

Ho preso in prestito la metafora dal mondo musicale, a me molto caro, per poter creare nel lettore quelle sensazioni sinestesiche, di piacere prima, e di fastidio poi, legate all’armonia ed alla disarmonia dei suoni.

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Dipendenza da Serie TV
Le emozioni tele-amiche

2015. Sabato sera a casa di amici.

Ragazza allo specchio – Picasso

Tavola imbandita, amatriciana, buon vino e chiacchiere generali su un pettegolezzo di quartiere.

Seduti vicini, A. ed M. si estraniano dalla conversazione di gruppo, iniziando a parlottare fra loro di un qualcosa che alle mie orecchie sembra molto interessante.

Incuriosita li osservo e ascolto la conversazione che diventa sempre più a toni coloriti.

“BIV” dice A. offrendo ad M. un bicchiere di vino bianco.

“…STA SENZA PENSIER”  risponde M. con tono rassicurante, ma duro.

Segue la risata spassionata dei due che si guardano con la complicità di chi condivide un qualcosa di intenso. Mi guardo intorno e mi accorgo che quel “teatrino” smuove pian piano l’attenzione di tutti presenti. Ecco che d’un tratto crescono le risate generali e il parlottio di sottofondo rende i miei pensieri confusi.

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Funzione riflessiva e Sviluppo del Sé

Heavenly Fruits
Hand with Reflecting Sphere – Escher

Percorrendo l’abituale tragitto di un’abituale mattina di diversi anni fa, mi imbattei in un’esperienza di per sé banale, ma che rese quel tragitto e quella mattina degni di essere ancora ricordati, di conservare un posto nella memoria. L’evento di per sé non ebbe nulla di particolare, ma mi permise di comprendere meglio qualcosa che avevo letto in qualche libro in uno dei tanti pomeriggi di studio. Attraverso un’esperienza inaspettata e casuale riuscii probabilmente a realizzare un’immagine interna di un concetto appreso e per questo a comprenderne non solo il significato, ma un senso più intimo e complesso. Precisamente mentre camminavo un po’ sovrappensiero e probabilmente con le cuffie nelle orecchie, mi passò davanti un autobus. Ero sul ciglio del marciapiede, aspettando il mio turno da pedone nella bolgia del traffico mattutino. L’autobus mi passò davanti esponendomi la sua lunga facciata laterale. Permettendomi quindi di vedere la mia immagine riflessa nei suoi ampi vetri. Questo provocò in me una reazione di sorpresa, non tanto per il normale evento di un’immagine riflessa in uno specchio, ma per l’alternanza tra due situazioni: autobus e immagine riflessa, niente autobus e niente immagine riflessa. 

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AUTISMO. Il mondo degli Opossum

Era una giornata come le altre, arrivata a lavoro ho salutato Luca, lui ha salutato me toccandomi le mani  e abbiamo iniziato a lavorare.

Luca era più euforico del solito, saltava da una parte all’altra della stanza, ripeteva in continuazione il dialogo di un cartone animato, batteva a terra i suoi piedini e riusciva contemporaneamente con la mano destra a scrocchiare le dita e con quella sinistra a toccarsi i capelli.

I suoi occhi erano rivolti altrove, guardava tutto, ma non guardava niente. E  sicuramente non guardava me. 

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Scegliere di andare dallo psicologo. Siamo tutti pazzi!

Alzi la mano chi almeno una volta nella vita non ha sentito il luogo comune che dallo psicologo ci vanno i pazzi! Sarei curioso di chiedere a coloro che la pensano così come si immaginano chi pratica questo “strano” mestiere. Forse se lo raffigurano come una Chimera dalle mille forme, un po’ indovino, un po’ cartomante…o forse come un essere che scava nel nostro cervello, strappandoci pensieri o ricordi che volevamo rimanessero nascosti? Per noi è facile, al giorno d’oggi dire che non è così, ma proviamo ad immaginare cosa penserebbe la generazione dei nostri nonni e in parte anche quella dei nostri genitori.

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