L’anoressia
Dallo svezzamento al rifiuto del cibo

I disturbi del comportamento alimentare fanno parte di quei disturbi psichici con un evidente componente sintomatologica che si manifesta a livello comportamentale.

Non a caso si usa la dicitura “del comportamento alimentare”.

Tutti più o meno sanno cos’è l’anoressia e sono informati su ciò che caratterizza le persone anoressiche.

È facile e quasi immediato, quando si sente parlare di anoressia, pensare a ragazze che controllano costantemente il loro peso perché sono terrorizzate dall’idea di ingrassare. Ragazze che nonostante siano sottopeso o nella media si vedono grasse e perciò continuano a calcolare le calorie dei loro esigui e infrequenti pasti. È facile anche associare questo quadro alimentare ad un’intensa attività fisica o ad un profilo scolastico eccellente. Si sa che le anoressiche sono molto rigide.

Ho scritto le ragazze anoressiche perché è noto anche che questo disturbo riguarda prevalentemente la popolazione femminile.

Insomma la conoscenza comune sull’anoressia si sofferma su sintomi relativi al comportamento alimentare, o comunque osservabili, che molte persone sono in grado di individuare anche senza essere professionisti del settore.

Ma se in realtà si tratta di un disturbo psichico, cosa c’è al di la dell’alimentazione?

I sintomi spesso si inscrivono all’interno di un preciso stile o disturbo di personalità. Tendenzialmente posso essere individuati due tipologie: il tipo narcisista e il tipo ossessivo compulsivo.

Nel primo caso si tratta di persone che vengono considerate speciali sin dall’infanzia e sulle quali i genitori riversano grandi aspettative. Essi infatti non mostrano empatia, a tal punto da non riuscire a sintonizzarsi sui reali bisogni del figlio che viene esibito in maniera narcisistica come se fosse la dimostrazione di un loro successo personale (per un approfondimento si rimanda all’articolo Anoressia – Tra Narcisismo e conflitti interiori nella rivista del mese di Maggio 2015). Questo sembra portare ad una precoce adultizzazione, all’intolleranza verso le critiche e gli insuccessi e ad un utilizzo del corpo come mezzo per esibire un proprio trionfo narcisistico.

Nel secondo caso l’educazione e il rapporto coi genitori sembra essere stato impeccabile da un punto di vista formale, ma privo di piacere dal punto di vista relazionale. I rapporti con la madre si caratterizzano più che altro per la freddezza. Di solito queste persone tendono all’isolamento, ad una eccessiva dedizione allo studio e ad un’intensa attività sportiva praticata in maniera compulsiva. La dieta viene vissuta come una prova di controllo e adeguatezza.

Questi brevi accenni sui tipi di personalità all’interno dei quali si inscrive l’anoressia, ci possono far comprende due cose.

La prima è che la difficile trattabilità dell’anoressia può essere dovuta all’egosintonia dello stile o disturbo di personalità proprio della persona. Ovvero una ragazza anoressica può provare molta difficoltà ad abbandonare i rituali di controllo del cibo ingerito perché queste sono modalità ossessivo-compulsive che vengono vissute come egosintoniche, cioè in accordo con la propria persona (per un approfondimento si rimanda all’articolo Egosintonia ed egodistonia – Di musica e psiche nella rivista di Gennaio 2015).

La seconda è che, se la personalità si forma in un processo evolutivo che parte dall’infanzia, allora anche l’anoressia deve avere qualche collegamento con quanto accaduto nelle prime fasi della vita.

Hilde Bruch ritiene indistinguibili gli aspetti fisiologici e psicologi dell’alimentazione durante l’infanzia. L’esperienza della nutrizione avviene all’interno di un rapporto interindividuale carico di affetti ed emozioni (si consigli la lettura dell’articolo Dipendenza da cibo – il legame tra nutrizione ed emozione nella rivista di Febbraio 2015). Non si tratta di una semplice assunzione di cibo utile alla crescita. Secondo l’autrice la madre di una futura ragazza anoressica non è in grado di riconoscere la figlia come altro sa sé e tende quindi ad imporre le proprie sensazioni e i proprio bisogni. Così facendo impedisce alla figlia di ricevere risposte adeguate alle proprie richieste e necessità, che non vengono riconosciute, e contribuisce alla sensazione di non sentirsi padrona del proprio corpo.

Tutto ciò può portare, durante l’adolescenza, alla ricerca di autonomia e individuazione attraverso la ferrea disciplina del corpo e il rifiuto del cibo in quanto simbolo di dipendenza materna.

Irene Chatoor si è occupata di disturbi dell’alimentazione durante l’infanzia e nella propria classificazione ha individuato il disturbo alimentare di separazione anche detto anoressia infantile. Questo si caratterizza per un persistente rifiuto del cibo o un’estrema selettività associato ad un intenso conflitto col caregiver relativamente ai temi dell’autonomia, della dipendenza e del controllo. Si colloca infatti tra i sei mesi e i tre anni, nel momento del passaggio all’alimentazione autonoma.

La Chatoor ritiene che in questo particolare periodo si venga a creare una lotta tra un bambino che cerca fisiologicamente la propria autonomia, senza però voler perdere il rapporto col caregiver, e una madre che non è in grado di comprendere tali bisogni e di negoziare le risposte negative e conflittuali.

Si tratterebbe di mamme che pongono molte aspettative nel loro ruolo e che giudicano il proprio valore in base all’alimentazione del figlio. Perciò non riescono a concepire i cambiamenti del figlio nel periodo dello svezzamento come una fisiologica richiesta di maggiore autonomia e quindi non rispondono in modo adeguato e contingente.

Ciò può portare il figlio ad associare l’alimentazione con la rabbia e la frustrazione e all’incapacità di distinguere quest’ultime dalle sensazioni di fame e sazietà. Da ciò potrebbe derivare il rifiuto del cibo.

Possiamo quindi capire che anche se viene usata la dicitura disturbo del comportamento alimentare, in realtà il nucleo del disturbo non è da ricercare nel comportamento, ma nei vissuti provati all’interno dei primi scambi interattivi centrati sull’alimentazione.

Come se oltre gli aspetti manifesti della patologia ci fosse un latente.

Un latente dal quale è necessario partire per comprendere realmente la natura di questo disturbo.

Dott. Roberto Zucchini

Approfondimenti:

Ammaniti, M. (2001). Manuale di psicopatologia dell’adolescenza. Milano: Raffaello Cortina Editore.

Lingiardi, V. (2004). La personalità e i suoi disturbi. Lezioni di Psicopatologia dinamica. Milano: Il Saggiatore.

Bruch, H. (1979). La gabbia d’oro. L’enigma dell’anoressia mentale. Trad. ita Feltrinelli, Milano: 1983.

Chatoor, I (1989). Infantile Anorexia Nervosa: A developmental disorder of separation and individuation. Journal of the American Accademy of Psychoanalysis, 17, pp. 43-64.

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