Rebeca in Cent’anni di solitudine. Il non detto dei fantasmi

Ed ecco che arriva Rebeca, un’undicenne portata in paese da commercianti di pellame per conto d’ignoti mandanti, con il compito di affidarla a José Arcadio Buendìa. La bambina ha con sé solamente una sedia a dondolo, una lettera e le ossa dei genitori chiuse in un sacco. Nella lettera è scritto che Rebeca è una cugina di Ursula (moglie di Arcadio) di secondo grado, figlia di Nicanor Ulloa e Rebeca Montel, sebbene nessuno dei due Buendìa ricordi qualcuno con quel nome; gli si richiede inoltre la sepoltura delle ossa che però è sempre rimandata mancando in paese un cimitero (non essendo fin lì morto nessuno)… Le ossa chiuse nel sacco, però, durante tutta la storia, piena di accadimenti, non trovano posto, e continuano a far sentire il loro cloc-cloc.

La bambina inoltre, porta con sé il contagio della malattia dell’insonnia. Oltre a impedire di dormire, il morbo provoca una progressiva e grave perdita di memoria, le persone restano sempre in piena energia, ma a poco a poco perdono memoria ed identità.

Un giorno arriva in paese Melquìades che con una pozione debella l’insonnia. L’uomo “era stato nella morte, effettivamente, ma era tornato perché non aveva potuto sopportare la solitudine”.

Anni dopo. Queste le parole di Pilar Ternera, una indovina, cartomante, alla quale Rebeca si rivolge: “Non sarai mai felice finché i tuoi genitori resteranno insepolti”.

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Le coccole. Una tenerezza necessaria

Coccole, carezze, tenerezze, baci, sorrisi e sguardi… quei gesti che creano benessere e armonia, che rendono la nostra vita più leggera, più felice, meno stressante. Il nostro bisogno di sentirci coccolati e di ricevere dolcezza è istintivo, primario; ci permette di sentirci sicuri, rilassati, al centro dell’attenzione di quelle persone che amiamo di più.

Quando pensiamo alle coccole, spesso pensiamo a quei gesti affettuosi che le madri rivolgono ai propri bambini. Ma le coccole sono importanti tanto nella nostra infanzia, quanto nella nostra vita da adulti, e non dobbiamo mai perdere il piacere di farle e di riceverle.

Coccolare i propri figli

Le coccole non sono solo la manifestazione fisica del voler bene al proprio figlio, ma rappresentano la trasmissione emotiva e simbolica del rispetto, della fiducia, della gratitudine e soprattutto della reciprocità nella relazione genitore-figlio.

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Paura D’Amare
La fuga dalle relazioni d’amore

Niente è più importante dell’amore- Ferzan Ozpetek

Sogniamo infinitamente di amare e di essere amati in amori fragili, amori indistruttibili, amori devastanti, amori appaganti… Amando mostriamo i nostri limiti, mettiamo in scena le nostre paure, abbassiamo le difese ed il controllo sulla nostra vita. Viviamo un’ esperienza soggettiva intensa e totalizzante che ci fa sentire “nudi” di fronte all’altro, ma che ci permette di assaporare il piacere nell’affidarsi senza sentirsi vulnerabili e conoscere quella dipendenza sana dell’amore ( si rimanda all’articolo La dipendenza- Vuoti di vita da colmare).

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L’arte del fallimento. Crescere grazie ai limiti

Image courtesy of www.engage.it

L’Italia è fuori dai mondiali 2018. Sui social media e sui mezzi di informazione di massa non si parla di altro.

Un senso di delusione e vergogna ha accompagnato il fallimento della Nazionale Azzurra. Potremmo ipotizzare che ciò sia dovuto al fatto che il calcio rappresenta, oltre ai tanti significati sociali e identitari che gli sono stati riconosciuti, un’occasione di realizzare le proprie aspettative emotive nei confronti del mondo esterno, di sentirsi vincitori, in grado di dominare il mondo dei fenomeni, e sentirci “competenti”.

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Il mito dell’amazzone. Il femminile nel vissuto oncologico

Il nome greco Ἀμαζών (amazòn) si compone di una Ἀ iniziale un’alfa privativa che rende nullo il successivo nome μαζός, versione ionica di μαστός, che vuol dire “seno”: il risultato sarebbe quindi “senza seno”. L’etimologia è riferibile al costume tradizionale attestato dalle fonti mitografiche secondo cui le Amazzoni si mutilavano la mammella destra allo scopo di tendere meglio l’arco. Facendo una rapida ricerca su internet è evidente come molte donne operate al seno a causa di un carcinoma alla mammella si identificano nella figura delle Amazzoni, ossia come eroine pronte a combattere per la propria vita. La figura delle amazzoni però mette in luce una delle problematiche verso cui queste donne si devono interfacciare, ossia la propria sessualità e identità sessuale: talvolta, per scopi preventivi, le donne con carcinoma alla mammella subiscono oltre all’operazione al seno o la mastectomia, anche l’asportazione delle ovaie. L’insieme di queste operazione corporee hanno un impatto devastante anche sul mentale (per un approfondimento, si rimanda agli articoli “Oncologia e sessualità femminile – Scoperchiare il vaso di Pandora” e “La malattia oncologica – Il male senza nome”  e “Donne e cancro – In guerra con se stesse” ). L’amputazione di parti si Sé tipicamente femminili può portare queste donne ad identificarsi inconsciamente con assetti da combattenti, nella consapevolezza di stare combattendo una lotta contro un nemico mortale, il cancro. Si struttura, dunque, un’emancipazione di queste donne verso aspetti della propria vita precedentemente trascurati. Molte volte sono loro stesse che riferiscono come affrontare il tumore sia stato terribile, ma allo stesso tempo sia stata l’incipit per iniziare a lottare, e riappropriarsi della propria vita, non solo della propria salute.

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Genitori a scuola. Senza di me ma solo per un po’

Ci vuole molto coraggio, per reggere il giorno e sopportare la notte.

Ci vuole molto coraggio, per fermarsi un attimo nuotare nel profondo.

Ci vuole molto coraggio per tornare indietro quando è necessario.

Ci vuole molto coraggio per guardarsi allo specchio con un bel sorriso.

Ci vuole molto coraggio, ad avere coraggio. 

(Ci vuole molto coraggio, Ex-otago) 

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L’inconscio sulla Pelle. Ai confini del non-elaborato

La pelle, il traghettatore più all’avanguardia di messaggi inconsci. Verso l’amico, la compagna, il nemico, il genitore, o forse l’analista? Il più delle volte in ognuno trova appoggio uno stadio del processo soggettivo di elaborazione. Una sorta di proiezione del proprio senso di frammentazione che non si disgrega fino allo psicoticismo, per i segni che si fanno simbolo permanente. Non è un caso che proprio l’adolescente, nella fase evolutiva in cui il senso interno di continuità vacilla al maremoto di nuove pulsioni, cerca, modificando il proprio corpo, di vedere fuori, disegnato o inciso, il confine del turbinìo emotivo.

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La Paura
Come “sentiamo” i pericoli

Trovo sempre complesso parlare di emozioni, dare una forma concreta ad un “sentire”.

Mi piace definirlo “sentire” e non “provare”, perché le emozioni nascono dalla percezione di uno stimolo esterno ma vengono sentite dentro, prendendo vita in un corpo che ne sperimenta gli effetti. L’emozione è un’esperienza totalizzante, lunga perlopiù qualche attimo soltanto che, attraverso il “sentire” sul corpo, acquista una sua unicità.

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