E’ arrivato il giorno del mio compleanno: non vedo l’ora di poter festeggiare con tutti i miei amici, ho organizzato una bella serata e spero che andrà tutto come ho immaginato…. Poco prima di uscire, leggo sul mio telefono un messaggio di due dei miei migliori amici, mi dicono che purtroppo non potranno essere presenti alla festa: che delusione!
“ Immaginate una pentola piena d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce bollita.Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.”
Il principio della “rana bollita” è stato usato dal filosofo Noam Chomsky per indicare l’attitudine dei popoli ad adattarsi e accettare situazioni sfavorevoli, negative e opprimenti. Viene usato specialmente in sociologia per descrivere alcune dinamiche di potere, soprattutto moderne, nelle quali vengono cambiate le regole della società, procedendo per step, facendo abituare lentamente le masse anche a conseguenze avverse e sfavorevoli.
“Il lago, a differenza del mare, simbolo della nascita, proprio per la sua forma concava e contenitiva rimanda ad un senso di accoglienza e di protezione umida e ricettiva, un grembo materno, luogo in cui ritirarsi per riacquistare le forze e riemergere risanati”.
Il lago è un luogo molto particolare che stimola l’introspezione, la quiete e in alcuni casi, come nel caso del Lago di Pergusa, in Sicilia, stimola la fantasia e la creatività degli scrittori.
Il Lago di Pergusa è molto noto in quanto strettamente legato al “mito di Proserpina”, la divina Persefone dei Greci.
La leggenda narra di Persefone, figlia di Demetra, che, mentre raccoglieva fiori nei pressi del Lago, fu rapita dal dio degli Inferi, Ade, e fatta sua sposa. Demetra la cercò in lungo e largo per nove giorni; la dea della Fertilità trascurò così il suo dovere e le messi cominciarono a venir meno. Il decimo giorno, Zeus, preoccupato per la carestia cui poteva essere soggetto il genere umano, fece svelare a Demetra il luogo dove l’amata figlia era stata violentemente trascinata. In seguito alle disperate suppliche della madre, il padre degli dei acconsentì che madre e figlia potessero vivere insieme, ma solo per un periodo dell’anno. Demetra accettò la decisione, ma anche lei emanò una sentenza: quando il suo sguardo fosse stato lontano dall’amata figlia, il sorriso avesse abbandonato le sue labbra e la tristezza riempito il suo cuore, allora la stessa sorte sarebbe toccata alla terra, dando così origine all’autunno ed all’inverno; con il ritorno di Persefone, invece, anche la terra avrebbe esultato della sua presenza, la vegetazione e la fertilità sarebbero riapparsi, sarebbero sbocciati così i fiori, gli uccelli sarebbero tornati ai loro nidi, gli alberi avrebbero dato i loro frutti e gli uomini avrebbero giovato di tale ricchezza, dando origine, in tal modo, alla primavera e all’estate.
Tra milioni di persone ci si sceglie nell’amore come per magia. C’è qualcosa dell’altro che ad un certo punto ci colpisce in modo diverso da tutto il resto, qualcosa che risuona dentro di noi e che ci tiene agganciati all’altro con i pensieri e le emozioni. È davvero magia? Dipende da cosa s’intende per magia. Forse sì, fatto sta che la scelta del partner a volte non è così casuale né mossa da semplici variabili esterne, ma da oceani interni che s’incontrano.
“Mi sembrava che l’anima viva dei colori emettesse un richiamo musicale, quando l’inflessibile volontà del pennello strappava loro una parte di vita.”
Vasilij Vasil’evič Kandinskij descrisse con queste parole il fenomeno che gli ha permesso di tradurre la musica in colori. Per alcuni studiosi dell’arte la sinestesia di Kandinskij era soltanto una particolare sensibilità di spirito, una peculiare capacità che gli consentiva, il giorno dopo aver assistito al concerto di Arnold Schönberg a Monaco, di dipingerlo. Riconosciuto come il padre dell’arte astratta, autore del fondamentale volume “Lo spirituale nell’arte” pubblicato nel 1912, in cui presagiva, alla stregua di un profeta laico, che l’arte veicola contenuti spirituali, e che ciò avrebbe portato a prescindere dalla raffigurazione.
Una buona considerazione di sé stessi non è solo una caratteristica normale, ma per molte persone anche auspicabile. Questo tratto, sano e funzionale, in alcuni individui può arrivare ad avere dimensioni tali da raggiungere quello che chiamiamo narcisismo. Un’idea di sé così importante porta la persona con tratti narcisistici a pretendere che ogni sua richiesta sia soddisfatta, proprio in virtù del considerarsi una persona “speciale”, che quindi ha diritto ad un trattamento privilegiato rispetto agli altri.
Questi individui sono completamente concentrati su se stessi e sulle loro fantasie di grandezza e onnipotenza, e mancano totalmente di empatia (cioè di quella capacità di comprendere gli stati emotivi degli altri, di mettersi nei panni degli altri). Di conseguenza, non sono in grado di riconoscere le emozioni, i desideri e i bisogni degli altri, e spesso reagiscono con rabbia se questi ultimi vengono anteposti ai propri desideri e bisogni (per un approfondimento, si rimanda all’articolo “Il Narcisismo – L’arresto della capacità di amare”).
La pelle è un insieme complesso di organi di senso che ci permette di sentire gli oggetti esterni e di sperimentare la nostra internità. La prima sensazione dell’Io è epidermica e la prima esperienza è sensoriale. Sono le primissime sensazioni cutanee che introducono, fin dalla nascita, i bambini appena nati in un mondo di grande ricchezza e complessità che garantisce l’esistenza. Esse sono propedeutiche alla formazione di uno spazio psichico.
“Nessun archetipo è riducibile a semplici formule. L’archetipo è come un vaso che non si può svuotare né riempire mai completamente. In sé, esiste solo in potenza, e quando prende forma in una determinata materia, non è più lo stesso di prima. Esso persiste attraverso i millenni ed esige tuttavia sempre nuove interpretazioni. Gli archetipi sono elementi incrollabili dell’inconscio, ma cambiano forma continuamente“.
Buio o luce. Ragione o sentimento. Introversione o estroversione. Aspetti, questi, che (evidentemente) viaggiano in direzione contrapposta; dicotomie di cui, ciascuno di noi, sceglie l’estremo che più gli appartiene e dentro cui sostare, poiché più confacente alla propria natura. Sono dimensioni che, nelle nostre esistenze, finiscono molte volte con l’essere polarizzate, poiché parti integranti delle rispettive inclinazioni di base. Sono parole che contengono e condensano un’essenza, che tracciano un ritratto seppur appena abbozzato di noi e delineano confini. Parole che raccontano mondi e modi di essere spesso in antitesi fra loro. Ma a ben guardare, nel profondo della nostra psiche, difficilmente il tutto possiede caratteri così netti.
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