“Ho chiamato te perchè ti sento vicina; perchè so che al mio posto proveresti le mie stesse emozioni, avresti i miei stessi dubbi. Ho chiamato te perchè puoi capire quello che provo e quello che dico.”
Questo è quello che dissi non troppo tempo fa ad una persona a me cara, quando la chiamai per condividere con lei pensieri e preoccupazioni su di un determinato argomento.
Saper comunicare è una delle cose più difficili e impegnative, per poterlo fare in modo efficace bisogna sapersi conoscere, saper conoscere le proprie capacità e i propri limiti. Qualche mese fa mi è capitato di incontrare una persona, una ragazza di nome Luna, con la quale abbiamo stretto una bellissima amicizia, con lei non ho difficoltà a parlare, mi fa sentire al sicuro e libera di potermi esprimere come voglio. Durante la nostra conoscenza ho però scoperto una cosa, nei suoi silenzi si celano parole che non possono essere dette con la voce, ed è in questo momento che basta uno sguardo per poterci capire, comprendere fino in fondo. Continuando la nostra conoscenza ho avuto modo di capire che Luna ha difficoltà ad esprimere con le parole il suo pensiero soprattutto nel momento in cui si trova in difficoltà o sente di essere stata ferita, si chiude in un mutismo che è quasi impossibile superare. Spronarla, incoraggiandola ad utilizzare le parole per verbalizzare il suo pensiero è un compito arduo, ma con fatica ed impegno ho capito come poter fare per entrare in contatto con lei, dando quindi spazio ad una comunicazione. Con il tempo ho imparato che una delle cose più importanti nella comunicazione rimane proprio il silenzio.
E’ arrivato il giorno del mio compleanno: non vedo l’ora di poter festeggiare con tutti i miei amici, ho organizzato una bella serata e spero che andrà tutto come ho immaginato…. Poco prima di uscire, leggo sul mio telefono un messaggio di due dei miei migliori amici, mi dicono che purtroppo non potranno essere presenti alla festa: che delusione!
“ Immaginate una pentola piena d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce bollita.Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.”
Il principio della “rana bollita” è stato usato dal filosofo Noam Chomsky per indicare l’attitudine dei popoli ad adattarsi e accettare situazioni sfavorevoli, negative e opprimenti. Viene usato specialmente in sociologia per descrivere alcune dinamiche di potere, soprattutto moderne, nelle quali vengono cambiate le regole della società, procedendo per step, facendo abituare lentamente le masse anche a conseguenze avverse e sfavorevoli.
“Il lago, a differenza del mare, simbolo della nascita, proprio per la sua forma concava e contenitiva rimanda ad un senso di accoglienza e di protezione umida e ricettiva, un grembo materno, luogo in cui ritirarsi per riacquistare le forze e riemergere risanati”.
Il lago è un luogo molto particolare che stimola l’introspezione, la quiete e in alcuni casi, come nel caso del Lago di Pergusa, in Sicilia, stimola la fantasia e la creatività degli scrittori.
Il Lago di Pergusa è molto noto in quanto strettamente legato al “mito di Proserpina”, la divina Persefone dei Greci.
La leggenda narra di Persefone, figlia di Demetra, che, mentre raccoglieva fiori nei pressi del Lago, fu rapita dal dio degli Inferi, Ade, e fatta sua sposa. Demetra la cercò in lungo e largo per nove giorni; la dea della Fertilità trascurò così il suo dovere e le messi cominciarono a venir meno. Il decimo giorno, Zeus, preoccupato per la carestia cui poteva essere soggetto il genere umano, fece svelare a Demetra il luogo dove l’amata figlia era stata violentemente trascinata. In seguito alle disperate suppliche della madre, il padre degli dei acconsentì che madre e figlia potessero vivere insieme, ma solo per un periodo dell’anno. Demetra accettò la decisione, ma anche lei emanò una sentenza: quando il suo sguardo fosse stato lontano dall’amata figlia, il sorriso avesse abbandonato le sue labbra e la tristezza riempito il suo cuore, allora la stessa sorte sarebbe toccata alla terra, dando così origine all’autunno ed all’inverno; con il ritorno di Persefone, invece, anche la terra avrebbe esultato della sua presenza, la vegetazione e la fertilità sarebbero riapparsi, sarebbero sbocciati così i fiori, gli uccelli sarebbero tornati ai loro nidi, gli alberi avrebbero dato i loro frutti e gli uomini avrebbero giovato di tale ricchezza, dando origine, in tal modo, alla primavera e all’estate.
Tra milioni di persone ci si sceglie nell’amore come per magia. C’è qualcosa dell’altro che ad un certo punto ci colpisce in modo diverso da tutto il resto, qualcosa che risuona dentro di noi e che ci tiene agganciati all’altro con i pensieri e le emozioni. È davvero magia? Dipende da cosa s’intende per magia. Forse sì, fatto sta che la scelta del partner a volte non è così casuale né mossa da semplici variabili esterne, ma da oceani interni che s’incontrano.
“Mi sembrava che l’anima viva dei colori emettesse un richiamo musicale, quando l’inflessibile volontà del pennello strappava loro una parte di vita.”
Vasilij Vasil’evič Kandinskij descrisse con queste parole il fenomeno che gli ha permesso di tradurre la musica in colori. Per alcuni studiosi dell’arte la sinestesia di Kandinskij era soltanto una particolare sensibilità di spirito, una peculiare capacità che gli consentiva, il giorno dopo aver assistito al concerto di Arnold Schönberg a Monaco, di dipingerlo. Riconosciuto come il padre dell’arte astratta, autore del fondamentale volume “Lo spirituale nell’arte” pubblicato nel 1912, in cui presagiva, alla stregua di un profeta laico, che l’arte veicola contenuti spirituali, e che ciò avrebbe portato a prescindere dalla raffigurazione.
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