Slut-Shaming. Quella gonna è troppo corta
Tutti siamo al corrente degli ultimi fatti di cronaca. Una schiera di attrici americane, tra le quali star Hollywoodiane del calibro di Angelina Jolie e Gwyneth Paltrow si sono alzate in difesa dei loro diritti (“Stand up for your rights!” incitava un celebre testo di Bob Marley del 1973) denunciando pubblicamente il produttore cinematografico statunitense Harvey Weinstein per molestie e abusi sessuali. Dopo di loro anche molte attrici italiane, tra le quali la complessa figura della regista e attrice Asia Argento, hanno fatto “coming out”.
A livello di opinione pubblica, la denuncia delle attrici è stata l’occasione per moltissime donne di tutto il mondo di alzarsi in piedi e denunciare anch’esse le molestie e gli abusi subiti almeno una volta nella vita nei contesti più variegati, accomunati da un unico fattore: l’essere donna. Il semplice fatto di essere donna è un fattore che condanna alla possibilità, nella vita, di subire molestie o abusi, fisici, sessuali, economici, sociali. Il corpo della donna solo per il fatto di essere in un luogo pubblico (sia esso un luogo fisico o virtuale) è socialmente legittimato ad essere oggetto di commenti. Come se il semplice fatto di esistere e uscire di casa o avere un profilo sui social sia una condizione sufficiente per essere giudicata, o peggio, mercificata.