Identificazione con l’aggressore. Il caso di Sonia

Cristina De Biasio – Libertà verso la luce

Sonia è una ragazza di 20 anni, ha una bimba di due anni, e momentaneamente vive in casa-famiglia. La sua storia è molto complessa, il padre alcolista e maltrattante ha ripetutamente abusato di lei e dei suoi sei fratelli. La madre invece, una donna minuta di statura e dal carattere molto tranquillo, ha avuto sempre un ruolo marginale nella famiglia, anche lei vittima delle violenze di questo uomo. Violenze corporee, sessuali ma anche psicologiche.  Per anni tutta la famiglia è vissuta nel terrore della figura paterna, Sonia a soli 14 anni è andata via da casa, consapevole del male che stava subendo, ha preso le sue poche cose ed ha cambiato città con la speranza di riuscire a lasciarsi alle spalle tutte le sofferenze subite fino a quel momento.

Arrivata a Roma ha conosciuto un ragazzo poco più grande di lei, apparentemente molto gentile, dolce e premuroso. Con il tempo però le cose sono cambiate: durante le discussioni ha iniziato ad alzare la voce e spesso anche le mani. I giorni passavano e le discussioni non erano più l’unico pretesto attraverso il quale lui la potesse aggredire; dopo pochissimi anni Sonia si è ritrovata con un bel pancione risultato anche questo di un’assurda e crudele violenza. Successivamente la nascita della bambina, Sonia, si è resa conto che le cose non sarebbero mai cambiate e rimanere in quella casa era veramente pericoloso per sé ma soprattutto per la figlia, ed è proprio pensando a quest’ultima che ha trovato la forza di reagire di ribellarsi e di dire no a così tanta violenza

Parlando con lei nei nostri colloqui, più volte mi sono domandata cosa la portasse ad accettare quella continua violenza senza reagire al suo “carnefice”, cosa può accadere nella sua testa da farle opporre così tanta resistenza al cambiamento? Perchè solo dopo 20 anni di violenza è riuscita a chiedere aiuto a qualcuno? 

Sonia per proteggersi e per poter sopravvivere ha messo in atto una vera e propria identificazione con l’aggressore intesa come un processo psicologico con il quale la persona assimila un aspetto, un comportamento, un attributo dell’aggressore e si trasforma totalmente o parzialmente sul modello di quest’ultimo. Si tratta di una vera e propria sottomissione all’aggressore e di una introiezione del proprio senso di colpa che porta a un profondo cambiamento della personalità. Le violenze subite per la loro pervasività portano la vittima a definirsi esclusivamente in base all’esperienza traumatica, e solo così potrà convincersi di esistere e appartenere alla realtà.

La percezione che Sonia ha di sè è come sporca, colpevole e impotente, i suoi carnefici invece sono percepiti come estremamente pericolosi, inaffidabili e imprevedibili. Di conseguenza anche la sua identià sarà molto fragile e in balia degli eventi in quanto le violenze sono ripetute nel tempo. Identità troppo debole per poter essere consapevole delle ingiustizie subite e di conseguenza anche il chiedere aiuto diventa impensabile, e impossibile.

Fortunatamente, nel caso di Sonia,la nascita della bambina l’ha riportata alla realtà, facendole conoscere anche un aspetto della vita in cui c’è speranza,  speranza di regalare a quella creatura una vita migliore, diversa da quella che lei è stata costretta a vivere perché “risucchiata” da quello che può sembrare un vortice fatto di ingiustizie e dolore.

Non è casuale il fatto che Sonia tra tanti ragazzi, ne ha scelto proprio uno che la picchiava e abusava di lei, ha scelto in base all’unico modello che lei aveva come riferimento, senza preoccuparsi troppo dei pericoli o del dolore, in base alla Coazione a Ripetere cioè una tendenza inconscia a mettere in atto nuovamente situazioni pericolose e dolorose, simile ad esperienze passate.

L’identificazione con l’aggressore non è un meccanismo di difesa messo in atto solo da chi si trova a fronteggiare violenze fisiche, sessuali o psicologiche e che vive quindi situazioni patologiche, è una difesa che tutti noi abbiamo, perchè tutti noi viviamo una vita dove ricopriamo sia il ruolo di vittime che di “carnefici”. Durante l’infanzia questo meccanismo di difesa è fondamentale, il bambino si trova a imitare alcune caratteristiche dei genitori o di altre persone significative che lo spaventano particolarmente per poter superare e controllare l’angoscia che alcune situazioni causano.

Basta pensare semplicemente a quanto i bambini amano identificarsi con chi più temono, come nel caso del gioco del dottore, gioco in cui si mette in atto il far finta d’essere ciò che più spaventa. 

                                                                                       Dott. ssa Serena Bernabè

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Per approfondire:

Bernabè S.,  Cerniglia L. “ Donne Vittime di Tratta: rassegna teorica sul fenomeno e studio esplorativo su modelli di attaccamento e funzionamento emotivo-relazionale”, Posted in n.29 in www.funzionegamma.it 

Ferenzi S., “Diario Clinico” Raffaello Cortina Editori, 2004

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