Giorno: 10 Settembre 2015

L’immigrazione. A che gruppo appartieni?

Forse solamente leggere la parola Immigrazione fa spaventare, irrigidire oppure provare un senso di nausea e mal sopportazione nei confronti del fenomeno che è ormai diventato il problema numero uno dell’Unione Europea. Sarebbe interessante sapere cosa ne pensate. Se fate parte di chi la difende ad oltranza o di chi la osteggia in tutti i modi, di chi ritiene che vada sostenuta solamente se regolare o giustificata da asilo politico o di chi pensa che in ogni caso non siamo più in grado di accogliere nuovi flussi migratori.

La Germania ha aperto le porte ai profughi siriani e treni carichi di speranza hanno raggiunto la nazione governata dalla Merkel, la quale si è trovata costretta a bloccare momentaneamente gli ingressi per gestire la situazione. Gli altri Paesi Europei di solito maggiormente interessati da sbarchi ed arrivi, come Italia e Grecia, probabilmente hanno un po’ gioito per il fatto che questa volta sia stata la Germania a sperimentare le difficoltà dell’accoglienza e quindi a rendersene conto. Probabilmente adesso si sentiranno più forti nella battaglia politica ormai sempre aperta sull’argomento.

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Il rinforzo del comportamento. Tra ripetizione e estinzione

Sara è una bambina di 9 anni che frequenta regolarmente la terza elementare. La bimba è apparentemente tranquilla: per le prime ore di lezione mostra un comportamento adeguato al contesto scolastico, è attenta alla spiegazione, siede composta al suo posto e svolge tutti i compiti assegnati dalla maestra; con il passare delle ore, invece, Sara diventa irrequieta, si alza continuamente, disturba i compagni, chiede di entrare e uscire dalla classe. La maestra in tal caso ha due possibilità: o punire il comportamento di Sara facendole riempire pagine intere di frasi del tipo: “Non si disturba la lezione”, o provare a rinforzare i comportamenti positivi (rinforzo positivo), premiando e lodando i casi i cui la bimba rispetta le regole e segue un comportamento adeguato. A quanti genitori non è capitato di subire le lamentele del proprio figlio dovute al desiderio di avere un giocattolo?

Alessandro è un bambino descritto dai genitori come molto capriccioso, una piccola peste. Spesso, quando sono in giro, Alessandro comincia a fare i capricci con frasi del tipo: ” Mamma mi compri il gelato? Mi compri un gioco? Mi compri il gelato”?, dette a ripetizione Dopo vari tentativi di resistere alle lamentele del figlio, la mamma, ormai esausta, cede comprandogli ciò che il bambino richiede in quel momento. Anche in tal caso, come in quello precedente, la madre rinforzerà (rinforzo negativo), il comportamento del figlio che da ora in poi per poter richiedere la qualunque metterà in atto la stessa strategia ripetitiva e capricciosa.

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Genesi di un comportamento antisociale. Relazioni di causa ed effetto

“L’assassino” di Edvard Munch

Le questioni della devianza, della violenza e del comportamento che non rispetta le norme sociali condivise sono sempre state argomento di interesse per la medicina e la psicologia. Gli antichi Romani definivano il furor come una forma di follia che portava le persone a commettere reati e ad agire non rispettando le leggi dello stato e i diritti altrui. Lo stesso Ippocrate ipotizzò una base umorale per i processi mentali, per cui uno squilibrio di componenti fisiologiche avrebbe spiegato le diverse manifestazioni, che potevano assumere vesti melanconiche, colleriche, flemmatiche. L’importanza di queste intuizioni risiedeva nell’attribuire per la prima volta a questi comportamenti un malessere mentale slegandoli da interpretazioni unicamente religiose di possessione demoniaca.

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La madre. Una morbida danza fra assenza e presenza

Oggi vi parlerò di madri. Ma di madri un po’ diverse da quelle idealmente tratteggiate sui libri di lettura per bambini e dai colori pastello. Per far questo ho bisogno però di usare tinte assai più forti e decise, di evidenziare i chiaroscuri, di metterne in risalto sia le luci che le ombre e ciò perché la maternità porta con sé un insieme di vissuti ambivalenti che discendono dalla complessità che un’esperienza trasformativa simile possiede. Tale circostanza porta la donna ad essere spesso “vittima” (suo malgrado) di scontri titanici fra forze interne a sé opposte e all’apparenza del tutto inconciliabili e questo proprio perché quella donna al suo interno è anche e comunque madre. O sarà invece che il conflitto discende dal suo essere, adesso, prima di tutto madre e solo dopo, forse, (anche) donna? E qui arrivo al punto. Recalcati – fra i più noti psicoanalisti lacaniani del nostro Paese –  ci illustra egregiamente l’affascinante quanto tortuoso viaggio verso la maternità, puntando in special modo sulle sue declinazioni patologiche, figlie della sempre più frequente impossibilità di coniugazione dei due ruoli: quello di donna e quello di madre.

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Il complesso di Edipo secondo Laio. Il padre mutilante

Narra il mito greco di un Titano, Crono, che evirò e spodestò il padre Urano, sotto richiesta della madre Gea, divenendo a sua volta il Re dell’Olimpo. Nonostante avesse avuto come padre un modello fallimentare che rinchiudeva tutti i suoi figli nel profondo Tartaro, Crono preservava le stesse angosce del padre, ingoiando, di conseguenza, tutti i figli fatti con Rea, per il timore che qualcuno di questi potesse spodestarlo al trono.

Questo mito, come molti di altre religioni pagane e monoteiste, mette chiaramente in scena una dinamica inconscia vissuta nella relazione padre-figlio, ossia l’altra medaglia dell’Edipo (Per approfondimenti si rimanda all’articolo “Il complesso di Edipo – All’alba della legge del padre”): Il complesso di Laio (padre di Edipo).

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Obesità. L’imbottitura dell’anima

Sono una psicologa e lavoro con pazienti con obesità.

Molte persone mi hanno chiesto in diverse occasioni “cosa ci fa” una psicologa con gli obesi, “gli prescrivi una dieta?”, “vai a correre con loro?”, scherzano. Me lo sono domandata anche io “cosa posso farci”, nel momento in cui per tutta una serie di motivi sono finita a lavorare con questa patologia. È importante domandarsi la ragion d’essere del proprio lavoro, qualunque esso sia, in ogni occasione, anche laddove questa ragion d’essere sembri scontata. Ebbene da questo mio interrogarmi, come sempre accade quando si complica una questione, non è arrivata una risposta chiara e lineare, ma un insieme di riflessioni, che derivano appunto dalla pratica clinica, che desidero condividere con i lettori. La scrittura infatti, così come la parola, il racconto che si fa ad un amico, serve spesso a questo, a mettere ordine, ad inserire eventi apparentemente disordinati e sconnessi tra loro all’interno di una narrazione, che fornisca quindi una cornice, un ordine di senso a ciò che sta accadendo.

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L’abitudine
“Vestirsi” di sè

Settembre. A presto, Estate.
Si ricomincia.

 
È sempre bello tornare a casa. Bentornata “solita vita”. Possiamo percepire realmente il gusto di un viaggio nel momento esatto del ritorno, quando il bagaglio di nuove esperienze acquisite durante il percorso, ci dà lo spinta per affrontare con nuove ricchezze la vita di tutti i giorni (si rimanda all’articolo sul viaggio “Sul bisogno di occhi nuovi” della rivista di aprile 2015).

Al ritorno, sfogliando le foto scattate durante il viaggio e riassaporando quei momenti di libertà dagli obblighi della vita convenzionale, ci assale un sentimento di malinconia che ci spinge a a fantasticare su possibili strategie di evasione dalla routine. È in quel momento di passaggio fra il “dolce far niente” e la ripresa delle responsabilità quotidiane, che sentiamo la pesantezza del ritorno.
Settembre è, per tutti, tempo di valutazioni sul presente e di scommesse sul futuro.

Mi chiedo, a volte, cosa ci porta a scegliere una vita piatta; o meglio, non mi chiedo, contesto.” (un verso di “Quasi” – poesia di Luis Fernando Verissimo, riportata integralmente in fondo all’articolo)

abituarsi, abitudine, annoiarsi, Depressione, noia, psicologia, psicoterapia, routine

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