Rebeca in Cent’anni di solitudine. Il non detto dei fantasmi
Ed ecco che arriva Rebeca, un’undicenne portata in paese da commercianti di pellame per conto d’ignoti mandanti, con il compito di affidarla a José Arcadio Buendìa. La bambina ha con sé solamente una sedia a dondolo, una lettera e le ossa dei genitori chiuse in un sacco. Nella lettera è scritto che Rebeca è una cugina di Ursula (moglie di Arcadio) di secondo grado, figlia di Nicanor Ulloa e Rebeca Montel, sebbene nessuno dei due Buendìa ricordi qualcuno con quel nome; gli si richiede inoltre la sepoltura delle ossa che però è sempre rimandata mancando in paese un cimitero (non essendo fin lì morto nessuno)… Le ossa chiuse nel sacco, però, durante tutta la storia, piena di accadimenti, non trovano posto, e continuano a far sentire il loro cloc-cloc.
La bambina inoltre, porta con sé il contagio della malattia dell’insonnia. Oltre a impedire di dormire, il morbo provoca una progressiva e grave perdita di memoria, le persone restano sempre in piena energia, ma a poco a poco perdono memoria ed identità.
Un giorno arriva in paese Melquìades che con una pozione debella l’insonnia. L’uomo “era stato nella morte, effettivamente, ma era tornato perché non aveva potuto sopportare la solitudine”.
Anni dopo. Queste le parole di Pilar Ternera, una indovina, cartomante, alla quale Rebeca si rivolge: “Non sarai mai felice finché i tuoi genitori resteranno insepolti”.