LA DOPPIA DETENZIONE: problematiche correnti e potenziali sfide per il futuro delle persone transgender in istituti penitenziari.


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PREMESSA:

Immaginatevi di partire per un viaggio e di avere con voi uno zaino; in questo zaino, oltre i vostri oggetti personali, vengono inserite due grosse pietre la cui funzione è solo quella di rendere il vostro cammino più faticoso e il vostro passo meno agile possibile, probabilmente facendovi annaspare anche nei sentieri più rettilinei.

Questa è la fatica a cui associo il viversi nella condizione di essere trangender, con tutti i condizionamenti sociali e quindi le condizioni che questa comporta, in un contesto come quello carcerario, che sicuramente amplifica le sfide già di per sé ardue di vivere in questa condizione.

ESSERE TRANSGENDER IN CARCERE: questioni PREMINENTI

Le persone transgender, tendono a esperire già in condizione normali una condizione di maggiore stress (minority stress) legato ad alcuni fattori insiti alla loro condizione; questi ovviamente tendono a essere amplificati in una condizione ambientale peculiare quale quella degli Istituti Penitenziari. Infatti, in tale contesto, le persone transgender sono portate a sperimentare evidentemente una serie di problematiche di natura qualitativamente e quantitativamente diversa rispetto ai detenuti considerati CISGENDER. Di seguito saranno esposte quelle che secondo la letteratura appaiono come le questioni più impattanti rispetto al ritrovarsi situati in questa esperienza.

Traumi e disfunzioni sessuali:

Le persone transgender in carcere possono vivere situazioni di discriminazione, violenza fisica e psicologica, abusi sessuali, e condizioni di vita precarie che possono influire negativamente sulla loro salute sessuale. Questi traumi, così come l’ansia e la depressione derivanti dalla reclusione, sono legati al presentarsi di disfunzioni sessuali come l’impotenza, la diminuzione del desiderio sessuale, o difficoltà nel raggiungimento del piacere (Engelberg et al., 2023)

Disconnessione tra identità di genere e corpo:

Molte persone transgender affrontano una dissonanza tra il loro corpo e la loro identità di genere. Infatti, è stato riscontrato che la maggior parte della popolazione transgender relegata in contesti carcerari riscontri maggiori difficoltà nell’espressione identitaria e questo sembra coinvolgere maggiormente le donne transgender. Queste, infatti fanno fatica ad esprimersi nell’abbigliamento, nell’acconciatura e nel make up. (Brömdal A., et al. 2019; Kilty JM., 2021)

In un ambiente carcerario, la mancanza di accesso a trattamenti medici (come ormoni o interventi chirurgici) per la transizione può esacerbare questa disconnessione, aumentando un senso di frustrazione e disagio legato alla sessualità e la disforia per alcune parti del proprio corpo che si stava tentando di eliminare ma che la temporanea sospensione del trattamento ormonale può far riaffiorare.

Mancanza di privacy:

Gli istituti penitenziari, in particolare quelli con politiche poco inclusive, spesso non forniscono spazi adeguati o opportunità per esplorare e vivere la propria sessualità in modo sicuro e rispettoso, a causa della separazione rigida tra prigionieri di sesso biologico maschile e femminile.

Violenza e discriminazione:

Le persone transgender possono essere vulnerabili a violenze fisiche e verbali da parte di altri detenuti e anche dal personale carcerario; infatti, come si evince da una rassegna sul tema (Brömdal A., et al., 2019), la popolazione transgender in contesti carcerari, infatti, è maggiormente esposta ad abusi sessuali e per questo a pratiche sessuali che comportano un rischio maggiore di contrazione di malattie sessualmente trasmissibili come HIV.

Inoltre, vi è una maggiore esposizione a violenza fisica, verbale e a comportamenti discriminatori da parte sia del personale che dagli altri incarcerati (Drakeford L., 2018, Reisner SL. et al., 2014). Oltretutto, avere una relazione con un altro detenuto/a, pare aumentare tre volte la probabilità di subire violenza fisica e abuso sessuale da parte delle persone transgender.(Sexton L., 2010; Sumner J. et al.,2016; Reisner SL. et al., 2014)

Rispetto a questo, le situazioni caratterizzate da atteggiamenti discriminatori basate sulla tipizzazione sessuale inoltre, pare che aumentino il rischio di suicidio tra la popolazione del carcere (Drakeford L., 2018)

In questo quadro bisogna anche considerare che l’isolamento forzato e la segregazione in aree separate o in celle di sicurezza possono diventare misure discriminatorie che limitano l’interazione sociale e accrescono il rischio di sofferenza psicologica.

Accesso ai trattamenti medici:

Molti istituti penitenziari non forniscono un adeguato accesso a cure mediche per le persone transgender, come terapie ormonali o interventi chirurgici.

Questo non solo limita la loro capacità di esprimere pienamente la propria identità di genere, ma può anche causare stress fisico e psicologico; infatti, è stato riscontrato che questo aspetto è legato ad una maggiore sintomatologia legata allo spettro ansioso, depressivo e ad un maggiore abuso di alcol e droghe rispetto ai detenuti CISGENDER (Kilty JM., 2021; Sexton L., 2010)

In particolar modo le terapie per la riaffermazione di genere fra cui appunto le terapie ormonali non sono adeguatamente somministrate (Drakeford L., 2018 Kilty JM, 2021 et al., 2021;Sanders T.et al. 2022; Brown GR., 2014;) frequentemente, infatti, la terapia non viene ricalibrata in base ai cambiamenti o viene somministrata in quantità inferiore rispetto a quella prevista.

Inoltre, risultano piuttosto carenti le pratiche chirurgiche prospettate; questo è particolarmente legato al fenomeno dell’ “autocastrazione o autopenectomia”, in generale della rimozione autonoma di caratteri sessuali non desiderati, comportando evidentemente numerosi rischi per la salute fisica.

INADEGUATA PREPARAZIONE DEL PERSONALE SANITARIO.

Inadeguatezza delle politiche penitenziarie:

Le politiche carcerarie spesso non sono aggiornate o inclusive nei confronti delle persone transgender. La mancata comprensione delle esigenze specifiche legate all’identità di genere può portare a misure di custodia e trattamento che non rispondono adeguatamente ai bisogni di queste persone.

In particolar modo, il personale sanitario impiegato negli istituti penitenziari non risulta essere particolarmente preparato ad affrontare questioni specifiche inerenti a questa fascia di popolazione.

Uno studio (Clark KA., 2017) ha messo in evidenza, specificatamente tre tipi di ostacoli che si possono delineare nell’erogazione di cure da parte del personale: barriere di natura strutturale (mancanza di training e formazione specifica, messo in relazione con fondi monetari deficitari preposti per questo), barriere di natura interpersonale (ovvero a pregiudizi di natura sociale e culturale) e infine barriera di natura personale (ovvero mancanza di conoscenze specifiche sulla materia).

Assenza di supporto psicologico:

Le persone transgender in carcere sono maggiormente esposte a problematiche inerenti la salute mentale; la patologie che frequentemente vengono riscontrate sono depressione, ansia e disturbi post-traumatici da stress (PTSD). Questo è evidentemente legato agli aspetti relativi all’accesso alle cure mediche, alla maggiore esposizione ad abusi e a dinamiche discriminatorie citati precedentemente.

Tuttavia, l’accesso a supporto psicologico adeguato spesso non è garantito e risulta piuttosto carente. Questo determina un impatto negativo sulla loro salute mentale.

Identità di genere e separazione in base al sesso:

Una delle sfide principali riguarda la separazione tra uomini e donne nelle carceri, ovvero l’assegnazione nei reparti per le persone transgender; infatti normalmente i detenuti sono dislocati sulla base di un’interpretazione binaria di genere (Sanders T., et al. 2022, Brown GR., 2014; Brown GR., 2009) .Quindi, a partire da questo vi sono tre principali possibilità imposte di assegnazione per le persone transgender; la prima è quella di essere assegnati in Istituti che rispecchiano la loro tipizzazione sessuale assegnata dalla nascita oppure di essere inseriti in strutture restrittive ( come una sorta di segregazione amministrativa o in cella singola). Infine, potrebbero essere assegnati in unità speciali per persone LGBTQ+.La riflessione che ne scaturisce riguarda il tema dell’identità personale che per l’ennesima volta sembra debba ricadere in un sistema fatto di assi cartesiani precostituiti e orientati in un’ottica semplicisticamente binaria; inoltre pensiamo a tutta la serie di conseguenze che questo comporta, inclusa l’esposizione a rischio di abusi o maltrattamenti.

CONCLUSIONI E SFIDE PER IL FUTURO

Le persone transgender in carcere affrontano una serie di difficoltà che comprendono non solo disfunzioni sessuali, ma anche gravi sfide legate alla violenza, alla discriminazione, all’accesso limitato alle cure mediche e alla mancanza di un adeguato supporto psicologico.

Questi aspetti sembrano intrecciarsi gli uni con gli altri in un apparente groviglio labirintico di problematiche; infatti le strutture carcerarie esacerbano quelle condizioni proprie dell’esperienza di essere transgender che la caratterizzano anche nella vita “civile”. Queste riguardano inevitabilmente questioni legate al vivere ed esperire la propria corporalità che evidentemente è negoziata e spesso costantemente ridefinita in un processo dinamico.

Dunque si potrebbe dire, che le sfide, in un’ottica migliorativa del vissuto di un’identità transgender in carcere, sono due.

Una ha a che vedere con un risvolto meramente pratico e attuativo; ovvero si tratta di un’implementazione delle politiche inerenti la faccenda; in particolar modo, rispetto ai due macroaspetti preminenti, ovvero corpo e salute mentale, intimamente connessi. Infatti, l’implementazione della legislazione dovrebbe riguardare sia un aumento della sua applicabilità, sia una maggiore uniformazione degli aspetti procedurali.

Ad esempio una maggiore estensione e accesso alle terapie mediche per le persone transgender; questo è fondamentale se, come è stato detto, si pensa alla transizione come ad un processo ed ogni tassello è fondamentale per evitare i dolorosi effetti relativi ad accentuazione degli aspetti disforici che sono costantemente dietro l’angolo.

L’implementazione dell’aspetto legale e giuridico dovrebbe ricadere su pratiche impattanti la salute mentale; in questo senso, la crescita potrebbe risiedere in una maggiore sensibilizzazione del personale carcerario sul tema, che abbiamo visto essere un fattore chiave legato a tutta la faccenda e sulla facilitazione nell’accesso a servizi di supporto psicologico.

L’altra sfida è il vero “match point”; una partita che non si può giocare in minuti, ore o giorni ma è anche essa un processo in cui siamo tutti coinvolti. Si gioca infatti sul campo ideologico di una coscienza collettiva che si deve costantemente allenare a mettere in discussione la logica di un sistema fondato un’ideologia intrisa di binarismo; la vera sfida sta appunto nella decostruzione di questa architettura costruita con un solido cemento armato e una buona dose di patriarcato.

BIBLIOGRAFIA

Brömdal A, Clark KA, Hughto JMW, et al. Whole-incar ceration-setting approaches to supporting and upholding the rights and health of incarcerated transgender people. Int J Transgend. 2019;20(4):341–50. https://doi.org/10. 1080/15532739.2019.1651684.

Brown GR, McDuffie E. Health care policies address ing transgender inmates in prison systems in the United States. J Correct Health Care. 2009;15(4):280–91. https:// doi.org/10.1177/1078345809340423. 38.

Clark KA-O, Brömdal A, Phillips T, Sanders T, Mullens AB, Hughto JMW. Developing the “oppression-to-incarceration cycle” of Black American and First Nations Australian trans women: applying the intersectionality research for transgender health justice framework. Vera: (Electronic));19405200.https://www.vera.org.

Drakeford L. Correctional policy and attempted suicide among transgender individuals. J Correct Health Care. 2018;24(2):171 82. https://doi.org/10.1177/1078345818764110.

Engelberg, R., Hood, Q., Shah, K., Parent, B., Martin, J., Turpin, R., … & Vieira, D. (2023). Challenges unique to transgender persons in US correctional settings: a scoping review. Journal of urban health100(6), 1170-1189.

Grant JM, Motter LA, Tanis J. Injustice at every turn: a report of the national transgender discrimination survey: National center for transgender equality and national gay and lesbian task force, 2011. 13.

Kilty JM. ‘I just wanted them to see me’: intersectional stigma and the health consequences of segregating Black, HIV plus transwomen in prison in the US state of Georgia. Gend Place Cult. 2021;28(7):1019–39. https:// doi.org/10.1080/0966369x.2020.1781795.

Reisner SL, Bailey Z, Sevelius J. Racial/ethnic dispari ties in history of incarceration, experiences of victimiza tion, and associated health indicators among transgender women in the U.S. Women Health. 2014;54(8):750–67. https://doi.org/10.1080/03630242.2014.932891. 34.

Sanders T, Gildersleeve J, Halliwell S, et al. Trans archi tecture and the prison as archive: “don’t be a queen and you won’t be arrested.” Punish Soc-Int J Penol. 2022. https://doi.org/10.1177/14624745221087058.

Sexton L, Jenness V, Sumner JM. Where the margins meet: a demographic assessment of transgender inmates in men’s prisons. Justice Q. 2010;27(6):835–66. https:// doi.org/10.1080/07418820903419010.

Sumner J, Sexton L. Lost in translation: looking for transgen der identity in women’s prisons and locating aggressors in prisoner culture. Crit Criminol. 2015;23(1):1–20. https://doi. org/10.1007/s10612-014-9243-6

istituzioni carcerarie, sessualità, sfide, terapia ormonale, Transgender

Psicologia del rito funebre
Un passaggio per i vivi

La morte di Papa Francesco, oltre a scuotere la Chiesa Cattolica e tutti i fedeli, ha messo in luce, come in ogni lutto della nostra vita, la natura mortale dell’essere umano e l’angoscia mortifera che la comunità dei vivi si ritrova a vivere davanti al decesso di una persona cara. Da millenni, le culture di tutto il mondo hanno sviluppato riti e cerimonie per affrontare l’angoscia di morte. In antichità, ai tempi del nomadismo, ogni volta che una persona della tribù veniva a mancare si seppelliva la persona deceduta e tutta la comunità fuggiva da quel luogo, per timore di essere “contagiati” dalla morte.

antropologia, Morte, psicologia, riti

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Nuova ossessione
senso di colpa ed innamoramenti

“È alta tensione ma senza orientamento”.

Così cantano i Subsonica dal 2002.

Da qui vorrei partire per parlare di quando l’ossessione si contrappone al desiderio così da perdere il senso dell’orientamento, ovvero ci allontaniamo da ciò che desideriamo in modo autentico, sostituito da cosa abbiamo bisogno in quel preciso istante, in cui abbiamo fame di una conferma immediata.

In questo senso nelle relazioni andiamo a cercare un legame fusionale permanente che sporadicamente lascia spazio ad una dipendenza sana, ovvero a momenti in cui avviene un ritorno a sé.

Rimanendo sul tema del peccato, tematica che noi del team Il Sigaro di Freud stiamo affrontando in questo mese, vorrei far emergere la tematica del desiderio e di quanto sia importante desiderare piuttosto che aver bisogno nelle relazioni. Insito nella natura umana è aver bisogno dell’altro, di una persona che ci “salvi” dalla solitudine, ma a volte il rischio è rappresentato dal tentativo di distoglierci dal desiderio, un desiderio autentico e profondo. Figurativamente i desideri si posizionano nel punto più alto della scala dei bisogni: sono più specifici e si basano su bisogni già soddisfatti (Maslow, 1950). Reiterare lo stesso comportamento per il soddisfacimento di un bisogno dettato da una impulsività che colma mancanze, sostituisce il desiderio e ci allontana dalla possibilità di desiderare ciò che nel profondo vogliamo.

Il desiderio implica fatica e costruzione invece se ci fossilizziamo sui bisogni più semplici che complessi conduciamo la nostra esistenza a soddisfarli nell’immediato, nascondendo sotto al tappeto le nostre reali esigenze di auto-realizzazione, autenticità, senso di appartenenza e stima di sé. La reale e più autentica stima di sé nasce dal raggiungimento di un desiderio e non dal bisogno immediato di conferme per colmare quel vuoto che abbiamo sperimentato per momenti di deprivazione, negligenza o atteggiamenti di affettività ambigua sperimentata nelle prime relazioni. 

Così, sbandano, ripetiamo nelle relazioni schemi poco funzionali per allontanarci dalle nostre imperfezioni senza la possibilità di poterle accettare. Cerchiamo nell’altro conferme non tanto di ciò che siamo, ma di quello che potremmo essere quindi l’altro viene idealizzato così da possedere per noi caratteristiche che appartengono ad un mondo che possa corrispondere alla parte idealizzata di noi. 

L’altro di cui ci innamoriamo e da cui continuano ad essere legati è perfezione, idealizzazione e corrisponde alla parte di noi che non possiamo raggiungere per non toccare aspetti più intimi; un’intimità ferita costituita da compartimenti poco esplorati, reconditi e fragili. 

Le difficoltà relazionali e ad investire in amori maturi rappresenta una tematica sempre attuale. Tuttora è presente la sensazione di trasgredire se ci allontaniamo da pattern comportamentali conosciuti e tramandati a livello intergenerazionale, perché le esperienze affettive sono ereditabili. 

Il senso di colpa è una tematica legata alla trasgressione in quanto esso nasce dal momento in cui abbiamo la percezione di non rispettare alcune regole imposte e non sono state interiorizzate perché non capite quindi subite. Cedere ad un proprio desiderio può suscitare senso di colpa; si attiva un meccanismo per cui cerchiamo partner che non corrispondano ai nostri desideri reali, ma immaginari per conformarci ad aspettative irrealizzabili imposte, illudendoci di poter raggiungere il partner ideale che diventa ossessione e l’ossessione non fa altro che rappresentare il controllo del nostro reale ed autentico desiderio. A quel punto desiderare il partner ideale è fame, rappresenta un bisogno che dobbiamo soddisfare nell’immediato, alla stregua di una dipendenza non sana e sommersi da un pensiero controllante, invasivo che ci allontana da ciò che desideriamo veramente. Ci allontana dalla possibilità di soddisfare il vero Sè per una vita insieme sana, soddisfacente, direzionata e che ci fa sentire vivi. 

Possiamo sentirci in colpa per non essere perfetti. Questo può portare ad ignorare i nostri bisogni e a non poterli comunicare nella relazione con il partner. Un partner “perfetto”, di cui tendiamo a proteggere quella stessa perfezione che ricorriamo in noi e nell’altro. Si tralascia così la possibilità di poter spazio al nostro essere che può “andar bene così” se siamo disposti ad entrare in contatto con esso e a condividere fragilità, bisogni, emozioni e sensazioni per raggiungere un amore condizionato dalla fatica di essere sé stessi in continua costruzione di un legame solido insieme all’altro/a.

Possiamo dimenticare il partner perfetto ed irraggiungibile e al contempo permettere alle ferite del passato di avere tempo per rimarginarsi.

“Nuova ossessione perché mi trovo spento

Senza illusioni tra facce da dimenticare” (Subsonica, 2002)

Per approfondire:

  • Freud, S. (1920). Al di là del principio del piacere
  • Recalcati, M. (2012). Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione

Dott.ssa Ilaria Pellegrini

Riceve su appuntamento a Pomezia e Roma (zona Piramide)

(+39) 3897972535

ilariapellegrini85@gmail.com

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Quanto rumore c’è in un’ eco?
Il corpo tra forma e dissolvenza

Movement of Vaulted Charmbers, Paul Klee 1915

“Quando le parole muoiono, i corpi parlano” (Tom Wooldridge)

Nelle metamorfosi di Ovidio, opera letteraria di grande fama e ispirazione, l’autore a proposito del mito di Narciso introduce la figura di una ninfa, Eco, costretta a ripetere quanto detto dagli altri per via di una maledizione; Eco si esprime mediante una voce priva di spontaneità e intenzionalità. Rinchiusa in un suono senza inclinazioni e forma, quando incontra Narciso, se ne innamora perdutamente, senza riuscire però a comunicargli i suoi sentimenti. Narciso, infastidito dalle parole ridondanti di Eco, la allontana e quest’ultima ferita dal rifiuto dell’amato crolla in un pianto inconsolabile sottraendosi agli impulsi vitali e lasciandosi quindi morire. La ninfa si dissolve, delegando alle valli il compito di propagare la sua voce intrappolata per sempre.

Tale mito con una realistica brutalità dimostra quanto una voce non ascoltata a volte richieda come ultimo sacrificio quello del corpo. Quest’ultimo viene chiamato in causa come portatore di memorie arcaiche espresse mediante le percezioni con l’obiettivo di riscattare qualcosa che si è giocato in un tempo lontano. Spesso durante l’adolescenza, momento della vita largamente sottoposto alle trasformazioni corporee, l’individuo si scontra con la forma di un legame che affonda le sue radici nella dimensione intrauterina. Nelle acque materne infatti l’individuo si sviluppa grazie al nutrimento materno e al quale si aggrappa in virtù di una forte interdipendenza. Ed é proprio alla ricerca di quella prima forma di nutrimento che l’individuo, in un processo inconscio, desidera risalire. Le comunicazioni primarie tra madre e bambino nel periodo della gestazione hanno luogo grazie agli scambi vitali; si tratta di messaggi senza voce, ma carichi di risonanza. Il legame nascente si determina quindi attraverso un processo di echi; in quei momenti si prefigura una partita che ha il rumore dei battiti, ma il peso di una vita intera. Se qualcosa interrompe questo flusso si possono verificare asincronie, la cui causa può essere ricercata incessantemente attraverso la riproduzione di forme che mai corrispondono a quella aspirata. In questo senso il nostro corpo diventa anche il ricettacolo della vita di chi ci ha preceduto; il rapporto con il cibo diviene espressione non solo del bisogno di nutrimento del bambino, ma anche della madre, del suo rapporto con sé stessa e con esso. Il corpo della madre in questi momenti può essere coinvolto da sensazioni vissute come difficili da contenere, troppo pressanti o troppo invadenti.

 Questo intreccio di bisogni diviene caposaldo di una storia che non può considerarsi disancorata dallo strutturarsi primario di un’identità.

 Freud diceva che l’Io è prima di tutto corporeo, attraverso questo abitiamo ed esploriamo il mondo e proprio per questo la matrice corporea racchiude il patrimonio di qualcosa di difficile da mettere in parola ma così echeggiante. Durante l’adolescenza il corpo torna ad essere un elemento primario, una forma di ancoraggio nel percorso identitario. A proposito della forma Paul Klee, nel 1956, scriveva “la forma non è quindi mai e poi mai da considerarsi conclusione, risultato, bensì genesi, divenire, essenza..”, attraverso questa talvolta si cerca una trasformazione esistenziale.

Quando parliamo di disturbi del comportamento alimentare e ci confrontiamo con dei corpi vibranti di un dolore che distrugge la forma, e nel caso dell’anoressia/ bulimia nervosa, chiedendo quasi l’assoluzione attraverso la dissolvenza.  La ricerca di una nuova forma diventa espressione di una ricerca identitaria, che ha lo scopo di riconsiderare le tracce di sviluppo precedenti e di ridefinirne una traiettoria.

 A volte sostare in una dimensione di indefinitezza permette all’individuo di potersi sentire, di potersi vivere dall’interno mediante le sensazioni. Spesso è all’ interno del processo di narrazione di tali sensazioni la possibilità di una nuova forma, fatta di un’affettività scoperta e viva. Il corpo in questo senso può essere mentalizzato in un dialogo tra emisfero destro, emotivo ed intuitivo e quello sinistro, linguistico e analitico, allo scopo di trovare una risinificazione di memorie sensoriali e relazionali all’interno di una storia raccontata.

Il questo senso corpo e mente hanno l’opportunità di scoprire un nuovo dialogo, fatto di comunicazioni primordiali, le stesse che hanno permesso all’Io di percepirsi in primo luogo, come corporeo.

L’ apertura ad un ascolto del corpo diviene il luogo di incontri relazionali, sottoposti a scomposizioni e ridefinizioni, oltre che occasione di nuove regolazioni. Non a caso nell’ambito dei DCA spesso sono chiamate in causa differenti figure professionali con contenitori e focus diversi, che accompagnano il paziente e il contesto familiare nella ridefinizione di una nuova forma. La stessa si può creare attraverso una polifonia risignificata dove la voce del paziente diviene la prima voce nel raccontare affetti vivi e non più un’ eco intrappolato.

Dott.ssa Valentina Merola

Psicologa, riceve a Roma in zona Ostiense e Cipro

email: vale.merola@hotmail.it

Per approfondire:

Lingiardi, V. (2024) Corpo, umano. Einaudi. Torino

Rinaldi, L. (2021) Sul cibo, sul corpo e sul divenire della forma. Anoressia, bulimia e molto altro. Franco Angeli, Milano.

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L’Obesità
Il peso dell’anima nel film The Whale

Il cinema ha il potere di trasformare storie personali in riflessioni universali sul senso della vita e The Whale (2022) di Darren Aronofsky lo fa con un’onestà disarmante. Tratto dall’opera teatrale di Samuel D. Hunter, dipinge la vita di Charlie, un insegnante di scrittura, omosessuale, schiacciato da un corpo che diventa metafora di un’anima in frantumi. Mentre cerca di riconquistare il rapporto con la figlia Ellie, Charlie affronta non solo il declino fisico, ma un labirinto di colpa, lutti e solitudine in un lento processo di autodistruzione.

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Sento dunque mangio
Correlazione tra alterazione degli stati emotivi e i disturbi alimentari

“Forza è riuscire a spezzare a mani nude una barra di cioccolato in quattro − e poi mangiarne un solo quadratino.”

(Judith Viorst)

Talvolta un disturbo alimentare, non viene sempre riconosciuto. Al giorno d’oggi siamo molto più attenti alla nostra alimentazione rispetto ai tempi passati; abbiamo un’alimentazione controllata, siamo spesso seguiti da un professionista della nutrizione ma tante volte, molti di noi ammettono che quando siamo profondamente tristi o che quando siamo particolarmente stressati, riversiamo tutti i nostri problemi nel cibo, o perdendo il controllo e quindi iper-alimentandoci oppure al contrario, si chiude lo stomaco e non riusciamo a mangiare nulla.  

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La funzione psicologica della musica nel Carnevale
Il ritmo che unisce, libera e trasforma

È ormai alle porte una delle tradizioni più antiche e coinvolgenti che la nostra civiltà ha ereditato dal passato, il Carnevale, che trova la sua conclusione nel Martedì Grasso. In questo periodo dell’anno è possibile ritrovare in Italia tantissime città e paesi in festa, come Venezia, Viareggio e Putignano, che coinvolgono ogni cittadino nella riuscita dell’evento, che in realtà è un vero e proprio rito di passaggio.

La prima riflessione psicologica che ognuno di noi può avere intorno al carnevale è sulla funzione della maschera, ma in questo articolo vorrei invece soffermarmi sulla funzione che ha la musica in questo antico rito.

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Nascere Genitori
“L’albero delle noci” di Brunori Sas

16.02.2025 – Si è appena conclusa la 75° edizione del Festival di Sanremo. Come ogni anno, non mi attivano le polemiche da circo mediatico, ma i temi culturali, sociali e psicologici che su quel palco di consueto vengono raccontati – o intenzionalmente offuscati – nei discorsi e nelle canzoni. Mi scuote perlopiù la presenza o l’assenza della buona musica e delle parole necessarie.

Non volendo puntare il binocolone su ciò che questo Festival non è stato in termini di progresso e di inclusività (è un’amarezza da digerire), all’alba dell’ultimo sole della settimana santa sanremese, scelgo di raccontare un momento magico di questi giorni e necessario per me: sentire viva nella musica e nelle parole di un grande artista l’emozione di nascere genitore.

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La musica e la psiche
Risonanze

Foto di StockSnap da Pixabay

“Quando mi sento così depressa vorrei solo sparire. L’unica cosa che mi fa sentire meglio è ascoltare For today I am a boy. (degli Anohni and the Johnsons) Allora mi sembra che il dolore che ho nel petto diventi più leggero.”

Con queste parole una giovane in attesa di realizzare la sua transizione di genere mi descriveva la sua depressione durante una seduta di psicoterapia. In questo caso il testo della canzone, un brano sull’attesa di poter diventare ciò che si è sempre sentito di essere, accettando quel tempo, descriveva e accompagnava esattamente il vissuto di quella giovane. Ma non serve che una canzone parli della nostra situazione perché abbia effetti benefici su di noi. Non servono neanche le parole, in effetti.

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La demenza vascolare
Una “cattiva” relazione tra sangue e cervello

Niente mette tanto a dura prova la capacità di resistenza psichica, quanto il guardare negli occhi di un demente, poiché quel particolare modo di ridere sembra mostrare una piena consapevolezza di tutto quello che l’uomo non vuole assolutamente riconoscere di se stesso.

(Frans Eemil Sillanpää)

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