Genitorialità Pride. Basta che….Mi vuoi bene!

Chi tace spaventa

(Alda Merini)

“Diversi follow-up su questo campione hanno mostrato che l’adattamento psicologico, le relazioni tra pari, le relazioni familiari e i progressi scolastici di questi bambini erano del tutto paragonabili a quelli dei bambini cresciuti in famiglie eterosessuali, sottolineando come l’adattamento nell’infanzia sia determinato in gran parte dal funzionamento familiare (accordo tra i genitori, condivisione delle responsabilità, stabilità economica ecc.), indipendentemente dall’orientamento sessuale dei genitori” (Castagnoli, 2009).

Provate a mettervi nei panni di … Di chi desidera un figlio e non può “naturalmente” averlo, chi deve ricorrere a percorsi di procreazione medicalmente assistita per riuscirci, chi a un utero surrogato, chi all’adozione. Quale di questi percorsi è meno privo di dolore, sofferenza, sacrificio? Percorsi che comunque portano alla vita.

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Il Butoh. La danza delle tenebre

image courtesy of allabout-japan.com

Un uomo nudo danza, con il corpo completamente ricoperto di pittura bianca. Le membra scosse da tremori sincopati e dolenti. La mimica del suo viso si tende, digrigna i denti, soffre, mentre ogni muscolo del suo corpo  si contrare in spasmi ritmici che compongono la danza delle tenebre.

Il butoh nasce in Giappone, tra gli anni cinquanta e sessanta grazie agli sforzi di Tatsumi Hijikata, e Kazuo Ohno. In origine il movimento artistico del Butoh si caratterizzava per il suo aspetto provocatorio, mettendo in scena tabù sessuali, una rappresentazione grottesca, decadente, mortifera eppure umoristica, in cui il corpo è sempre al centro della scena. L’attore è organico, amplia il concetto di danza trascendendo il concetto di estetica, diventando egli stesso luogo della rappresentazione drammatica.

Per molti il Butoh rappresenta un “grido primordiale che annienta e vanifica ogni norma, la trasformazione e la metamorfosi della ribellione del corpo naturale contro la violenza della cultura, che porta alla luce pure visioni dal subconscio sostenute unicamente dall’urgenza del desiderio e dell’istinto primitivo.

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L’ultima seduta. La fine del rapporto terapeutico

Concludere  un percorso psicoterapeutico, durato magari diversi anni, è l’ultimo atto “terapeutico” che si compie all’interno del setting clinico. Terapeuta e paziente sono giunti al termine del loro percorso comune. In base alla mia formazione, al momento del contratto terapeutico, all’inizio di una psicoterapia o di un percorso di consulenza, non viene fornito un termine, questo perché la relazione è il primo elemento che concorre alla cura della persone che si è rivolta al professionista. All’interno di essa, come attraverso pagine di un romanzo di cui ci siamo limitati a leggere la quarta di copertina, si svolgeranno tutte le vicende, verrà narrata e poi ri-narrata la storia del paziente, verranno messi in atto degli agiti, e la realtà irromperà diverse volte nel setting, ricordando che il qui ed ora è legato inevitabilmente al “lì ed allora” del passato della persona che si trova con noi nel campo analitico.

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Le Emozioni. Vale la pena conoscerle?

Come scrive McDougall (McDougall, Teatri del corpo, 2012 Raffaello Cortina Editore): “il cuore è l’organo privilegiato dell’affetto, la metafora dell’amore, della sofferenza e della nostalgia, come peraltro dell’odio, della violenza e della collera”.

Non c’è cosa più complessa e difficile del mettersi in contatto con le proprie emozioni. Tentiamo costantemente di ignorarle, ma anche se proviamo a metterle a tacere cercando di non ascoltarle, loro sono presenti, ci sono, vengono comunque immagazzinate in qualche lato a noi oscuro, pronte a riaffiorare con una forza e un’intensità che le rende poi di difficile gestione.

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Psicologia in Musica. Ci sono molti modi degli Afterhours

Afterhours image courtesy of Rolling stone

«L’unione del maschile con la donna viene determinata dal fatto che la coscienza dell’uomo si pone in rapporto con il femminile della donna come “solo” maschile e proietta su di lei il proprio femminile inconscio in forma di Anima. Allo stesso modo la donna si pone consciamente in rapporto con il maschile come “solo” femminile e proietta su di lui il proprio lato inconscio maschile in forma di Animus.»

Erich Neumann

Questa è la storia di un amore assassino, ma non nella classica accezione che questo termine potrebbe far pensare. All’inizio le parole sembrano rivolersi ad un’altra persona, probabilmente un ex compagna. Ma in realtà l’interlocutore siamo noi stessi, è la nostra anima.

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Psicologia in Musica. Minuetto di Mia Martini

Minuetto è una canzone scritta da Franco Califano e interpretato da Mia Martini, racconta e descrive lo sfogo e il dolore di una donna innamorata di un uomo con il quale instaura una relazione di dipendenza affettiva. Ha rivolto le sue attenzioni nei confronti dell’uomo “sbagliato”, con lui ha potuto sperimentare sentimenti di frustrazione, solitudine e sofferenza e più volte ha messo in discussione se stessa e il proprio pensiero. Si è rivelato uno dei più grandi successi dell’estate del 1973. Sono trascorsi più di quaranta anni e ancora oggi la canzone è conosciuta e continua ad essere canticchiata da molti di noi, probabilmente perché tocca delle note della vita importanti e sempre attuali. Chissà quante donne si sono sentite e continuano a rispecchiarsi in queste parole. Califano ha “cucito” addosso a Mia Martini il testo della canzone, ha affidato a lei l’interpretazione certo della sua impeccabile interpretazione. La musica di Bembo parte da una rivisitazione moderna di un minuetto (antico ballo francese), trasformandosi poi in una ballata più lenta e malinconica che accompagna le strofe in un altalena di emozioni portando a una rinascita o una chiave di svolta, per questa donna che ammette di aver “elemosinato amore” perché ignara del vero significato dell’amore.

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Psicologia in Musica. In bianco e nero di Carmen Consoli

“In bianco e nero” è un brano scritto da Carmen Consoli e portato al Festival di Sanremo del 2000 dalla stessa cantautrice catanese inserito nell’album “Stato di necessità”.

Carmen Consoli con la sua voce straordinaria dà vita a testi pregni di messaggi che desidera trasmettere al pubblico.

Ascoltando questa bellissima canzone chiudo gli occhi ed immagino una giovane donna che guarda con malinconia le foto di sua madre, ormai defunta, e che intraprende un bellissimo monologo introspettivo rimpiangendo il fatto di non aver condiviso con lei le sue perplessità rispetto al loro rapporto conflittuale. Il titolo “in bianco e nero” rimanda ai colori di un’antica foto della madre ancora infante, ma trasporta inesorabilmente la mia mente verso il concetto di contrasto, di conflitto e assenza di gradazioni e sfumature, proprio come il rapporto istaurato tra le due donne, ma al tempo stesso è “sbiadito” come se quella ostilità e quella rabbia si siano affievolite con la scomparsa della madre, dando spazio a sentimenti di rimpianto.

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Orientarsi tra piacere e dolore. Riflessioni Libere

Da tempo mi frulla un pensiero in mente, una teoria che riguarda il piacere. È arrivato il momento di portarla alla luce.

Partiamo dal fatto che l’uomo, per natura istintuale, rifiuta il dolore e apprezza le sensazioni di piacere. Pure un bambino, per esperienza, sa che il fuoco brucia e provoca dolore mentre giocare dona piacere. Niente di strano o complicato, è la base della vita: rifuggire il dolore e andare verso ciò che ci piace.

Una dose di piacere giornaliera

Quando si prende in causa una specifica dose di piacere giornaliera la questione si complica un po’. La mia teoria è semplice e si sviluppa da una domanda: l’essere umano, per vivere felicemente, ha bisogno di una dose minima di piacere quotidiano?

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L’imbarazzo
La fortuna di sentirsi inadeguati

È un sabato sera con amici; sei casual ed elegante perché la serata lo permette. Ti senti in gran forma, bevi, mangi, ridi, scherzi..  fin quando ti sbilanci un po’ troppo dalla sedia su cui ti stai dondolando in quel pub alla moda e così pieno di gente.. perdi l’ equilibrio  e in un attimo ti ritrovi a terra con gli occhi dei tuoi amici e di tutto il locale puntati addosso e il brusio di qualche risatina. 

Possiamo immaginare di trovarci in una simile situazione e percepire una pervadente sensazione di imbarazzo accompagnata dal desiderio di diventare invisibile.. “Come ho fatto ad essere così scemo? Cosa penseranno ora gli altri (di negativo) su di me? Come ne esco da questo imbarazzo?”, sono le possibili domande che prenderebbero forma in noi in tale situazione, in maniera consapevole o meno.

L’imbarazzo è un’esperienza comune e, come vedremo, anche molto positiva a livello sociale, ma può presentarsi come più o meno faticosa da gestire in base ai differenti tratti di personalità che ci caratterizzano.

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